Vita Chiesa

Come cambia il catechismo: intervista a Silvia Mancini, responsabile per la catechesi delle diocesi toscane

È il documento che indica le linee guida per l’evangelizzazione e la catechesi nel nostro tempo: il nuovo Direttorio per la catechesi, approvato da Papa Francesco il 23 marzo scorso, è stato presentato il 25 giugno in sala stampa vaticana, 23 anni dopo il Direttorio generale per la catechesi del 1997 e a quasi cinquant’anni dal Direttorio catechistico generale del 1971.Silvia Mancini, incaricata regionale per la dottrina della Fede, l’Annuncio e la Catechesi, tiene a precisare: «Gesù è lo stesso, ieri, oggi e sempre. L’annuncio di salvezza, invece, è caratterizzato da un continuo processo di inculturazione: si tratta di accompagnare all’incontro con Cristo e a  vivere ciò che tale incontro comporta nella vita quotidiana. In questo senso, occorre aggiornare tali indicazioni, perché possano rispondere alla vita “reale” delle persone cui è rivolto l’annuncio». Dunque, quali sono le indicazioni da seguire affinché i catechisti siano davvero testimoni credibili della fede? Quali i nuovi strumenti da utilizzare?«Il nuovo Direttorio riprende alcune immagini dei documenti degli ultimi vent’anni per delineare la fisionomia del catechista: testimone della fede e custode della memoria di Dio, educatore di coloro che gli sono affidati dalla Chiesa, esperto in umanità, compagno di viaggio. Queste ultime due espressioni sono, a mio parere, quelle che sintetizzano meglio lo specifico del ministero del catechista in questo tempo. Raggiunto dall’amore misericordioso di Dio nelle fragilità della sua vita, egli può annunciare le meraviglie di Dio e trasmettere la gioia di una vita rinnovata e la speranza che ne deriva.Più che a strumenti specifici, il documento si riferisce ad alcune “attenzioni” metodologiche, riaffermando la centralità dell’esperienza, quale sorgente di annuncio. La catechesi aiuta a leggere le esperienze della vita alla luce del Vangelo e a coglierne il senso unitario. Sebbene siano riproposti i linguaggi da sempre impiegati nella Chiesa per comunicare la fede, una particolare attenzione è dedicata al linguaggio narrativo e a quello dell’arte, la “via della bellezza”, che da secoli sostiene l’annuncio di fede». Che ruolo svolge la famiglia nell’evangelizzazione e quanta è la sua importanza?«Da sempre, la Chiesa sostiene con forza la centralità della famiglia nella trasmissione della fede. La famiglia costituisce un riferimento per la comunità cristiana, la quale, a sua volta, sostiene la famiglia, offrendole una chiave esplicita per rileggere nella fede la propria esperienza. In quanto Chiesa domestica, fondata sul sacramento del matrimonio, la famiglia cristiana partecipa alla missione evangelizzatrice della Chiesa, per questo contribuisce all’edificazione della comunità cristiana e alla testimonianza del Vangelo nella società. Il Direttorio rivolge una sincera attenzione alle diverse fisionomie di famiglie, particolarmente a quelle segnate da una storia ferita, verso le quali suggerisce uno stile di prossimità, di ascolto e comprensione, evitando discriminazioni ed isolamento».Il nuovo Direttorio fa riferimento anche alle categorie più fragili e deboli, in particolare carcerati e migranti. Quale dovrebbe essere l’atteggiamento di un catechista nei loro confronti? Come possono le carceri essere davvero «terra di missione»?«Il Direttorio affronta la questione dell’annuncio alle persone migranti ed emigrate e alle persone che vivono molteplici situazioni di marginalità. L’evangelizzatore, in quanto cristiano, è chiamato a vivere il primato dell’esercizio della carità, compiendo scelte evangeliche e assumendo stili di vita conseguenti. La prima “conversione” che il documento sollecita è rivolta alle comunità cristiane, chiamate a maturare, come afferma mons. Fisichella, il rispetto per la dignità della persona umana e lo sdegno per le situazioni di miseria e di ingiustizia. Il carcere diviene luogo di missione nella misura in cui vi si offrono occasioni di ascolto e di primo annuncio, dal quale, talvolta, può scaturire l’inizio di un cammino di fede». Come si deve rapportare la catechesi con il mondo digitale e con la scienza che sembrano creare atteggiamenti individualisti e lontani dalla fede?«Credo che la formazione dei catechisti sia necessaria per suscitare lo stupore di fronte al creato e al mistero dell’uomo. Non si possono, infatti, affrontare questioni relative alle acquisizioni della scienza e della tecnica in modo ingenuo o unilaterale. Occorre cogliere e trasmettere la fecondità del rapporto scienza-fede inteso come partecipazione al piano creatore di Dio, suscitando domande significative che aprano a percorsi di ricerca; mantenendo, però, un profondo discernimento per valorizzare la dimensione umana del progresso scientifico. Il Direttorio dedica ampio spazio anche alla cultura digitale e alla globalizzazione. Come per la cultura scientifica, si tratta di valorizzare le inedite possibilità del digitale, consapevoli delle sue innumerevoli implicazioni  sul modo di percepire lo spazio, il tempo e le relazioni. Non basta che la Chiesa occupi alcuni spazi sul web, limitandosi a “digitalizzare la catechesi”, ma occorre intercettare i nuovi linguaggi e impiegarli al meglio perché soprattutto le giovani generazioni, passino dalla solitudine e dall’individualismo alla costruzione di un progetto di vita personale e sociale, da realizzare all’interno della comunità. La catechesi serve per la vita: si fonda, perciò, necessariamente su esperienze autentiche».Che significato ha il nuovo Direttorio in tempo di pandemia? «Dall’inizio del lockdown ad oggi, la Chiesa ha offerto vari spunti di riflessione e di confronto, quali la Lettera ai catechisti dell’ufficio Catechistico Nazionale ed ora il nuovo Direttorio per la Catechesi. È impossibile non cogliere, in tali documenti, una lettura pasquale di questo frammento di storia che stiamo ancora vivendo: il desiderio, cioè, di comunicare la speranza oltre il limite. Non dobbiamo eludere quanto è accaduto, illudendoci di tornare alla situazione precedente. Ciò che abbiamo vissuto deve sollecitare scelte più mature, che tengano conto dei grandi limiti che la pandemia ha fatto emergere, rispetto ai quali nessuno può più sentirsi al sicuro, e che si traducano in gesti concreti di prossimità, ascolto, tenerezza, comprensione».