Vita Chiesa

Cor Orans: fondazione, chiusura, gestione, uso dei social. Come deve essere la vita di clausura

«Sono 37.970 le suore di clausura del mondo». Mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, ha cominciato con questo dato – ieri, in sala stampa vaticana – la presentazione di «Cor Orans», l’Istruzione applicativa della costituzione apostolica «Vultum Dei quarere». Riferendosi al primo capitolo, dedicato al «monastero autonomo», Carballo ha fatto notare che l’Istruzione precisa che l’autonomia giuridica deve «presupporre una reale autonomia di vita, cioè la capacità di gestire la vita del monastero in tutte le sue dimensioni: vocazionale, formativa, governativa, relazionale, liturgica, economica». «Precisazione fondamentale», ha commentato, «che rende ragione di alcuni importanti passaggi successivi dell’Istruzione, volti proprio a garantire che i monasteri sui juris vivano una vita significativa, che possa essere realmente di esempio al Popolo di Dio». «Di fatto, il Dicastero ha dovuto più volte constatare con rammarico l’esistenza di monasteri non più in grado di portare avanti una vita dignitosa, senza che ci fosse una legislazione che dicesse quando e come intervenire al riguardo», ha detto Carballo: «L’aver colmato questa lacuna legislativa è sicuramente uno dei punti più importanti e più attesi dell’Istruzione».

Nel nuovo documento, inoltre, «si stabilisce che il tempo congruo tra la fondazione e l’erezione di un monastero di monache sia di quindici anni al massimo»: viene dunque fissato un termine di tempo allo scadere del quale dovrà intervenire la Santa Sede, «sentita la superiora del monastero fondatore, la presidente federale, l’assistente religioso e l’ordinario competente», per una valutazione sull’opportunità o meno di proseguire. «Anche in questo caso il desiderio è che i monasteri siano realtà vive e significative, evitando di prolungare esperienze che non hanno ragionevolmente possibilità di futuro», ha spiegato Carballo: «Ancora compito della Santa Sede è dare il benestare per l’erezione canonica, in presenza di alcuni requisiti che dicano la reale possibilità di autonomia del monastero fondato, primo fra tutti la presenza di otto monache di voti solenni».

Ecco le nuove norme

«L’opportunità della fondazione di un monastero di monache deve essere prudentemente considerata». È quanto si legge in «Cor Orans», l’Istruzione applicativa della costituzione apostolica «Vultum quaerere» di Papa Francesco sulla vita contemplativa femminile, emanata dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in cui si ricorda che «la fondazione da parte di un singolo monastero deve essere espressione della maturità della comunità di un monastero autonomo vivo e vitale, che viene a generare una nuova comunità capace di essere, a sua volta, testimone del primato di Dio, secondo lo spirito e l’indole dell’Istituto di appartenenza». Soprattutto «se la fondazione avviene ad opera di un solo monastero», si legge nel documento diffuso oggi, occorre fare attenzione che «non si indebolisca troppo la comunità fondatrice, valutando attentamente la scelta del luogo, perché tale scelta comporta una diversa e particolare forma di preparazione della fondazione e dei membri della futura comunità».

Nella scelta del Paese in cui si intende fare la fondazione si deve considerare, inoltre, «se la vita monastica è già presente, si deve acquisire ogni informazione necessaria ed utile, soprattutto sulla presenza e vitalità della Chiesa cattolica, sulle vocazioni alla vita consacrata, sul senso religioso nella popolazione e sulla possibilità di future vocazioni per la nuova fondazione». Nella scelta del luogo della fondazione, «si devono assicurare le condizioni necessarie per garantire alle monache la possibilità di un degno sostentamento, di condurre regolarmente la vita contemplativa nel monastero e di favorire le relazioni tra i monasteri». «Particolare attenzione» si deve prestare, inoltre, «alle esigenze della vita sacramentale e spirituale del nuovo monastero, perché la carenza di clero in alcune Chiese particolari non permette sempre di individuare un presbitero che abbia competenza e sensibilità spirituale per accompagnare la comunità di un monastero di monache».

Nei monasteri, si sottolinea nell’Istruzione, «l’aspetto della separazione dal mondo deve essere particolarmente previsto e curato, attesa la testimonianza pubblica che le monache sono tenute a rendere a Cristo e alla Chiesa nella vita contemplativa, secondo l’indole e le finalità dell’Istituto di appartenenza, nella disciplina della clausura».

Poi l’elenco dei «requisiti» necessari per l’erezione di un monastero «sui juris»: «Una comunità che abbia dato buona testimonianza di vita fraterna in comune con la necessaria vitalità nel vivere e trasmettere il carisma, composta da almeno otto monache di voti solenni, purché la maggior parte non sia di età avanzata; oltre al numero si richiedono particolari capacità in alcune monache della comunità, che devono essere in grado di assumere: come superiora, il servizio dell’autorità; come formatrice, la formazione iniziale delle candidate; come economa, l’amministrazione dei beni del monastero; locali adatti allo stile di vita della comunità, per garantire alle monache la possibilità di condurre regolarmente la vita contemplativa secondo l’indole e lo spirito proprio dell’Istituto di appartenenza; condizioni economiche tali da garantire alla comunità di provvedere da se stessa alle necessità della vita quotidiana». Spetta alla Santa Sede «il giudizio ultimo di valutazione» sulla presenza di tali requisiti.

I criteri per la «soppressione» di un monastero. «Un monastero di monache che non riesce ad esprimere, secondo l’indole contemplativa e le finalità dell’Istituto, la particolare testimonianza pubblica a Cristo e alla Chiesa Sua Sposa, deve essere soppresso, tenuta presente l’utilità della Chiesa e dell’Istituto cui il monastero appartiene». La «Cor Orans fa presente che, in caso di crisi, «l’affiliazione può essere occasione di ripresa e di rinascita quando l’autonomia di vita è parzialmente compromessa. Se la situazione di incapacità si presenta irreversibile, la soluzione, dolorosa quanto necessaria, è la soppressione del monastero». Fra i «criteri che possono concorrere a determinare un giudizio riguardo alla soppressione di un monastero, dopo aver vagliato tutte le circostanze», figurano: «Il numero delle monache, l’età avanzata della maggior parte dei membri, la reale capacità di governo e formativa, la mancanza di candidate da parecchi anni, la mancanza della necessaria vitalità nel vivere e trasmettere il carisma nella fedeltà dinamica».

«Un monastero di monache viene soppresso unicamente dalla Santa Sede acquisito il parere del vescovo diocesano e, se pare opportuno, sentito il parere della Presidente federale, dell’Assistente religioso e dell’Ordinario religioso», si legge nell’Istruzione. Quanto ai beni del monastero soppresso, «rispettate le volontà dei fondatori e donatori, seguono le monache superstiti e vanno, in proporzione, ai monasteri che le accolgono, salvo altra disposizione della Santa Sede. In caso di soppressione di monastero totalmente estinto, quando non ci sono monache superstiti, salvo altra disposizione della Santa Sede, la destinazione dei beni del monastero soppresso, nel rispetto delle norme canoniche e civili, vanno alla persona giuridica superiore rispettiva, cioè alla Federazione dei monasteri o ad altra struttura di comunione tra i monasteri ad essa equiparata oppure alla Congregazione monastica femminile».

Spetta al vescovo diocesano vigilare su eventuali «abusi» commessi nei monasteri femminili, affermal’Istruzione in cui sono contenute anche le norme per la «vigilanza ecclesiale», «esercitata principalmente – ma non esclusivamente – mediante la visita regolare di un’autorità esterna ai monasteri stessi». «Tutti i monasteri femminili, fatta salva l’autonomia interna e l’eventuale esenzione esterna sono soggetti al vescovo diocesano», si ricorda nel testo a proposito della «sollecitudine pastorale» del vescovo. «La comunità del monastero femminile è soggetta alla potestà del vescovo – si dispone nel documento – al quale deve devoto rispetto e riverenza in ciò che riguarda l’esercizio pubblico del culto divino, la cura delle anime e le forme di apostolato corrispondenti alla propria indole».

Il vescovo diocesano, inoltre, «in occasione della visita pastorale o di altre visite paterne ed anche in caso di necessità, può prendere egli stesso soluzioni opportune quando constata che esistono abusi e dopo che i richiami fatti alla Superiora maggiore non hanno sortito alcun effetto». Ed è ancora il vescovo che «interviene nell’erezione del monastero dando il consenso scritto prima che venga richiesto il benestare della Sede Apostolica», che nomina il cappellano e approva i confessori ordinari, «considerando la specificità del carisma proprio e le esigenze della vita fraterna in comunità». Il vescovo diocesano, infine, «interviene nella soppressione del monastero, esprimendo il proprio parere» e «ha la facoltà per giusta causa di entrare nella clausura e di permettere, con il consenso della Superiora maggiore, ad altre persone di entrarvi».

Mass media «devono essere usati con sobrietà e discrezione». La clausura «è un obbligo», e i media – dispone l’Istruzione – «devono essere usati con sobrietà e discrezione, non solo riguardo ai contenuti ma anche alla quantità delle informazioni e al tipo di comunicazione». «La separazione dal mondo caratterizza la natura e le finalità degli Istituti di vita consacrata religiosi e corrisponde al dettato paolino di non conformarsi alla mentalità di questo secolo, fuggendo ogni forma di mondanità», si ricorda nel testo diffuso oggi: «Per la vita religiosa, la clausura costituisce un obbligo comune a tutti gli istituti ed esprime l’aspetto materiale della separazione dal mondo». «La modalità della separazione dall’esterno dello spazio esclusivamente riservato alle monache deve essere materiale ed efficace, non solo simbolica o spirituale», la raccomandazione del testo, in cui si fa presente che «si può svuotare il silenzio contemplativo quando si riempie la clausura di rumori, di notizie e di parole».

Di qui la «grande importanza», per la vita contemplativa, di «raccoglimento» e «silenzio», per salvaguardare la quale occorre un uso prudente dei media. A questo proposito, l’Istruzione scende nel dettaglio: «L’uso dei mezzi di comunicazione, per motivo di informazione, di formazione o di lavoro, può essere consentito nel monastero, con prudente discernimento, ad utilità comune, secondo le disposizioni del Capitolo conventuale contenute nel progetto comunitario di vita». «Le monache – il compito affidato alle religiose – curano la doverosa informazione sulla Chiesa e sul mondo, non con la molteplicità delle notizie, ma sapendo coglierne l’essenziale alla luce di Dio, per portarle nella preghiera in sintonia con il cuore di Cristo».