Vita Chiesa

DIOCESI IN RETE, MONS. POMPILI: SOCIAL NETWORK TERZO LUOGO TRA PUBBLICO E PRIVATO

“Il social network è sempre più un terzo luogo tra pubblico e privato, tra personale e sociale: un luogo che può consentire di rimettere insieme il puzzle sociale, che può fungere da spazio di intermediazione, in un contesto sociale sfilacciato e potenzialmente esplosivo”. Lo ha detto mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenendo oggi al seminario “Diocesi in rete”, a cui partecipano 200 persone, in rappresentanza di 85 diocesi. Il social network, ha proseguito il relatore è un “terzo luogo” anche come ambito di “relazione di esperienze” per far emergere “isole di senso”: di qui la necessità di tener presente, analizzando la “rete” sotto questo profilo, alcuni “prepotenti bisogni” che emergono, a partire dalla consapevolezza che “la sfida che Internet pone all’educazione non è appena la domanda sui mezzi e le strategie per ‘usare meglio’ la Rete proteggendosi dai suoi rischi, cioè le istruzioni per l’uso”, perché “ciò che più radicalmente è in gioco è comprendere i termini nuovi, ma in realtà antichissimi, della sfida educativa sottesa”. Il primo bisogno da analizzare è il bisogno di identità: “Nelle comunicazioni in rete – ha spiegato mons. Pompili – ciascuno presenta se stesso con i caratteri frequentemente della idealizzazione”. C’è. Ovviamente, “il rischio di artificiosità”, con il “tentativo di una fuga dalla realtà concreta per vivere un’identità puramente immaginaria, fittizia”, ma c’è anche “un bisogno profondamente positivo: quello, cioè, di instaurare relazioni nelle quali non valgano il pregiudizio, il peso di ciò che si è socialmente sedimentato. Insomma il bisogno di un nuovo inizio”, a cui il cristianesimo offre la risposta dello “sguardo di Cristo”. “Molte espressioni dell’esperienza in rete, dai blog personali ai profili, possono essere letti come una ricerca di visibilità, per paura della invisibilità”, ha fatto notare il relatore, sottolineando che “la nostra cultura narcisista ha enfatizzato l’esteriorità, l’immagine”. Dietro, però, a tutto questo, c’è “un bisogno di riconoscimento”, poiché “non c’è niente di peggio di colui che è assolutamente libero in un mondo in cui nessuno si accorge di lui”. “Un’esigenza di protagonismo”, questa, che “è tanto più forte e struggente quanto più debole e incerta è la consapevolezza del sé”. Anche qui il Vangelo “viene incontro con lo sguardo di Cristo che non confonde i volti”.In rete, “la crescita esponenziale dei contatti va di pari passo con una decrescita di rapporti e la connettività non è la stessa cosa che la prossimità”, senza contare “il rischio di creare delle ‘caste’ informatiche che seguano interessi specifici o di generare manipolazioni”. Tutto questo, però, per mons. Pompili “non cancella il bisogno di amicizia vera”. La rete, in altre parole, “quando è segnata dalla qualità della conversazione rende possibile fare opera di manutenzione delle relazioni, trasforma semplici contatti in confidenza ed autenticità, trasferisce il mondo virtuale in quello reale”. In una “società liquida” in cui “la vita convulsa rende più difficile reggere i rapporti interpersonali, perfino quelli parentali”, il social network fa emergere inoltre il “bisogno di comunità”, mettendo “in secondo piano l’aspetto del legame concreto e della responsabilità reciproca, che però possono essere reintrodotti in una seconda fase”. Infine, il “bisogno di autorità”: “La rottura dell’asimmetria giovane-adulto, genitore-figlio, docente-alunno, educatore-educando – l’analisi del relatore – è all’origine del vuoto educativo e si riflette soprattutto nel mondo di internet”. Di qui “i rischi di equivalenza” e di “relativismo”, ma anche il bisogno di una “differenza” giocata “non più sul ruolo, ma sulla credibilità personale”.Sir