Vita Chiesa

Dialogo interreligioso: Roma, incontro in Cei con i rappresentanti delle comunità islamiche in Italia

È la prima volta nella storia delle relazioni islamo-cattoliche del nostro Paese che avviene un incontro di questo genere a livello istituzionale. Hanno accolto l’invito imam di varie città italiane (Bologna, Trieste, Veneto, Saronno, Reggio Emilia), il presidente della Coreis Italia Yahya Sergio Pallavicini, l’imam della grande Moschea di Roma, Al-Azhar Al-Sharif, rappresentanti dell’Unione delle comunità islamiche in Italia (Ucoii), dell’Associazione degli imam e guide religiose, della Confederazione islamica italiana e di «Partecipazione e Spiritualità musulmana».

A dare il benvenuto ai presenti, è stato don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per il dialogo. «È la prima volta – ha detto – che ci troviamo a livello ufficiale. L’intenzione è di iniziare oggi un percorso con l’obiettivo di conoscerci, di ascoltarci e di mettere sul tavolo uno o due punti concreti sui quali provare a lavorare insieme». «Noi qui oggi – ha proseguito padre Giovanni Rizzi dell’Università Urbaniana – ci incontriamo dopo un’estate particolarmente sanguinosa nel Maghreb, in Europa, nel Vicino, nel Medio e nell’Estremo Oriente. Ci troviamo a non avere ancora parole comuni da condividere concretamente, quanto piuttosto ad avere noi, musulmani e cristiani, alcuni problemi in comune che viviamo insieme in Italia». «Vi saremo grati se voleste renderci partecipi delle vostre preoccupazioni e dei vostri problemi, così che anche noi possiamo conoscere meglio e portare con voi il peso delle vostre inquietudini, delle vostre sofferenze e delle vostre speranze».

Hanno poi preso la parola gli imam. Yassine Lafram, coordinatore dei centri islamici di Bologna ha chiesto di «non dare per scontato che tutti oggi siano disposti a dialogare» e ha sottolineato l’importanza di «trascinarsi dietro le rispettive comunità per evitare il rischio di dar vita ad un dialogo di facciata». Yahya Pallavicini chiarisce subito il «no» al sincretismo («dove c’è confusione non si capisce chi sta dialogando e su che cosa»), al «baratto teologico» («Non si dialoga per trovare un compromesso teologico: le differenze devono essere rispettate in quanto differenze») e al  «dialogo del buonismo». Ma ha poi concluso: «Noi siamo indotti a dialogare perché i tempi ce lo chiedono: se non ci mettiamo in dialogo, rischiamo di mettere a repentaglio la nostra stessa identità religiosa. Solo il dialogo oggi può essere il vero antidoto al radicalismo, a coloro che vogliono dividere».