Vita Chiesa

Divorziati e risposati, nelle pieghe di un dramma

di Giovanna Pasqualin Traversa“Tra i due principi egualmente importanti – carità e verità – che debbono ispirare il nostro atteggiamento nel merito, quello che ha la precedenza è la carità”, come ribadito anche dalla proposizione n. 40 del Sinodo dei vescovi intitolata “I divorziati risposati e l’Eucaristia”. A sottolinearlo al Sir è padre PAOLO BACHELET, che da alcuni anni coordina a Roma gruppi di preghiera di separati e divorziati. Per il religioso, che invita a privilegiare “la misericordia piuttosto che il giudizio”, è tuttavia importante fare chiarezza sulla questione.

Dalla proposizione emerge una Chiesa più incline ad accogliere che a giudicare?

“Sì, i padri sinodali riaffermano innanzitutto l’importanza di un atteggiamento di attenzione e accoglienza verso i fedeli divorziati e risposati, e solo in secondo luogo ricordano l’insegnamento della Chiesa in base al quale essi non possono essere ammessi alla comunione. Ciò rispecchia il pensiero già più volte espresso in recenti documenti pontifici, quali la Familiaris Consortio e la Reconciliatio et Paenitentia, secondo il quale tra i due principi egualmente importanti che debbono ispirare il nostro atteggiamento nel merito – carità e verità – quello che ha la precedenza è la carità. In particolare, l’ Ecclesia in Europa afferma che di fronte a tante famiglie disfatte, la Chiesa si sente chiamata non a esprimere un giudizio severo e distaccato, quanto piuttosto a immettere nelle pieghe di questi drammi la luce della Parola di Dio accompagnata dalla testimonianza della Sua misericordia”.

Quale, allora, la posizione dei divorziati risposati nella Chiesa?

“Nella proposizione non si parla semplicemente di divorziati risposati, ma di fedeli divorziati e risposati. Con la parola fedeli si vuole sottolineare che essi non sono al di fuori della Chiesa, ma che appartengono alla Chiesa e per questo, anche se non possono accostarsi alla comunione, sono invitati a partecipare alle sue attività. Allo stesso modo è da notare che la proposizione non usa mai l’espressione situazioni matrimoniali irregolari che, pur teologicamente esatta, potrebbe suonare per gli interessati offensiva come un giudizio di condanna”.

Perché essi non possono accostarsi all’Eucaristia?

“La richiesta di astenersi dalla comunione non significa che tali fedeli siano più peccatori di altri, né si propone di infliggere loro una punizione, tanto più che coniugi non separati, ma abitualmente egoisti, infedeli o violenti, possono essere soggettivamente molto più colpevoli. La Chiesa non intende esprimere un giudizio sulla colpevolezza soggettiva, perché nell’intimo della coscienza solo Dio vede e giudica. Essa rileva unicamente che il fedele divorziato e risposato vive in una situazione che è oggettivamente in grave contrasto con l’insegnamento di Cristo, e vi permane senza volervi porre fine. Una prassi pastorale diversa potrebbe ingannare il divorziato stesso e disorientare gli altri fedeli, dando l’impressione che tale situazione possa ritenersi ammissibile e lecita. A chi esprime meraviglia sul fatto che essi, pur non scomunicati, non siano ammessi al sacramento dell’Eucaristia, occorre spiegare che i divorziati risposati sono sotto molti aspetti in comunione con la Chiesa, ma non sono in piena comunione con essa perché il loro stato di vita è oggettivamente contrario all’insegnamento del Vangelo e della Chiesa stessa. Non consente pertanto di ricevere l’Eucaristia che esige ed esprime una piena comunione”.

All’interno della Chiesa sembrano tuttavia esservi posizioni diverse, suffragate da una certa interpretazione di parole pronunciate di recente dal Papa…

“Desidero precisare che, rivolgendosi lo scorso mese di luglio al clero della Valle d’Aosta, Benedetto XVI ha invitato a riflettere su determinati casi. Non si tratta, però, di casi qualsiasi, ma di divorziati e risposati per i quali il primo matrimonio potrebbe esser nullo per mancanza di fede, e questo era già stato affermato nel 1994 dall’allora card. Ratzinger nell’introduzione al libro della Congregazione per la dottrina della fede Sulla pastorale dei divorziati risposati. In quell’occasione il prefetto parlava dell’esigenza di ulteriori studi approfonditi per i quali resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di non-fede abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. Il problema da studiare è proprio questo, dal punto di vista teologico, per capire quanta fede ci voglia per ricevere un sacramento. Poiché ogni cristiano gode dello ius nubendi (diritto al matrimonio), come può un prete valutare o contestare l’autenticità delle affermazioni di fede e di accettazione degli impegni da assumere espresse dai nubendi? E al tempo stesso, dopo un fallimento matrimoniale, come si può stabilire la nullità del vincolo dimostrando la mancanza di fede all’atto della celebrazione, invocata a posteriori dai contraenti? È questa la vera questione aperta, molto delicata e complessa dal punto di vista teologico, pastorale e giuridico”.