Vita Chiesa

Dodicesima Congregazione: Dialogo e cooperazione

L’urgenza dell’unità per affrontare con efficacia la piaga dell’esodo dei cristiani, per ravvivare l’impegno per il bene comune dei fedeli delle diverse Chiese, per chiedere la libertà religiosa, per avere più peso nei rispettivi Paesi e per dialogare con i musulmani con convinzione e verità: sono stati alcuni dei temi affrontati nel corso della Dodicesima congregazione (21 ottobre) del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente che ha ospitato gli interventi, tra gli altri, anche di diversi delegati fraterni. Capaci di dialogare. “La garanzia della libertà religiosa per tutti è la prima condizione inalienabile per qualsiasi coesistenza”. Lo ha ribadito Emmanuel Adamakis, metropolita di Francia, parlando al Sinodo dove ha evidenziato due fatti “essenziali”: “il primo riguarda la scomparsa progressiva del cristianesimo in Medio Oriente”, ed il secondo “le nostre capacità di dialogare con le altre componenti religiose della regione e in particolare con i nostri fratelli musulmani ed ebrei”. Circa la permanenza dei cristiani nella regione alla luce del dialogo con gli ortodossi, il metropolita di Francia ha ricordato che il Sinodo “è un segno rivolto non solo agli orientali cattolici, ma anche alla Chiesa Ortodossa. Il pluralismo locale deve essere in grado di far progredire le nostre varie iniziative di dialogo e di concretizzarsi in altrettante cooperazioni necessarie e utili per il bene di un numero crescente e la trasmissione efficace della testimonianza evangelica. In effetti la speranza tangibile di una prossima unione avrà un effetto catalizzatore. Un’unione garantirebbe il permanere della presenza cristiana”. Sulla capacità di dialogo con i musulmani ed ebrei, Adamakis ha dichiarato che “il Medio Oriente deve abbandonare la tesi dello scontro di civiltà. Perché un vivere insieme è realizzabile, secondo modalità che non saranno dettate da terzi, ma da quanti vi vivono giorno dopo giorno”. Per la pace e la giustizia. Sulla stessa linea si è posto il vescovo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa nonché presidente della World Lutheran Federation, Munib Younan che ha chiesto di “ravvivare la testimonianza comune per il bene del popolo” ponendo all’attenzione dei padri tre problemi: “la precaria situazione politica, la disoccupazione in seguito alla situazione economica e l’aumento dell’estremismo – sia politico che religioso – che sconvolgono la regione e portano all’emigrazione”. Secondo Younan “il futuro del cristianesimo dipende dalla pace e dalla giustizia in Medio Oriente. La nostra base si aspetta di vederci operare insieme, testimoniare insieme e amarci vicendevolmente. Per questo motivo è essenziale rafforzare i nostri rapporti ecumenici sia nella zona israelo-palestinese, sia in tutto il Medio Oriente”. Per Younan “la testimonianza comune della Chiesa – nonostante il calo numerico – è essenziale per la costruzione di una società moderna, democratica e rispettosa dei diritti umani, e promuove la libertà di religione, una coscienza per tutto il Medio Oriente, per il mondo arabo e musulmano. La nostra Chiesa non si nasconde per paura della propria sopravvivenza, ma confida nella forza dello Spirito”. L’ora di agire. Il dialogo con l’Islam è stato al centro degli interventi di mons. Raboula Antoine Beylouni, e di mons. Flavien Joseph Melki, entrambi vescovi di Curia di Antiochia dei Siri (Libano). Il primo ha chiesto di “ricorrere alla figura della vergine Maria”, rispettata dall’Islam, “nel dialogo e in ogni incontro con i musulmani”, proposta dettata anche dalle difficoltà che rendono inefficaci gli incontri con l’Islam. Tra queste difficoltà l’arcivescovo ha citato il fatto che “il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria”. Mons. Melki ha ricordato che “i circa 15.000.000 di cristiani del Medio Oriente sono, sottoposti da 14 secoli a molteplici forme di persecuzione, di massacro, di discriminazione, di sopruso e di umiliazione. Ancora oggi, nel III millennio, assistiamo impotenti, alla prova dei nostri fratelli iracheni e al loro esodo di massa”. “Occorre agire, senza tardare, per riformare questi regimi islamici. I cristiani del Medio Oriente devono essere aiutati dalla Chiesa universale e dai paesi democratici”. Impegno internazionale. Anche per mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti “è decisivo sollecitare un impegno politico a livello mondiale che affronti le cause dell’emorragia di uomini e donne, che svuota le Chiese del Medio Oriente. Sarebbe terribile se la Terra Santa e i Paesi limitrofi, diventassero un museo di pietre”. Medesimo impegno deve essere rivolto verso “la formazione al rispetto della centralità e della dignità di ogni persona umana, l’opposizione alla xenofobia e il sostegno all’integrazione. Le comunità cristiane del Medio Oriente devono essere anche incoraggiate ad una migliore conoscenza reciproca, che le aiuti a rispettarsi e ad apprezzarsi maggiormente, a collaborare e a lavorare insieme per avere maggior peso” così come a “rimanere in patria per svolgere là la loro missione di ‘lievito’, attraverso la testimonianza della comunione”.

a cura di Daniele Rocchi