Vita Chiesa

Don Benzi il difensore della vita contro tutte le schiavitù

di Alessandra Leardini

“Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio». Con queste parole, scritte qualche mese fa sul libretto Pane quotidiano come commento alla prima lettura della liturgia del 2 novembre, don Oreste Benzi aveva descritto la propria morte. Mai lo aveva fatto prima. Parole che risuonano come profetiche all’indomani della scomparsa del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, avvenuta proprio nella notte di venerdì 2 novembre. Don Oreste aveva 82 anni.

L’ULTIMO SALUTO. Almeno 25mila persone, tra cui diverse autorità, ma anche amici, collaboratori della Comunità e, soprattutto, tanti tra gli «ultimi» ai quali don Oreste ha sempre dedicato le sue battaglie, hanno voluto portare l’ultimo saluto alla salma, allestita da venerdì mattina nei locali della parrocchia della Resurrezione, dove, con l’attuale parroco don Elio Piccari, don Benzi aveva posto le prime fondamenta della sua Comunità. Diecimila, invece, le persone accorse ai funerali, lunedì 5 novembre, celebrati nell’auditorium del Palacongressi di Rimini dal vescovo Francesco Lambiasi (nella foto le esequie). Una sede preferita al duomo perché più ampia e più accessibile ai tanti bambini e persone disabili che don Benzi aveva sempre voluto con sé e che alle esequie erano seduti nelle prime file. Di fronte a quattrocento sacerdoti e a una trentina tra cardinali e vescovi provenienti da tutt’Italia, mons. Lambiasi ha tratteggiato nell’omelia i caratteri salienti della personalità di don Oreste. «Ha sempre creduto e predicato con le parole e con gesti coerenti e concreti il cuore della fede». Il vescovo di Rimini ha poi ripercorso tutta la sua «straordinaria e infaticabile opera», i suoi oltre 15 anni come padre spirituale in seminario, l’insegnamento della religione e l’assistenza ai giovani di Azione Cattolica, i lunghissimi anni come parroco e soprattutto come fondatore della Papa Giovanni, a favore della vita non ancora nata, dell’umanità emarginata, della pace e dei diritti umani. Il presule ha ricordato anche alcune denunce forti rivolte da don Benzi alla comunità politica. «Oggi 100.000 donne – aveva lamentato il 19 ottobre scorso a Pisa, intervenendo alla Settimana Sociale – sono tenute sotto sfruttamento in Italia. Vergogna! Perché viene mantenuto un massacro, un orrore simile? Non si vuole perdere il voto di milioni di clienti».

APOSTOLO DELLA CARITÀ. «Un grande ed esemplare sacerdote, uomo di Dio e quindi dei poveri, che ha saputo proporre un’esperienza di fede capace di interpellare, con la radicalità della sua testimonianza, il cuore di tante persone». Con queste parole mons. Angelo Bagnasco e mons. Giuseppe Betori, rispettivamente presidente e segretario generale della Cei, hanno ricordato don Oreste Benzi. In una lettera inviata al vescovo di Rimini, mons. Bagnasco e mons. Betori hanno evidenziato l’azione per «contrastare la piaga dell’aborto, con efficaci misure di sostegno all’accoglienza della vita e con la preoccupazione di offrire a tutti validi ambienti di affetto ed educazione mediante la promozione di case-famiglia». Benedetto XVI, in un telegramma alla diocesi riminese, ha dipinto il sacerdote come un «infaticabile apostolo della carità». Un paladino per i poveri, i «fratelli barboni» (come don Benzi amava chiamare i senza tetto), le prostitute (molte delle quali ha liberato dalla schiavitù della strada accogliendole nelle case famiglia della Comunità) e i disabili.

La Comunità continua il cammino: «Porteremo avanti la sua opera»«Il vuoto che ci ha lasciato è grande, ma altrettanta è la determinazione a voler continuare la sua passione per la condivisione con i piccoli e gli ultimi». Con queste parole il vicepresidente dell’Associazione «Comunità Papa Giovanni XXIII», Giovanni Paolo Ramonda, al quale ora spetta il compito di guidare la struttura in attesa del voto dei volontari, ha sottolineato la volontà di portare avanti le opere avviate da don Oreste. Eredità che si traduce in oltre 200 case famiglia, 6 case di preghiera, 7 case di fraternità, 15 cooperative sociali per l’inserimento delle persone svantaggiate, 6 centri diurni per persone con handicap gravi, 32 comunità terapeutiche e la Capanna di Betlemme», a Rimini, per i senza tetto. Oggi la Comunità è presente in molti Paesi: Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, India, Kenya, Romania, Russia, Tanzania, Venezuela e Zambia. L’associazione «Papa Giovanni XXIII», una rete di solidarietà presente anche in ToscanaL’associazione «Papa Giovanni XXIII», nata da un’intuizione di don Oreste Benzi, ottiene nel 1983 da parte del Vescovo della Diocesi di Rimini Giovanni Locatelli il riconoscimento di «aggregazione ecclesiale». Il 7 ottobre del 1998 è riconosciuta come «associazione internazionale privata di fedeli di diritto pontificio» e viene confermata anche dal Pontificio Consiglio dei Laici. Da più di trenta anni opera nel vasto mondo dell’emarginazione in Italia e all’estero. È presente in cinque continenti e in sedici Paesi. I membri della Comunità Papa Giovanni XXIII scelgono di condividere la propria vita direttamente con quella degli ultimi, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce e accettando di «farsi liberare dal Signore attraverso loro». L’amore ai fratelli poveri si spinge fino a cercare di rimuovere le cause che provocano il bisogno. Ciò determina, da parte delle varie comunità, un impegno costante nel sociale, con un’azione non violenta, per un mondo più giusto e dando voce a chi non ha voce. In Toscana l’Associazione è presente da oltre vent’anni. Nella zona Nord, che comprende la Lunigiana e le province di Massa, Pisa e Livorno, le realtà riconducibili alla «Papa Giovanni» sono dodici, mentre nella Toscana centrale (province di Lucca, Siena e Firenze) le «case famiglia» sono quattro. Per un totale di circa quaranta aderenti, che vivono seguendo le indicazioni di don Oreste e che ricoprono ruoli di responsabilità educativa. Oltre a loro un’opera preziosa viene svolta dai volontari. Le persone accolte in queste strutture oscillano tra le 100 e le 150. L’ambito di intervento abbraccia un ampio ventaglio di situazioni che va dal disagio giovanile, al recupero dei carcerati per un pieno reinserimento sociale, passando per l’handicap, la prostituzione, le ragazze madri e l’affidamento dei minori. Lucia Servici è la responsabile della zona della Toscana centrale, mentre Norina Piagneri della zona «Toscana Nord» . Insieme a suo marito Mauro Cavicchioli gestisce una casa famiglia e la cooperativa «Il pungiglione» che produce miele Dop e che, grazie al lavoro manuale, realizza progetti di recupero e reinserimento sociale destinati ad ex carcerati o persone con un elevato disagio sociale. E proprio Mauro Cavicchioli, parlando della cooperativa, ha dichiarato che «il nostro obiettivo è quello di educare ad una nuova mentalità oltrepassando la cultura del sospetto e dell’indifferenza. Come diceva Martin Luther King il problema non è la malvagità dei cattivi ma l’indifferenza degli onesti. In queste parole si ritrova la lezione che don Oreste ci ha lasciato in eredità». Per informazioni: zona Toscana centrale 055- 9120313, zona Toscana nord 0187-850022.

Renato Bruschi