Vita Chiesa

Don Corso Guicciardini, sabato alle 10 i funerali in diretta streaming dalla cattedrale. Il racconto dei suoi incontri con La Pira e don Facibeni

In molti hanno notato il fatto che don Corso – come era chiamato dai suoi confratelli e dai “figli” della Madonnina del Grappa – sia morto il 5 novembre, lo stesso giorno in cui la Chiesa fiorentina ricorda, ogni anno, l’anniversario della morte di Giorgio La Pira.

L’importanza che La Pira aveva avuto nella sua vita l’ha raccontata in un libro pubblicato nel 2018 (“Don Corso Guicciardini, passare dalla cruna dell’ago”, Gabrielli editore) frutto di una lunga serie di conversazioni con Carlo Parenti. In una di queste interviste aveva raccontato: «mi rendo conto del valore di quei giorni e dell’esperienza che ho fatto con La Pira. Meravigliosa, perché La Pira aveva il pregio unico di legare la storia del tempo e le sue prove con la Sua vita di Fede. La Pira ci ha coinvolto nel problema della nostra Fede e inevitabilmente ci ha portato a decidere perché questa Fede non fosse passata fuori da un vero e proprio problema di coscienza cristiana. Riconosco che La Pira con il Suo affetto e con la Sua comunicazione fraterna mi ha portato al di là di me stesso e mi ha coinvolto, appunto, in un problema di Fede da attuare…Quando incontrai La Pira a Fonterutoli, dai Mazzei dove si era rifugiato nell’estate del 1944, per sfuggire ai repubblichini che lo volevano arrestare,il professore mi chiamò nella sua camera – al secondo piano c’aveva una camera – con un letto proprio di quelli famosi, tradizionali che s’usavano in campagna, di ferro battuto. Si sedette sul letto. Io mi appoggiai alla spalliera. Mi parlò di prepararsi bene per dedicare la vita all’annuncio del Signore. Sicché mi parlò della vocazione, ma più che della vocazione mi parlò di diventare apostolo del Signore…Lo ascoltai, però lui mi fece una chiamata…Quando tornò da Roma dopo la liberazione in agosto di Firenze Lui mi ripropose il problema della vocazione. Pensa un poco! [lo disse con enfasi e ritrasmette a distanza di tanto tempo tutta la meraviglia ed anche la soddisfazione per l’importanza del fatto]. E io gli dissi:”Professore io non le posso rispondere, perché io ho già deciso. Ho già deciso! Ma ora io non le posso rispondere come”. Io avevo deciso che mi sarei fatto sacerdote. Ma non glielo dissi, perché non l’avevo nemmeno comunicato alla mia famiglia. E non potevo dirgli, non gli dissi. Però la mia non era una vocazione laicale (come la sua) perché io non ero fatto per la vocazione laicale. È chiaro: per fare la vocazione laicale, il missionario laico, ci vuole delle qualità particolari che non erano le mie, erano assolutamente fuori dalla mia portata! Sicché io non gli dissi nulla, ma lui non insistette. Capito? Tutto qui!».

L’altro incontro fondamentale è quello che don Giulio Facibeni, fondatore della Madonnina del Grappa, che poi lo indicherà come suo successore. Proprio l’incontro coi poveri contribuì alla scelta: ecco ancora le sue parole dal libro di Carlo Parenti: «Perché poi da sacerdote sono entrato nell’Opera? Perché c’era la povertà, perché era un elemento che il Vangelo faceva affiorare nella mia coscienza. Non si può vivere il Vangelo senza abbracciare la povertà! I poveri… ti rivoluzionano il mondo interiore, perché ti fanno capire che non sei nulla, che non sei nulla! Un oceano di bisogni. Te ti avvicini e ti assorbono, ti prendono tutto, ti trasformano. Essere cristiani non è il chiedere a Dio quello che noi vogliamo da Lui, ma è fare quello che Lui vuole da noi. Spogliarsi di tutto per essere Suoi strumenti di misericordia e carità».