Vita Chiesa

Don Milani: card. Betori, non fu «ribelle», ma ubbidiente alla verità

«Non è giusto definire don Milani un “ribelle”. Non lo fu, perché cercò sempre l’obbedienza che si deve alla verità che si svela alla coscienza, non quella individualistica che si crea i propri idoli secondo quel che piace, ma quella che si forma nel rapporto con la Parola, con la comunità, con i poveri». Lo ha detto stamani il cardinale Giuseppe Betori nella Messa con cui ha ricordato i 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani, nella parrocchia di San Donato a Calenzano, quella dove ha «trascorso come cappellano i primi sette anni del suo ministero».

«La sua obbedienza era fondata sulla libertà della propria coscienza, pronta ad aderire al vero anche a caro prezzo», ha detto Betori che è di nuovo tornato a denunciare le «deformazioni con cui si è cercato di strumentalizzarlo, peraltro inutilmente, a fini di parte» la figura di don Milani, così come aveva fatto martedì scorso a Barbiana, in occasione della visita del Papa, rimandando invece a quel «fondamento di fede che ne illumina la vita: riconoscimento del male nel mondo e fede in Cristo unico salvatore, per il quale donare la vita ai fratelli». Ed è su «questo fondamento di fede», ha proseguito il card. Betori – che don Milani «affrontò il mondo e la Chiesa con il coraggio dei profeti che, come spiega la pagina odierna di Geremia, non sono coloro che precedono il futuro, come s’usa dire, ma coloro che stanno fermi in Dio nonostante tutto, nonostante che il presente sia avverso a loro, e soprattutto a Lui, a Dio».

«Papa Francesco – ha aggiunto l’arcivescovo di Firenze, citando il video messaggio del 23 aprile scorso – ha detto di don Milani: “Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato… Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa… La sofferenza, le ferite subite, la Croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù”».

L’esperienza di don Milani, ha proseguito l’arcivescovo, è «un metodo con cui affrontare la realtà sociale illuminati dalla radicalità del Vangelo, un’esperienza e una vita» che ci ispirano «a costruire nostre modalità di stare tra la gente oggi per servire i poveri, non un modello da ripetere nelle forme con cui egli ha realizzato la sua missione. Non lo accetterebbe lui, che rifuggì sempre gli imitatori dei suoi metodi pastorali, perfino del suo strumento apostolico privilegiato che era la scuola, quella che proprio qui sperimentò per primo». 

«Se non si tratta di rifare le stesse cose che fece don Milani – ha detto ancora il card. Betori -, è invece per noi doveroso richiamarci alle esigenze di fede da cui egli mosse. E queste esigenze sono quelle che la pagina del vangelo di oggi ci propone: dire la verità sull’uomo con coraggio, sempre e senza sconti, pronti a soffrire anche opposizioni ed emarginazioni – le nostre Barbiane –, sapendo che siamo nelle mani di un Dio che ci ama e che non ci abbandona».