Vita Chiesa

Dopo Firenze 2015: ora la Chiesa parli con un linguaggio di carne

«L’aspetto comunicativo è stato un elemento qualificante del Convegno. All’inizio il  titolo ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’ aveva destato un po’ di perplessità e diffidenza e poteva sembrare astratto; il metodo ‘sinodale’ e comunicativo adottato ha invece azzerato da subito le distanze e creato un ambiente accogliente». Ne è convinta Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia delle comunicazioni presso l’Università cattolica di Milano.

Il percorso di avvicinamento all’incontro è stato infatti contrassegnato anche dalla raccolta di contenuti provenienti dal territorio e pubblicati sul sito www.firenze2015.it e sui social: Twitter, Facebook e Youtube. «La scelta di porsi in ascolto di esperienze, riflessioni, fatiche, insomma della vita concreta delle diocesi, e di farle confluire, prima e durante il Convegno, in uno spazio di condivisione, si è rivelata vincente».

Quali «atti»?  La segreteria e la presidenza del Convegno, prosegue la sociologa, «stanno valutando come preparare gli ‘atti’, ma questi, come gli atti degli apostoli, non saranno un volume da pubblicare e riporre in libreria, ma piuttosto i processi che si innescheranno nelle diocesi a partire da quanto emerso e condiviso a Firenze, una dinamica comunicativa e progettuale».

«Spero – dice – che questo venga compreso da chi ha la responsabilità di non tradirne le attese». «Come il Papa – fa notare la sociologa -, anche gli organizzatori dell’appuntamento fiorentino non ci hanno detto che cosa dovevamo fare, ma ci hanno indicato, anzi fornito, strumenti e metodo».

I tavoli. Dopo le prime due giornate, la riflessione-comunicazione è entrata nel vivo nei cinque gruppi di lavoro, uno per ciascuna delle cinque «vie» indicate nella Traccia (uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare), divisi ognuno in quattro sottogruppi suddivisi a loro volta in dieci tavoli di dieci partecipanti ciascuno. Tutti, assicura Giaccardi, hanno realmente avuto la possibilità di intervenire e di esprimere la propria opinione. «Non ho partecipato ai lavori – racconta – ma ho girato per i tavoli. Ho visto lo spazio dato ai giovani – un tavolo per ogni via – il loro entusiasmo e il loro impegno». Quando cento persone parlano tutte insieme, come nei diversi gruppi, la confusione e il rumore sono scontati. Giaccardi parla invece di «attenzione a non sovrastare la voce degli altri» e di «brusio operoso, ma non fastidioso, che esprime la capacità di lavorare insieme nell’eterogeneità dei gruppi dove sedevano vescovi, mamme, direttori di testata, insegnanti, operatori parrocchiali…».

Livelli comunicativi. «Non è mancato qualche caso in cui il vescovo ha monopolizzato l’attenzione – ammette con un sorriso -, ma quasi sempre questo metodo, basato sui passaggi di comunicazione, si è rivelato vincente».

Un successo in gran parte dipeso «dall’abilità dei facilitatori e dei moderatori. È grazie a loro se tutti i passaggi tra un livello e l’altro hanno funzionato». Quanto alle sintesi finali, Giaccardi le definisce rappresentative del lavoro svolto: «non un elenco delle cose dette, ma una rilettura unitaria di quanto emerso, propositive per l’identificazione di possibili piste d’azione».

Ma c’è di più: questo stile comunicativo, «vero metodo ‘sinodale’, ha contagiato anche vescovi che di norma hanno un codice espressivo più tradizionale», osserva raccontando che il cardinale Betori, «allo stadio, dopo il primo applauso ha detto di avere sentito l’affetto di Firenze, toccata da questo evento diventato in quei giorni parte stessa della città, e ha assunto una modalità comunicativa molto più calda, sciolta». Allo stesso modo, secondo l’esperta, il cardinale Bagnasco, «sempre molto misurato nella gestualità e nei toni», presentando le prospettive «ha avuto un attimo di incertezza con i fogli, ma l’applauso che ha ricevuto ha scaldato l’atmosfera e anche lui ne ha respirato il calore umano e l’aria di familiarità».

Giovani e social. Per Giaccardi, i social hanno costituito uno strumento utile per la «comunicazione ad intra e ad extra. Fin dall’inizio, l’attività su Twitter e Facebook e gli accessi al sito hanno rivelato l’interesse anche di chi normalmente non segue eventi ecclesiali», e hanno dimostrato il possibile «uso ‘educativo’ della rete. Anziché postare sciocchezze, moltissimi giovani hanno condiviso video sul significato dell’essere umani, o esperienze nelle loro parrocchie». A Firenze, conclude , la comunicazione è stata «metodo, contenuto e prospettiva».

Ora «la palla torna ai vescovi che non devono deludere le aspettative sollevate dando voce alla comunità, ma valorizzare quanto emerso».