Vita Chiesa

Due missionari della misericordia raccontano il loro «viaggio» in Italia

Un’autocandidatura digitale, che parte però dall’esperienza di una vita, e un’accettazione trepidante, ma forte del legame che unisce catechesi e misericordia. Sono i volti di due missionari della misericordia che ora iniziano il loro «viaggio» nelle diocesi d’Italia, come ambasciatori speciali del Giubileo insieme ai loro oltre mille colleghi dei cinque continenti. Nelle loro orecchie risuona ancora di fresco l’invito del Papa nella Messa delle Ceneri: «Che le vostre mani benedicano e risollevino i fratelli e le sorelle con paternità; che attraverso di voi lo sguardo e le mani del Padre si posino sui figli e ne curino le ferite».

Esercitare il ministero della riconciliazione è uno dei compiti più impegnativi e delicati per un presbitero. Il Papa lo ha ricordato due volte, rivolgendosi rispettivamente ai frati cappuccini di tutto il mondo e ai missionari della misericordia, che il giorno dopo ha inviato in tutti i continenti: se pensate di non farcela, è meglio dedicarsi ad altre attività. Ma c’è anche chi, come i due grandi Santi scelti da Francesco come emblema del Giubileo – Pio da Pietrelcina e Leopoldo Mandic – ha dedicato all’amministrazione del sacramento della penitenza oltre 50 anni di vita religiosa. «Quando ho sentito dell’idea del Papa d’istituire per il Giubileo la figura dei missionari della misericordia, ho pensato subito: in fondo lo faccio da una vita. Così ho deciso di autocandidarmi». Ce lo confessa, è proprio il caso di dirlo, padre Lorenzo Baldella, passionista del Santuario di San Gabriele a Teramo, da dove arriva fresco di corso di aggiornamento sui «nuovi peccati» sociali e informatici.

Padre Lorenzo, poco dopo l’annuncio di Francesco, si è messo davanti al computer e ha deciso di inviare il suo curriculum tramite il sito dello Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Ed è stato scelto dal Papa.

Sui motivi, padre Lorenzo diplomaticamente non si pronuncia: «Sono stato fortunato, ma mi sono anche impegnato: il curriculum era molto dettagliato, si richiedeva anche la conoscenza delle lingue, ed io ho inserito lo spagnolo e il francese», frutto della consuetudine di nomade tra fedeli e pellegrini di tutto il mondo. Padre Lorenzo, giovane nonostante l’età anagrafica ormai avanzi, è infatti abituato «ad andare di qua e di à per le confessioni»:  «Quando i vescovi e i sacerdoti chiamano, io sono a disposizione».

Da passionista, poi, a suo parere ha un asso nella manica in più: la meditazione e l’assimilazione del mistero di Cristo Crocifisso, che dal carisma di san Paolo della Croce ha assunto la declinazione spontanea del chinarsi sulle ferite dei viandanti incontrati sulla strada. Del resto, l’alternativa posta dal Papa ai cappuccini durante la Messa a loro dedicata – ma per sua precisa volontà estesa a tutti i confessori – è netta e non lascia scampo: «O fate come Gesù, o fate come il diavolo».

La sua frontiera è la catechesi, un mare aperto dove per navigare servono sempre nuove rotte. Quando lo sentiamo mancano poche ore all’udienza del Papa dedicata a questa sorta di «inviati speciali» del Giubileo, e la trepidazione sembra quasi di toccarla con mano. Monsignor Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano di Bologna e dell’Ufficio catechistico regionale dell’Emilia Romagna, racconta di «sorpresa e provocazione», nel rievocare il momento in cui ha appreso dell’incarico assegnatogli da Francesco, insieme agli altri suoi colleghi dei cinque Continenti.

«Non credo proprio di essere adatto», mette in guardia da subito il nostro interlocutore: «Nonostante siamo dei professionisti del sacro – il mea culpa – a volte c’è il rischio di perdere di vista quello che dobbiamo trasmettere».

La sorpresa, allora, va di pari passo alla «riscoperta» delle radici della propria fede. C’è un nesso tra catechesi e presenza nel confessionale? «Credo proprio di sì», risponde: «Non dimentichiamo il punto di riferimento prezioso del Concilio. Il Giubileo della misericordia nasce per celebrarne i 50 anni dalla chiusura: il Vaticano II si apre con la misericordia, dono che Giovanni XXIII chiede per la Chiesa, e si chiude con il discorso in cui Paolo VI cita il buon samaritano come icona delle impronte che la Chiesa è chiamata a lasciare nella storia e nel mondo». Per mons. Bulgarelli, «la capacità di proposta, di educazione alla fede, è strettamente legata alla misericordia, che è un tema carismatico: è Dio che ama gratuitamente, e che chiede gratuità, capacità di donazione, di spendersi per gli altri senza chiedere nulla in contraccambio». Chi ha più bisogno oggi di misericordia? «Ogni persona – la risposta – chiede di essere ascoltata, accolta, riconosciuta, custodita, compresa. La catechesi non è fatta di formule o di soli contenuti: serve l’attenzione ai gesti, oltre che alle parole». Il peccato più frequente? «L’autoreferenzialità, in tutte le sue forme». «Una tentazione subdola che arriva faticosamente ad invertire la rotta». Perché è proprio il contrario della gratuità.