Vita Chiesa

EVANGELIZZAZIONE: CARD. LEVADA, LA CHIESA CATTOLICA NON FA PROSELITISMO

La Chiesa cattolica non fa proselitismo e se una persona vuole aderire ad essa “deve essere rispettata”. Lo ha detto questa mattina il card. William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, intervenendo alla presentazione della “Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione” a cura della stessa Congregazione (Sintesi). Nel suo intervento, il prefetto ha parlato delle due implicazioni antropologiche della evangelizzazione: la libertà e la verità. Conoscere la verità della fede cristiana – ha detto – “è una grande benedizione per l’umanità”. “Nel contempo, la dignità umana richiede che la ricerca di tale verità rispetti la libertà della coscienza umana”. “Ne consegue che l’evangelizzazione non deve mai ricorrere ad una azione coercitiva né convertire con artifizi indegni del Vangelo”. In questo delicato equilibrio tra verità e libertà, il prefetto ha parlato delle “implicazioni ecumeniche” della evangelizzazione, precisando che la Nota “si colloca nel solco del moderno movimento ecumenico”.”L’opera di evangelizzazione fra i cristiani di varie confessioni conduce al dialogo e alla condivisione di doni che promuovono una più profonda conversione a Cristo. Quando le singole persone decidono in coscienza di aderire alla Chiesa Cattolica, tale decisione deve essere rispettata senza accusare la Chiesa Cattolica di una negativa forma di proselitismo”.

Il dialogo “sincero” tra i cristiani, “effettuato nella verità, nella libertà e nella carità”, “non priva del diritto né esime dalla responsabilità di annunciare in pienezza la fede cattolica agli altri cristiani, che liberamente accettano di accoglierla”. Sulle implicazioni “ecumeniche” della evangelizzazione si è soffermato anche mons. Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. “Nessuna obiezione – ha detto mons. Amato – può dunque ragionevolmente frenare od ostacolare l’impeto che dal cuore della Chiesa come fuoco di carità muove i nostri cuori ad annunciare, con parole ed opere, Colui che è la speranza attesa segretamente da ogni cuore”. La conversione a Cristo e l’adesione alla Chiesa cattolica non devono però essere intese come “l’estensione di un gruppo di potere” ma come “l’ingresso nella rete di amicizia con Cristo, che collega cielo e terra, continenti ed epoche diverse”. “Si comprende dunque come questo orizzonte, fatto di verità e di libertà, debba determinare anche l’ambito ecumenico. Anche qui, il necessario rispetto delle diverse sensibilità e delle rispettive tradizioni, non può eludere né l’esigenza della libertà né quella della verità, che sono i presupposti insostituibili di ogni forma di dialogo”.

“L’evangelizzazione nel contesto del pluralismo interreligioso in Asia entra nella sfera della proclamazione indiretta”, ossia “esporre e proporre la propria fede, senza volerla imporre a nessuno”. Lo ha ribadito oggi il cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, durante la conferenza stampa di presentazione in Vaticano della “Nota”. “L’Asia – ha ricordato il card. Dias – è il continente più esteso del mondo e contiene quasi due terzi della popolazione umana. E’ la culla di molte civiltà, tradizioni religiose e culture” come l’induismo, il buddismo, il jainismo e il sikhismo, mentre il giudaismo, lo zoroastrismo e l’islam “ebbero origine nel Medio Oriente” e “gli insegnamenti socio-filosofici di Confucio ed i riti dello shintoismo fiorirono in Cina, Giappone e nell’Estremo Oriente”. “Ognuna di queste – ha osservato – contiene valori davvero pregevoli, e talvolta anche elementi o pratiche che non sono consoni con l’ethos cristiano, come per esempio il sistema delle caste, la regola della vendetta, la condizione sociale della donna, il trattamento delle vedove, i pregiudizi contro le nascite femminili, etc”. Anche il cristianesimo ha avuto le sue origini in Asia”, ha affermato il card. Dias, “tuttavia l’evangelizzazione pone una sfida particolare nei tempi moderni, dato che viviamo in un’epoca in cui persone di diverse religioni si incontrano e interagiscono più che in qualunque altro periodo della storia umana”. Ricordando le indicazioni conciliari che invitano ad un “sincero rispetto” per le altre religioni che “non raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini” vi è al tempo stesso “la necessità di annunciare la pienezza di vita religiosa in Cristo”. Perciò, ha ribadito, “davanti ad una così vasta gamma di tradizioni religiose” i cristiani “devono cercare di scoprirvi l’azione dello Spirito Santo” e “di condurle, senza alcun complesso di superiorità, alla piena conoscenza della verità in Gesù Cristo”.

Quattro osservazioni relative all’evangelizzazione in Africa, dove si professa la Religione Tradizionale, ritenuta dai missionari cristiani “una preparazione provvidenziale, un fertile terreno per diffondere il Vangelo”, sono state elencate dal card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. “La Religione Africana Tradizionale, tenendo nel debito conto le variazioni locali – ha spiegato il card. Arinze -, generalmente si distingue per il fatto di credere in un solo Dio, negli spiriti del bene e del male e negli antenati, con il conseguente culto che mai pone gli spiriti e gli antenati allo stesso livello dell’unico Dio Creatore. Questa religione tradizionale permea una cultura che ha un notevole senso del sacro, che crede nella vita dopo la morte, che conferisce un alto valore al matrimonio, alla famiglia e alla vita umana, e che ha un forte senso della comunità e desiderio di celebrazione”.

Perciò, secondo il card. Arinze, “la proposta missionaria di fede in Gesù Cristo rende omaggio alla libertà umana dell’Africano e alla sua capacità di conoscere e di amare ciò che è buono e vero”. A proposito dell’inculturazione del Vangelo “c’è ancora molta strada da percorrere”: “Se le Chiese locali in Africa si doteranno di un clero ben preparato, di teologi, religiosi, centri di riflessione accademica e pastorale e di monasteri – ha suggerito -, operando congiuntamente con la Sede Apostolica, la promozione dell’inculturazione potrà procedere più speditamente”. Il card. Arinze ha anche ricordato che “la condivisione della nostra fede cattolica con coloro che non conoscono ancora Cristo, deve essere considerata un’opera di amore, a condizione che sia portata a compimento nel pieno rispetto della loro dignità umana e della loro libertà”. Altrimenti, ha precisato, “potremmo pensare che quel cristiano non sia pienamente convinto della sua fede, o che, a causa di egoismo e pigrizia, non intenda condividere con il suo prossimo i copiosi e abbondanti mezzi della salvezza”. Infine, ha concluso, “la conversione al Cristianesimo è giustamente vista come una liberazione”.

“Nonostante il permanere di alcune difficoltà, in Africa si registra un progresso nell’annuncio del Vangelo e anche nel cammino della società”: ha detto il card. Francis Arinze, rispondendo alle domande dei giornalisti. “L’Africa è un continente vasto e complesso, con 53 paesi molto differenti tra di loro. Non solo si vanno normalizzando situazioni fino a poco fa molto difficili, quali quella dei Grandi Laghi – ha aggiunto – ma anche in diversi paesi il dibattito democratico progredisce e governi insediati da tempo hanno mostrato di accettare democraticamente la sconfitta, cedendo il potere all’opposizione vincitrice. Il dato rilevante mi sembra questo: che l’Africa è il continente con il maggiore incremento percentuale di cristiani anno su anno. Non quindi un incremento in valore assoluto, ma una crescita percentuale rilevante che lascia ben sperare”. “Del resto – ha poi detto – in una giovane diocesi ho trovato ben 250 studenti di teologia e ho visitato un monastero di suore avviato pochi decenni fa con quattro religiose, di cui tre europee, che oggi conta 110 monache e ha già dato vita a un secondo monastero con 40 monache”.

“Certamente permangono situazioni di difficoltà nell’annuncio del Vangelo nei vari continenti. Basti pensare a realtà come la Cina o in paesi islamici, dove non c’è la libertà di parlare e di evangelizzare; tuttavia siamo fiduciosi che il dialogo e il rispetto reciproco, possa portare a positive evoluzioni”, ha detto il card. William Joseph Levada, sempre rispondendo a domande di giornalisti circa la libertà religiosa nel mondo. Riferendosi alla questione su come il documento presentato oggi possa essere accolto dagli ebrei, Levada ha detto che “l’annuncio della salvezza è per tutti. Nel dialogo con gli ebrei occorre tenere presente che essi sono coloro che hanno ricevuto per primi la ‘promessa’, i nostri ‘fratelli maggiori’ nella fede nell’unico Dio. Noi cristiani sappiamo che tale promessa è giunta a compimento con la venuta di Cristo e quindi il dialogo con l’ebraismo è molto particolare, in quanto si tratta di condividere la nostra eredità che è molto vicina alla loro storia”.

“La comunità cattolica in India conta su 18 milioni di fedeli rispetto a una popolazione di un miliardo e cento milioni di abitanti. Quindi è una piccola minoranza che però ha generato ben 18 mila preti e 100 mila suore. Devo dire che la maggioranza della popolazione indiana, che all’80% è induista, è aperta al dialogo e ci chiede di presentare la nostra identità di cristiani”. Lo ha dettolo ha detto il card. Ivan Dias,  rispondendo a domande dei giornalisti su come potrebbe essere accolto il documento tra i seguaci della religione indu. “La componente di induisti fanatici – ha proseguito – è decisamente minoritaria ma, come è tipico, trova molto spazio nei media prendendo i titoli dei giornali. Gli induisti in realtà chiedono ai cristiani di non annacquare l’immagine del nostro ‘fondatore’, cioè il Cristo”. L’arcivescovo Angelo Amato ha riferito, analogamente, che il missionario italiano in Giappone, p. Sottocornola, che sta vivendo una esperienza in un monastero buddista, “ha riferito che il proprio maestro buddista, scomparso un mese fa, avrebbe letto volentieri un documento come questo, perché desiderava capire in concreto qual è la nostra identità di credenti in Cristo”.

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