Vita Chiesa

Educazione alla fede, il catechismo non basta più

di Nicola SangiacomoGenerare figli alla fede è compito della comunità cristiana: ma per essere all’altezza di questo compito s’impone un ripensamento dell’iniziazione alla fede che, oggi, appare evidentemente in crisi. Partendo da questa riflessione di fondo don Luciano Meddi, esperto di catechesi, docente all’Università Urbaniana di Roma, ha introdotto con efficacia il tema del Convegno diocesano di Livorno che si è svolto sabato e domenica scorsi.

Se la crisi non si nota ancora a livello di numero di richieste dei sacramenti (in calo, ma non eccessivo) appare evidente quando si verifica come è stato interiorizzato il messaggio e, più in generale, l’efficacia di trasmissione della fede. Per don Meddi i segnali di questa crisi sono la diminuzione di partecipazione alla vita della comunità cristiana, la separazione crescente tra vita e fede e la difficoltà a leggere la cultura alla luce della fede. Da non trascurare poi il segnale che arriva da quanti non frequentano più la Chiesa, dopo la celebrazione dei Sacramenti.

Ripensare l’itinerario di annuncio della fede significa, per don Meddi, pensare ad un itinerario che preveda tappe non sociologiche ma pedagogiche, dove, all’interno di una comunità evangelizzante, si sviluppa la qualità della vita cristiana; bisogna pensare ad un itinerario centrato sulla persona, che tende a far leggere la vita cristiana dentro i passaggi di vita.

In questo ripensamento pastorale alla famiglia viene affidato il ruolo di assicurare il corretto sviluppo della dimensione religiosa della persona; questo è un ruolo precedente alla vera e propria iniziazione cristiana.Don Meddi ha quindi delineato un itinerario possibile che è maturato, oltre che dalla riflessione teorica, anche dalla sua esperienza pastorale. In questo itinerario è emersa la proposta di un «Battesimo a tappe» a cui si arriva a circa dieci anni alla fine di un percorso che prevede, all’inizio, un rito di accoglienza e di esorcismo, poi l’iscrizione nel libro dei catecumeni, quindi un catecumenato familiare.

L’Eucarestia la inserirebbe all’interno di un percorso di vera socializzazione cristiana e la Cresima come vero e proprio sacramento dell’iniziazione, all’interno di un cammino in cui si impara a rileggere il Vangelo come senso e progetto di vita. Ma per poter sperimentare un itinerario di questo tipo, secondo don Meddi, occorre riprogettare la parrocchia considerandola non solo il luogo dove si svolgono una serie di attività religiose, ma pensandola come fraternità che, a cerchi concentrici, propongono agli altri la rinnovata adesione al Vangelo.

Per ripensare l’iniziazione cristiana può essere utile far riferimento all’esperienza anche di Chiese lontane come quelle d’Africa dove si sperimentano nuovi modi di annuncio della Vangelo. Lo hanno testimoniato gli interventi di padre Nicola Colasuonno, Saveriano, direttore di Missione Oggi, per tanti anni missionario in Congo e padre Carlo Uccelli che, con Emma e Cinzia, ha raccontato di come ha provato a far fiorire l’esperienza della Chiesa africana anche in Toscana, in una parrocchia di Piombino, nel quartiere del Cotone. Una parrocchia fondata su Comunione e Missione, dove non ci sono attività ma solo comunità di base dove si sperimentano la corresponsabilità e la ministerialità caratteristiche della Chiesa.

Un dialogo dell’assemblea con il vescovo Coletti ha occupato l’ultima parte del Convegno: monsignor Diego è stato chiamato a rispondere ad una serie di domande e di proposte che hanno spaziato dal ruolo dei laici nella Chiesa, alla risorse dedicate alla formazione dei formatori, dall’accoglienza nella liturgia alla centralità del ragazzo nell’impegno educativo della Chiesa. Per tutti una risposta con una premessa doverosa e quasi scherzosa: la parola del Vescovo su questi temi non deve essere considerata alla stregua dell’oracolo di Delfi, che parla una volta per tutte e non ammette repliche. Nelle sue risposte il Vescovo di Livorno ha citato varie volte i pronunciamenti degli ultimi due Sinodi diocesani (quello dell’84 e quello del ’97) che hanno detto parole significative su come comunicare la fede. Alla fine monsignor Coletti ha voluto invitare la comunità cristiana livornese a togliersi di dosso un clima da «si salvi chi può» e a darsi da fare perché «è giunto di il momento di fare insieme cose splendide».