Vita Chiesa

Elia Dalla Costa, ecco le tracce della sua «fama di santità»

Il Cardinale è andato a fare Natale con i suoi», questo il commento, alla sua morte, di un visitatore della salma. Il Cardinale Alfredo Ottaviani, Prefetto del Santo Offizio, in quella circostanza scrive: «Elia Dalla Costa è figura illuminante che fa abbassare gli sguardi e piegare le ginocchia anche da morto; anzi più oggi da morto, quando – senza anticipare il giudizio che spetta solo alla Chiesa – lo sentiamo presente, in continua benedizione, con l’aureola dei Santi». Rievocandone la grandezza, don Mario Lupori osserva acutamente: «La santità, come nel Cardinale Elia Dalla Costa, è una forza misteriosa che trasforma in domestico l’albero selvatico, lo rende fiorito e fecondo e, nell’ampiezza dell’orizzonte storico, i suoi vecchi rami contorti appaiono rami di cristallo».

Questi attestati di santità sono espressione della fama che accompagna Dalla Costa dalla fanciullezza. Mons. Luigi Zecchin, suo compagno di scuola, ricorda: «Noi fanciulli lo ammiravamo e si diceva (questa era la verità): Elia è un santo». Don Emanuele Santolin, arciprete di Villaverla, paese nativo del Cardinale, riferisce: «Gli anziani che l’hanno conosciuto bambino, fanciullo, adulto, con unanime coro, fanno di lui l’elogio più bello che si possa rendere ai santi».

Nel manifesto del suo venticinquesimo di sacerdozio (1920), conservato nell’archivio parrocchiale di Schio, si legge: «Lo serbi il cielo per lungo avvenire, splendido faro di santità». Una fama, avvalorata singolarmente dalla parola di Pio XII che a mons. Florit raccomanda: «Vogliate pregare Sua Eminenza, di inviarmi la sua benedizione». E quando il Cardinale medesimo presenta le dimissioni da Arcivescovo di Firenze, risponde: «Lei, anche in poltrona, può guidare la Diocesi».

Alla morte del Cardinale si assiste a un coro di rimpianto commovente. Riferisce don Fedro Dei, parroco fiorentino: «Il suo, più che un funerale è stata l’esaltazione spontanea di un santo». «Sacerdoti e fedeli – commenta don Divo Barsotti – visitando la salma, coglievano con venerazione, il senso di santità che ne emanava». E ciò trova concorde riconoscimento nei telegrammi e più ancora nelle lettere, che a centinaia arrivano alla Curia fiorentina, insieme a un sincero cordoglio, ammirazione e devozione: «Quello del Cardinale – dice Salvatore Di Stefano, questore di Roma – è il ricordo di un santo, dolcissimo Pastore che porterò sempre nel mio cuore».

La fama di santità di Dalla Costa emerge ancor più nelle testimonianze per la Causa di Beatificazione introdotta nel giugno del 1978. Le dichiarazioni dei testi, sacerdoti e laici, di Firenze, Vicenza e Padova, in particolare, danno evidente risalto, anche in questo caso, alla santità del Cardinale, contribuendo a delineare in lui una figura autentica di sacerdote e di vescovo.

La fama di santità di Elia Dalla Costa oggi è ancora viva in quanti lo hanno conosciuto, amato e venerato, mentre rischia gradatamente di scomparire in coloro che di lui hanno un’idea vaga, lontani nel tempo come sono da questa affascinante e benedetta presenza. La circostanza dell’anniversario della morte è un invito alla preghiera affinché un prossimo e felice esito della Causa di Beatificazione possa restituirci, con l’aureola dei santi, questo incomparabile Pastore.(a cura della Postulazione della Causa di Beatificazione) Il documento«Non abbandonerò Firenze…»Nel 1939 si diffuse la voce che Pio XII voleva il Cardinale Dalla Costa Vicario di Roma. In quella circostanza egli aprì il suo animo a Firenze: «…Avvezzo a secondare sempre i disegni della Provvidenza e a non lasciarmi guidare che dalla sicura luce della fede, del che mai ebbi a pentirmi, non abbandonerò la sede assegnatami dal Vicario di Cristo, se non indottomi dalla coscienza del dovere…. Nel popolo fiorentino di tutte le condizioni e di tutte le classi, nonostante la tristezza dei tempi, ho dovuto riconoscere un senso di religione profondo accompagnato ad una gentilezza d’animo e ad una squisitezza di modi che corrispondono perfettamente al gusto artistico del popolo toscano e alle sorprendenti bellezze della sua incantevole terra. Posso anzi aggiungere che in persone, sia del ceto signorile che del povero popolo, ho riscontrato spirituali finezze che richiamano alla mente i grandi santi fioriti in ogni tempo in Toscana e fanno pensare alla profonda espressione del curato d’Ars: per dove passano i santi Iddio passa con loro. Per tutto questo non lascerei Firenze che con vivo dolore e per la vita porterei nell’anima il rimpianto amaro del gregge perduto».(Bollettino dell’Arcidiocesi di Firenze, 1939, p. 141)