Vita Chiesa

Epifania, Papa Francesco: «Santa nostalgia» antidoto a «profeti di sventura»

«Vedere e adorare»: sono queste, per Francesco, le «due azioni che risaltano nel racconto evangelico: abbiamo visto una stella e vogliamo adorare». «Questi uomini hanno visto una stella che li ha messi in movimento», ha commentato il Papa: «La scoperta di qualcosa di inconsueto che è accaduto nel cielo ha scatenato una serie innumerevole di avvenimenti. Non era una stella che brillò in modo esclusivo per loro né avevano un Dna speciale per scoprirla». «I magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino», ha ricordato Francesco citando San Giovanni Crisostomo: «Avevano il cuore aperto all’orizzonte e poterono vedere quello che il cielo mostrava perché c’era in loro un desiderio che li spingeva: erano aperti a una novità».

«La santa nostalgia di Dio scaturisce nel cuore credente perché sa che il Vangelo non è un avvenimento del passato ma del presente», ha poi detto il Papa, che nella parte centrale dell’omelia dell’Epifania ha declinato questo concetto: «La santa nostalgia di Dio ci permette di tenere gli occhi aperti davanti a tutti i tentativi di ridurre e di impoverire la vita. La santa nostalgia di Dio è la memoria credente che si ribella di fronte a tanti profeti di sventura. Questa nostalgia è quella che mantiene viva la speranza della comunità credente che, di settimana in settimana, implora dicendo: ‘Vieni, Signore Gesù!’». «Fu proprio questa nostalgia – ha spiegato Francesco – a spingere l’anziano Simeone ad andare tutti i giorni al tempio, sapendo con certezza che la sua vita non sarebbe terminata senza poter tenere in braccio il Salvatore. Fu questa nostalgia a spingere il figlio prodigo a uscire da un atteggiamento distruttivo e a cercare le braccia di suo padre. Fu questa nostalgia che il pastore sentì nel suo cuore quando lasciò le novantanove pecore per cercare quella che si era smarrita, e fu anche ciò che sperimentò Maria Maddalena la mattina della domenica per andare di corsa al sepolcro e incontrare il suo Maestro risorto».

«La nostalgia di Dio ci tira fuori dai nostri recinti deterministici, quelli che ci inducono a pensare che nulla può cambiare», ha assicurato il Papa: «La nostalgia di Dio è l’atteggiamento che rompe i noiosi conformismi e spinge ad impegnarci per quel cambiamento a cui aneliamo e di cui abbiamo bisogno. La nostalgia di Dio ha le sue radici nel passato ma non si ferma lì: va in cerca del futuro». Il credente «nostalgioso», ha proseguito Francesco creando un neologismo, «spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il suo Signore. Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare».

L’«atteggiamento contrapposto» a quello dei Magi – ha proseguito il Papa – si trova nel palazzo di Erode, «che distava pochissimi chilometri da Betlemme», dove «non si erano resi conto di ciò che stava succedendo». E ha ricordato che «mentre i magi camminavano, Gerusalemme dormiva. Dormiva in combutta con un Erode che, invece di essere in ricerca, pure dormiva. Dormiva sotto l’anestesia di una coscienza cauterizzata. E rimase sconcertato. Ebbe paura». Quello di Erode, secondo Francesco, «è lo sconcerto che, davanti alla novità che rivoluziona la storia, si chiude in sé stesso, nei suoi risultati, nelle sue conoscenze, nei suoi successi. Lo sconcerto di chi sta seduto sulla ricchezza senza riuscire a vedere oltre. Uno sconcerto che nasce nel cuore di chi vuole controllare tutto e tutti. È lo sconcerto di chi è immerso nella cultura del vincere a tutti i costi; in quella cultura dove c’è spazio solo per i ‘vincitori’ e a qualunque prezzo. Uno sconcerto che nasce dalla paura e dal timore davanti a ciò che ci interroga e mette a rischio le nostre sicurezze e verità, i nostri modi di attaccarci al mondo e alla vita. E Erode ebbe paura, e quella paura lo condusse a cercare sicurezza nel crimine». «Uccidi i bambini nel corpo perché a te uccide la paura nel cuore», ha tradotto il Papa dal latino.

«Questi sono gli schemi mondani, i piccoli idoli a cui rendiamo culto: il culto del potere, dell’apparenza e della superiorità. Idoli che promettono solo tristezza, schiavitù, paura». Con queste parole il Papa ha fatto il ritratto di coloro che pensano che un Re debba nascere soltanto nei palazzi del potere. «Quegli uomini vennero dall’Oriente per adorare, e vennero a farlo nel luogo proprio di un re: il Palazzo», ha sottolineato durante l’omelia dell’Epifania a proposito dei Magi. «Lì essi giunsero con la loro ricerca: era il luogo idoneo, perché è proprio di un Re nascere in un palazzo, e avere la sua corte e i suoi sudditi. È segno di potere, di successo, di vita riuscita. E ci si può attendere che il re sia venerato, temuto e adulato, sì; ma non necessariamente amato». «E fu proprio lì dove incominciò il cammino più lungo che dovettero fare quegli uomini venuti da lontano», il racconto di Francesco: «Lì cominciò l’audacia più difficile e complicata. Scoprire che ciò che cercavano non era nel Palazzo ma si trovava in un altro luogo, non solo geografico ma esistenziale. Lì non vedevano la stella che li conduceva a scoprire un Dio che vuole essere amato, e ciò è possibile solamente sotto il segno della libertà e non della tirannia; scoprire che lo sguardo di questo Re sconosciuto – ma desiderato – non umilia, non schiavizza, non imprigiona. Scoprire che lo sguardo di Dio rialza, perdona, guarisce. Scoprire che Dio ha voluto nascere là dove non lo aspettavamo, dove forse non lo vogliamo. O dove tante volte lo neghiamo. Scoprire che nello sguardo di Dio c’è posto per i feriti, gli affaticati, i maltrattati e gli abbandonati: che la sua forza e il suo potere si chiama misericordia». «Com’è lontana, per alcuni, Gerusalemme da Betlemme!», ha esclamato il Papa.

«I magi sentirono nostalgia, non volevano più le solite cose. Erano abituati, assuefatti e stanchi degli Erode del loro tempo. Ma lì, a Betlemme, c’era una promessa di novità, una promessa di gratuità. Lì stava accadendo qualcosa di nuovo. I magi poterono adorare perché ebbero il coraggio di camminare e prostrandosi davanti al piccolo, prostrandosi davanti al povero, prostrandosi davanti all’indifeso, prostrandosi di fronte all’insolito e sconosciuto Bambino di Betlemme scoprirono la Gloria di Dio». Con queste parole il Papa ha concluso l’omelia dell’Epifania, tutta giocata sulla contrapposizione tra la «nostalgia» dei Magi e lo «sconcerto» di Erode. «Erode – ha spiegato Francesco – non può adorare perché non ha voluto né potuto cambiare il suo sguardo. Non ha voluto smettere di rendere culto a sé stesso credendo che tutto cominciava e finiva con lui. Non ha potuto adorare perché il suo scopo era che adorassero lui. Nemmeno i sacerdoti hanno potuto adorare perché sapevano molto, conoscevano le profezie, ma non erano disposti né a camminare né a cambiare».