Vita Chiesa

Eutanasia: uccidere è la risposta giusta?

DI DON FRANCESCO SENSINIIn questi giorni i miei studenti mi hanno chiesto se sono a favore o contro l’eutanasia. Ho sempre pronta la risposta della Chiesa, espressa nel suo catechismo al numero 2277: è un uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo creatore. È sempre da condannare e da escludere. Ma loro insistono perché vogliono sapere la mia idea, come se non fossi anch’io Chiesa. E allora, condividendo la stessa coscienza della Chiesa, sono costretto a fare un altro percorso. E affermo: sono a favore dell’eutanasia. Non posso certo impedire che un uomo o una donna la richiedano. Lo riconosco come espressione della loro libertà. Ma questo necessariamente mi obbliga ad applicarla? Solo perché mi viene fatta questa richiesta, devo ritenerla giusta? È una richiesta che nasce dalla libertà? È invece la richiesta più «condizionata» che ci sia. Viene sempre fatta in effetti in condizioni apparentemente «disumane», insostenibili e irragionevoli. Se si riuscisse però a rendere quelle condizioni umane, la richiesta sarebbe certo più libera. Ma l’uomo farebbe la stessa richiesta, cambiate le condizioni?

«Non è bene che l’uomo sia solo». Lo riaffermo: sono a favore dell’eutanasia. Credo che sia una domanda profonda e radicale di comunione. La cui risposta non sta nella eliminazione del richiedente ma nella creazione di comunione attorno a lui. «Gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».

Ho il timore che la richiesta politica dell’applicazione legale dell’eutanasia non nasca come aiuto ma come potere, travestito da rispetto per la libertà, e non trascuri calcoli economici. L’uomo ridotto a oggetto: un oggetto che non serve più a niente, a nessuno e che costa troppo.Trovo conferma di questo nelle stesse parole di un uomo che, in una intervista, chiede di morire. A causa di un incidente è paralizzato da 17 anni e può muovere solo la testa. «I medici…. Mah…. Ero già morto, che cosa mi hanno fatto dopo? Niente. Io mi sento niente». «Siamo completamente soli.

Solidarietà del paese? No. Anzi ci guardano con invidia perché l’assicurazione ha pagato e abbiamo messo a posto la casa». «Quello che guidava la macchina la notte dell’incidente è venuto a trovarmi una sola volta in 17 anni». «Non credo a nulla. Non ho rapporti con la Chiesa». La moglie e la madre sono d’accordo con questa soluzione. Anche la solitudine può avere una dimensione «sociale» ma non è comunione.