Vita Chiesa

Facoltà teologica, card. Bassetti: «La teologia deve abitare le frontiere»

Non ha parlato da fiorentino, ma da presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, quando oggi pomeriggio, per il ventennale della Facoltà teologica dell’Italia Centrale, ha detto che «nessuna Chiesa locale dovrebbe accogliere l’invito alla conversione pastorale senza far tesoro della propria storia, ma Firenze e la Facoltà teologica hanno una responsabilità speciale: le radici del Novecento ecclesiale toscano i cui frutti maturi vanno ancora colti nella loro interezza». Inevitabile, in proposito, il riferimento a «un segno dei tempi» come la visita di Papa Francesco alla tomba di don Lorenzo Milani a cui proprio la Facoltà teologica dedica due giorni di convegno venerdì e sabato.

Per Bassetti la cerimonia di oggi nella nuova sede della Facoltà in Oltrarno a Firenze è stata come un ritorno a casa nel momento della festa, un risedersi, sia pure in ambienti diversi, nella scuola dove si è formato e che ha contribuito a far crescere.

Accolto con grande affetto dai docenti, dagli alunni e da tutti gli intervenuti, Bassetti ha ascoltato i saluti del preside uscente, don Stefano Tarocchi (a cui domani subentra monsignor Basilio Petrà), e del Gran cancelliere della Facoltà, il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, che ha ricordato, alla presenza tra l’altro del cardinale Ennio Antonelli, proprio i suoi predecessori, «che vollero e promossero la ricostituzione degli studi teologici a Firenze a livello accademico». Una vicenda che anche don Gilberto Aranci, direttore dell’Archivio diocesano, ha ripercorso attraverso la storia del passaggio da Studio teologico fiorentino a Facoltà dell’Italia Centrale.

«Non è vero che il nostro mondo sia refrattario al Vangelo – ha spiegato nel suo intervento il presidente della Cei -, è semmai vero che il Vangelo costituisce l’unica rivoluzione che questo mondo ancora attende e che annunciando la Misericordia di Dio rimette al centro l’uomo e lo libera», tra l’altro, «dall’idolatria del profitto che produce scarti umani» e «dal razzismo pratico che ci lascia indifferenti davanti alle tragedie dell’umanità perché in esse non riconosciamo la nostra stessa umanità».

Per questo la teologia deve abitare le frontiere, che non significa abbandonare le biblioteche, bensì «sentire cum ecclesia», anche se «il Magistero non basta, occorre sentire come sente il santo e amato popolo di Dio, la dove il Vangelo è trasmesso nella vita della Chiesa. Il più grande teologo e il più grande pastore prima di portare nella sua riflessione e nella sua missione la teologia appresa all’università, vi porta quella della sua mamma e della sua comunità ecclesiale».

Discorso per il ventennale della Facoltà Teologica di Firenze

Care amiche e cari amici,

vi ringrazio di avermi dato la possibilità di condividere questo momento di festa per i venti anni della Facoltà Teologica. Sento l’amicizia e la delicatezza dell’Arcivescovo e di tutti voi perché per me oggi è un po’ tornare a casa nel momento della festa. Questa è la scuola dove sono stato formato e che anche ho contribuito, per la mia piccola parte, a far crescere. E’ con un po’ di orgoglio che riconosco fra i docenti molti dei miei alunni del seminario e con tanta riconoscenza scorgo fra gli insegnati più anziani, alcuni coi quali abbiamo condiviso la responsabilità della formazione dei nuovi preti.

Don Gilberto fra poco ci aiuterà a ripercorrere la storia di questa istituzione e il passaggio dallo Studio Teologico Fiorentino a Facoltà. Questa storia per me è fatta dei volti concreti di tanti amici e di tanti maestri, alcuni dei quali ci guardano oggi dal cielo. Li ricordo tutti, ne nomino solo uno: mons. Valerio Mannucci. Voglio ricordare anche gli arcivescovi Benelli e Piovanelli senza i quali questa Facoltà non compirebbe oggi venti anni!

Quando mi sono messo a riflettere a queste parole, la prima cosa che mi è venuta in mente è il “taglio” antropologico che questa Facoltà ha scelto, sin dalla sua fondazione, come specificità che le deriva dal  suo essere radicata a Firenze. Papa Francesco, lo ricorderete bene, affermò proprio nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore che “Gesù è il nostro umanesimo”, e ci aiutò a concepirlo entro le immagini, presenti nel complesso pittorico del cupolone, dell‘Ecce homo e del Giudice universale. Due “stadi” della vita del Cristo, e quindi – come direbbe La Pira – della “biografia del mondo”, di cui il papa sottolineava la continuità: il Cristo Giudice della storia universale è lo stesso Gesù sottoposto dal potere umano alla volontà omicida degli uomini. Il Cristo crocifisso è il Cristo Risorto che giudica e orienta la storia umana.

Papa Francesco, in quella occasione, non diede ricette alla Chiesa italiana, ma ci “riconsegnò” l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, e raccomandò, ad ogni livello ecclesiale, la sua ricezione sinodale.

Domenica scorsa, a inizio dell’anno pastorale, la Chiesa di Firenze ha ripreso il cammino sinodale per l’approfondimento della Evangelii Gaudium. Un cammino sinodale che vuole coinvolgere tutte le parrocchie e tutte le realtà ecclesiali. Senza sinodalità, la conversione della Chiesa è impossibile! L’uscita missionaria, infatti, non è uno slogan astratto ma un impegno teologale connesso alla concretezza della vita, specialmente della vita dei poveri.

Per ciascuna comunità cristiana c’è una Galilea, dove Gesù precede i discepoli-missionari, impossibile scoprirla se non camminiamo insieme in ascolto della Parola. Occorre però anche l’umiltà di sapersi figli, di riconoscersi frutto di una storia che ci ha preceduto, e della quale siamo continuazione. Nessuna chiesa locale dovrebbe accogliere l’invito alla conversione pastorale senza far tesoro della propria storia, ma Firenze e la sia Facoltà Teologica -lasciatemi parlare qui non tanto come fiorentino, ma come Presidente della Conferenza Episcopale – hanno una responsabilità speciale: mi riferisco alle radici del novecento ecclesiale toscano. Esse non sono relegate al passato e hanno bisogno della linfa generosa della Chiesa di oggi per una sintesi appassionata con le sfide del momento presente. I frutti maturi del novecento ecclesiale fiorentino e toscano vanno ancora colti nella loro interezza! E’ tempo, allora, di memoria condivisa, e mai come adesso questa memoria condivisa è urgente e finalmente possibile! Considero un segno dei tempi la visita di papa Francesco alla tomba di don Lorenzo Milani!

“Non siamo, come dice il papa, in un epoca di cambiamenti, ma nel cambiamento d’epoca”, per questo l‘Evangelii Gaudium è un appello a non lasciare le cose come stanno. Una nuova tappa, infatti, della vita della Chiesa si è aperta perché l’Evangelii Gaudium ha inaugurato una nuova fase della ricezione del Concilio Vaticano II, più capace di ossigenarsi col respiro delle periferie (la cattolicità è una sinfonia teologale che permette di condividere la medesima fede, nel medesimo Cristo a partire dalla pluralità delle culture del mondo), più cosciente che la sua sottomissione alla Parola del Vangelo è un continuo evento teologale e per questo non più impaurita dalla collegialità e dalla sinodalità, più consapevole del fondamento teologico e dottrinario della “medicina della misericordia”.

Non è vero che il nostro mondo, in qualunque modo lo si voglia definire (post­moderno, post-secolarizzato, post-cristiano…) sia refrettario al Vangelo, è semmai vero che il Vangelo costituisce l’unica rivoluzione che questo mondo ancora attende! La rivoluzione che annunciando che la Misericordia di Dio, rimette al centro l’uomo e lo libera dalla idolatria del profitto e dei consumi che produce scarti umani, dal razzismo pratico che ci lascia indifferenti davanti alle tragedie dell’umanità perché in esse non riconosciamo la nostra stessa umanità, dalla tirannia della solitudine e della competizione perenne, dalla follia del principio per il quale tutto ciò che è tecnologicamente possibile ed economicamente profittevole è anche fattibile, a prescindere dalla dignità della vita umana e dagli equilibri ecologici.

Occorre però che ci lasciamo rivoluzionare la vita da Gesù Cristo e che il suo Vangelo ci spinga fuori da tutti i recinti che ci dividono dagli altri: “La rivoluzione – diceva don Mazzolari – parte da me, ma non finisce in me”!

Le facoltà teologiche hanno parte importante nel processo di “conversione pastorale della Chiesa”, purchè non siano dei laboratori asettici dove si compongono e scompongono teologumeni in maniera astratta e ideologica. Le facoltà teologiche e gli Istituti Superiori di Scienze Religiose devono avere – come dice il papa – il coraggio di “abitare le frontiere”.

Non sto invitandovi ad abbandonare le biblioteche a favore delle strade! tutto il contrario! Lo dico soprattutto agli studenti: per molti di voi questo tempo privilegiato non tornerà: non è, quindi, il tempo di disertare le biblioteche, ma di apprendere ad usarle bene anche quando il tempo sarà assorbito dal vostro ministero, laicale o ordinato che sia.

Per la teologia abitare le frontiere non significa disertare le biblioteche ma “sentire cum ecclesia”. 

Sentire cum ecclesia vuol dire, certamente, accogliere il magistero dei vescovi e del papa con religiosum obsequium e fidei assensus, questo, sia ben chiaro!, anche quando non dovesse corrispondere ad una propria astratta e magari severa idea di ortodossia.

Ma il Magistero non basta, occorre anche sentire come sente il santo e amato popolo di Dio, la dove il Vangelo è trasmesso nella vita della Chiesa. Il più grande teologo e il più grande pastore, cari amici, prima di portare nella sua riflessione e nella sua missione la teologia appresa all’università, vi porta quella dalla sua mamma e della sua comunità ecclesiale. Pensate a san Giovanni Paolo II e alla sua ricezione accrescitiva dell’insegnamento conciliare sul dialogo con gli ebrei e sul dialogo interreligioso, frutto di una fede vissuta a contatto diretto e drammatico con la tragedia dello sterminio degli ebrei!

La teologia scientifica non può prescindere dalla fede che il popolo di Dio vive e trasmette nei contesti reali e quotidiani dell’esistenza. Ciò è vero anche nella nostra società dove la fede che molti vivono non è più veicolata da quella religiosità popolare attraverso la quale è passata per secoli. C’è un cristianesimo che germoglia la dove non te lo aspetteresti, apparentemente senza un forte legame ecclesiale e senza radici nelle tradizioni locali. Proprio per questo occorre che il teologo di professione sia in grado di mettersi in dialogo con quanti nella Chiesa penetrano “con la Parola di Gesù i nuclei più profondi e l’anima della città”, “là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi” (cfr. Evangelii Gaudium, 74).

Questo vi auguro con tutto il cuore: siate una facoltà che abita la frontiera, non lasciatevi rinchiudere da esigenze piccine! L’intelligenza della fede che proponete assuma le prospettive delle periferie, delle marginalità materiali ed esistenziali, il respiro sinfonico di una Chiesa che non è più soltanto europea. Servite la Chiesa la dove si presenta come quercia millenaria e là dove non è che un germoglio, in questa epoca che qualcuno definisce post-cristiana. Abbiamo bisogno di teologi attenti, pazienti, contemplanti che ci aiutino a non staccarci mai dalla sorgente autentica della fede, per un discernimento evangelico che ci spinga sempre fuori da noi stessi, sempre più avanti!

Card. Gualtiero Bassetti

Presidente della Conferenza episcopale italiana

https://www.youtube.com/watch?v=SRFhYgc2yQk