Vita Chiesa

Firenze, il cardinale Betori: “Testimoni di salvezza, questa è la nostra missione”

Ecco il testo integrale dell’omelia del cardinale Giuseppe Betori

Torniamo a celebrare la Messa del Crisma nella sua collocazione naturale, prima di entrare nel Triduo pasquale. Non cambia invece il contesto sociale in cui si colloca la celebrazione, afflitto da una lunga pandemia, che le disposizioni tese a limitare il contagio stentano a contenere e la cui sconfitta appare ancora lontana mentre le vaccinazioni faticano a entrare a regime. Ne deriva un’atmosfera caratterizzata da una tensione permanente, che pesa soprattutto sui più anziani e sui più piccoli, da opposte reazioni, tra coinvolgimento responsabile e disattenzione imprudente, da corrosione del tessuto sociale e da allarmanti prospettive per la ripresa economica e il lavoro. Il Papa ci ha avvertito che «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi», parole che dovrebbero convincerci che solo una rigenerazione della persona e dei legami sociali può dare fondamento alla speranza nel futuro. Un messaggio di speranza è quanto siamo chiamati a trasmettere in questa Pasqua. Una speranza da non confondere con l’ingenuo ottimismo, con cui non pochi pensarono di esorcizzare la crisi un anno fa. La speranza che dobbiamo annunciare è una parola di fiducia fondata su solide ragioni, per dire che una rinascita è possibile. Proprio questo è l’annuncio della Pasqua di Cristo: nel cuore di una vita donata c’è il seme della risurrezione. Può essere la storia di ciascuno e di tutti noi, se, uniti a Gesù, ci renderemo conformi a lui, nutrendo i suoi stessi sentimenti – il Papa ce li ricordò in questa cattedrale cinque anni e mezzo fa: umiltà, disinteresse e beatitudine – e quindi compiendo scelte di vita che ci pongano nell’orizzonte del Vangelo, lasciandoci illuminare dalla sua parola di vita. Tutto questo non è un progetto affidato alle nostre forze, pur implicando la nostra libera adesione, ma si vive rispondendo a una chiamata che ci viene da lui, da Cristo, e sostenuti da una vita che è la sua stessa vita. Raggiungiamo qui il significato di questa celebrazione, in cui la Chiesa, nel segno degli Oli benedetti, ci dice che la vita umana viene rigenerata dalla forza stessa dello Spirito di Dio e l’uomo è innalzato alla dignità della condizione divina, di cui il Padre ci fa partecipi nel Figlio.

Benedicendo tra poco il Sacro Crisma, vertice dei Santi Oli, lo riconosceremo come «segno sacramentale di salvezza e vita perfetta», fonte di santificazione per gli uomini «perché liberi dalla nativa corruzione, e consacrati tempio della gloria [di Dio], spandano il profumo di una vita santa», così che «si compia in essi il disegno dell’amore [divino] e la loro vita [sia] integra e pura». La speranza di un mondo rinnovato, l’attesa di un uomo nuovo trova fondamento nella promessa di Dio e offre un orizzonte per il cammino di quanti sono affidati al nostro ministero pastorale. Perché oggi si è pastori se, in forza della nostra esperienza di credenti e del nostro servizio di orientamento e di misericordia, si è in grado di offrire ragioni di speranza. Non basta più garantire spazi di vita comunitaria che raccolgano dalla dispersione. La vita che ci attende non è quella del recinto, bensì quella del cammino, in cui è essenziale indicare una meta, sostenere nelle avversità, mantenere vivo il senso stesso della vita, in una società in cui affiorano preoccupanti segni di disperazione o anche solo di incapacità a sostenere il peso dell’esistenza, fino al suo drammatico rifiuto nelle situazioni più difficili. Per questo nell’orazione abbiamo pregato: «O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza». Testimoni di salvezza, questa è la nostra missione. Testimoni che una salvezza è possibile, sempre, e nulla deve poter abbattere il cuore dell’uomo. Testimoni di quale sia la vera salvezza, che non possiamo confondere con la salute, con la ricerca del benessere – che sarebbe più onesto chiamare lo star bene –, in un’ottica puramente naturalistica, che non lascia spazio alle ragioni dello spirito e quindi alla risposta del perché della vita, e non solo del come organizzarla per evitare la sofferenza, come vorrebbe il dogma a cui si è assuefatta la nostra società. Testimoni di una salvezza concretamente visibile e sperimentabile nel volto di Cristo ma anche nei segni, pur contraddittori, di una Chiesa che ne deve continuare la presenza nella storia, e quindi dare volto sempre attuale a questa sua presenza nel mutare dei tempi. È la direzione di quella conversione pastorale che qui a Firenze Papa Francesco espresse parole incisive: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti.

Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2021). I contenuti di questo rinnovamento, di cui dobbiamo farci servitori, li abbiamo ascoltati dal libro di Isaia e poi ripresi sulla bocca di Gesù nel vangelo di Luca. Destinatari privilegiati dell’azione pastorale siano i poveri, gli emarginati, gli oppressi, coloro che vivono nell’oscurità, materiale e spirituale. Per tutti costoro l’agire della Chiesa e dei suoi ministri sia grazia, gesto di liberazione e offerta della misericordia del Signore. Nessuno sia lasciato ai margini, di tutti ci si prenda cura. Quanto alle modalità del nostro agire, esse devono collocarsi nel contesto del Cammino sinodale che il Papa vuole per tutta la Chiesa italiana, e di cui come Chiesa fiorentina in questi ultimi anni abbiamo avuto modo di fare un’esperienza, per così dire, anticipata. È un modello di vita ecclesiale che rinuncia ai protagonismi, alle esperienze settoriali, a un esercizio della responsabilità come autorità che scende dall’alto per diventare invece parola di sintesi di uno sguardo che, illuminato dalla Parola, si nutre dell’apporto di tutti. È un cammino di ascolto e di discernimento, di risposta alle istanze più urgenti del cuore di coloro con cui condividiamo la storia su questo territorio, di accoglienza del bene che cresce tra noi e attorno a noi. Saremo pronti a tutto questo, con la generosità che ha contraddistinto il nostro stare vicini alla gente nella crisi pandemica, ma anche con la consapevolezza che ci giunge dallo sguardo della fede affidata alle nostre povere mani. Purifichiamo queste mani che sono state consacrate, facendo rivivere in noi le promesse della nostra ordinazione sacerdotale: vivere conformandosi al Signore Gesù, annunciare la Parola e dispensare i sacri misteri, nel servizio dei fratelli. «Il Signore ci custodisca nel suo amore e conduca tutti noi, pastori e gregge, alla vita eterna».