Vita Chiesa

Francesco a Fondazione Centesimus Annus: ripensare la solidarietà

Piuttosto, ha rilevato il Pontefice, “ripensare” significa “due cose: anzitutto coniugare il magistero con l’evoluzione socio-economica, che, essendo costante e rapida, presenta aspetti sempre nuovi”. In secondo luogo, “ripensare” vuol dire “approfondire, riflettere ulteriormente, per far emergere tutta la fecondità di un valore – la solidarietà, in questo caso – che in profondità attinge dal Vangelo, cioè da Gesù Cristo, e quindi come tale contiene potenzialità inesauribili”. Per il Santo Padre, “l’attuale crisi economica e sociale rende ancora più urgente questo ‘ripensare’ e fa risaltare ancora di più la verità e attualità di affermazioni del magistero sociale” come quella che si legge nella Laborem exercens, a proposito della mancanza di lavoro. Il fenomeno della disoccupazione, ha osservato Papa Francesco, “si sta allargando a macchia d’olio in ampie zone dell’occidente e che sta estendendo in modo preoccupante i confini della povertà”.

Il Papa ha voluto sottolineare che “non c’è peggiore povertà materiale” di “quella che non permette di guadagnarsi il pane e che priva della dignità del lavoro”. Ormai questa situazione “non riguarda più soltanto il sud del mondo, ma l’intero pianeta”. Ecco allora “l’esigenza di ‘ripensare la solidarietà’ non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini”. Infatti, “la crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma affonda le radici in una crisi etica e antropologica. Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio decisivo di organizzazione”.

Così “ci si è dimenticati e ci si dimentica tuttora che al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato, c’è l’essere umano e c’è qualcosa che è dovuto all’uomo in quanto uomo, in virtù della sua dignità profonda: offrirgli la possibilità di vivere dignitosamente e di partecipare attivamente al bene comune”. Di qui l’invito: “Dobbiamo tornare alla centralità dell’uomo, ad una visione più etica delle attività e dei rapporti umani, senza il timore di perdere qualcosa”.