Vita Chiesa

Francesco al clero romano: «Questo è il tempo della misericordia»

Il saluto del card. Vallini. «Ringraziamo il Signore per Lei, per il bene seminato nella Chiesa, e nella Chiesa di Roma in particolare, attraverso il suo magistero in questo anno, e le formuliamo i nostri auguri: ‘ad multos annos!’». Sono gli auguri per il primo anno di pontificato che il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ha formulato a nome di tutti i presenti salutando Papa Francesco, all’inizio del tradizionale incontro di inizio Quaresima con il clero romano, svoltosi in Aula Paolo VI, dove il Papa ha fatto il suo ingresso puntuale alle 10.30, salutato da un lungo applauso dei parroci, sacerdoti, diaconi, tutti in piedi. «Incontrarla e ascoltarla ci fa tanto bene», ha esordito il cardinale. «In questo anno – ha proseguito – è cresciuta in noi la sintonia interiore con la sua persona e il suo magistero, la testimonianza semplice e gioiosa della sua ita, la sua parola schietta ed essenziale», che ha avuto «l’effetto di rinvigorire e accrescere in noi l’intento di bene operare nelle nostre comunità ecclesiali». A partire dalle indicazioni contenute nell’Evangelii Gaudium, per «una pastorale che non può lasciare le cose come stanno».

Preghiera per un parroco defunto. Prima di iniziare il suo discorso al clero romano, il Papa ha chiesto di pregare per un parroco defunto, e del quale si celebra il funerale oggi, ed è sembrato riferirsi indirettamente alla vicenda di Patrizio Poggi, l’ex prete che aveva denunciato l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita a reclutare ragazzi, anche minorenni, per farli prostituire con esponenti del clero romano. «Preghiamo per questo parroco che ci ha lasciato», ha esordito il Papa. Poi, riferendosi indirettamente alla vicenda dell’ex prete che ha accusato il clero romano di pedofilia, ha detto: «Sono stato molto colpito e ho condiviso il dolore di alcuni di voi: ho parlato con alcuni di voi che sono stati accusati, e ho visto il dolore per queste ferite ingiuste». «È una pazzia!», ha esclamato il Papa: «Voglio dire pubblicamente che io sono vicino al presbiterio». «Voglio chiedere scusa a voi, non tanto come vescovo vostro, ma come incaricato di un servizio diplomatico, come Papa», ha poi aggiunto Francesco: «Stiamo studiando il problema, perché questa persona sia allontanata. È un atto grave di ingiustizia, vi chiedo scusa per questo».

Questo è il tempo della misericordia. «All’inizio della Quaresima riflettere insieme, come preti, sulla misericordia ci fa bene». Con queste parole il Papa ha spiegato al clero romano la scelta del tema del suo discorso per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima. «Noi non siamo qui per fare un bell’esercizio spirituale all’inizio della Quaresima, ma per ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia», ha spiegato il Papa, che ha associato il termine misericordia a quello di «compassione»: la stessa che prova Gesù quando «cammina per le città e villaggi» e vede le persone «stanche e sfinite, come pecore senza pastore». «Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri», ha commentato il Papa: «Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l’Italia, ma sono il mondo, e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili».

«Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il magistero della Chiesa». Lo ha esclamato il Papa, che nel discorso al clero romano ha definito tale atteggiamento «in parte inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste». «Sta a noi, come ministri della Chiesa – ha detto il Papa – tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia». Secondo il Papa, in particolare, «va rimeditato» l’insegnamento di Giovanni Paolo II, la sua «intuizione» per cui questo nella Chiesa «è il tempo della misericordia»: per questo il Papa polacco ha beatificato e canonizzato suor Faustina Kowalska, e ha introdotto la festa della Divina Misericordia. Citando l’omelia per la canonizzazione di suor Faustina, Papa Francesco ha sottolineato le parole di Giovanni Paolo II rivolte al futuro: «Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. È certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio».

I preti «asettici», «da laboratorio», «non aiutano la Chiesa»., ha spiegato il Papa, secondo il quale «il prete è chiamato ad avere un cuore che si commuove». «I preti – ha detto il Papa spiegando cosa sia per un sacerdote la misericordia – si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore». Gesù, per il Papa, «ha le viscere di Dio: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura». A sua volta, il prete, «immagine del Buon Pastore», è «uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti»: «Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto».  

In particolare, per il Pontefice, il prete «dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della Riconciliazione: lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio», perché «se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero». Ai sacerdoti, il Papa ha additato «il criterio pastorale della vicinanza, della prossimità» e ha ribadito che «la Chiesa oggi possiamo pensarla come un ospedale da campo, c’è bisogno di curare le ferite». «C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa», ha detto: «Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi; poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte, anche le ferite nascoste». «Voi conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Siete vicini a loro?», ha chiesto il Papa ai parroci: «Vi lasciate abbracciare?».

«Né manica larga né rigidità». È anche questa la misericordia per un prete, ha spiegato il Papa ai parroci romani. Riferendosi alla confessione, Francesco ha osservato che «capita spesso, a noi preti, di sentire l’esperienza di nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto stretto, oppure molto largo, lassista o rigorista. Questo non va bene». «Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale – ha spiegato il Papa – ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia». «Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra», ha ammonito il Pontefice: «Il rigorista la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato». Al contrario, »la vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione». «Né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità, ha ribadito il Papa, sottolineando che «il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano, perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo».

Portare i pantaloni. «Noi abbiamo i pantaloni: li dobbiamo portare, per parlare con Dio per il nostro popolo». Il Papa ha usato anche toni scherzosi, fuori programma rispetto al testo, per rivolgersi ai preti romani. L’esempio citato è quello di Mosè: «Lotti con il Signore per il tuo popolo? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè?», ha chiesto il Papa, singolarmente, ai presenti. E ancora: «Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Quando un bambino si ammala, quando muore… Fai la preghiera d’intercessione davanti al tabernacolo? La sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore? O con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Bambini, anziani, malati. Sai accarezzarli?». Ai parroci, il Papa ha indicato la «sofferenza pastorale», una «forma della misericordia» che «vuol dire soffrire per e con le persone, come un padre e una madre soffrono per i figli. Mi permetto di dire, anche con ansia».

Farci prossimi alla carne del fratello. «Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad ogni carne, farci prossimo alla carne del fratello». Lo ha detto il Papa, che nel suo discorso ha esortato a «non avere vergogna della carne del tuo fratello». «Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi», ha ricordato il Santo Padre: «Il loro cuore era chiuso, e avevano le loro giustificazioni», perché «il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che fa», ha aggiunto a braccio. Invece, «quel samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona». «Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso», ha ammonito il Papa.

Se l’Italia è ancora forte è per i preti. «Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi vescovi, ma per i parroci, per i preti». Con queste parole, pronunciate ancora una volta a braccio, il Papa ha concluso il suo discorso al clero romano. «E’ vero, non è un po’ d’incenso per confortarvi», ha puntualizzato il Papa, «i preti dell’Italia sono bravi»: In due altre ampie parentesi a braccio, Papa Francesco ha citato l’esempio di due confessori: il primo è «un grande sacerdote di Buenos Aires», di 72 anni. «È un grande confessore: sempre la coda, la maggioranza dei preti vanno da lui a confessarsi… E una volta è venuto da me: ‘Ma Padre’; ‘Dimmi….’; ‘Io ho un po’ di scrupolo, perché io so che perdono troppo!’; ‘Ma prega… Se tu perdoni troppo…’. E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: ‘Ma tu sai quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo…’. E dico: ‘Ma, scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio!’. E me ne vado tranquillo». «È una bella preghiera di misericordia», ha commentato il Papa: «Se uno nella confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri». L’altro esempio è un altro prete di Buenos Aires, «un confessore famoso, quasi tutto il clero si confessava da lui». Anche Giovanni Paolo II, una delle due volte che è venuto a Buenos Aires, «ha chiesto un confessore in nunziatura, è andato lui».

«In quel tempo – ha raccontato il Papa – io ero vicario generale e abitavo nella curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c’era qualcosa. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: ‘Ieri, mezz’ora prima della Veglia Pasquale, è mancato il padre … il funerale sarà tal giorno’». Così, dopo il pranzo con i preti della casa di riposo, Bergoglio è andato nella chiesa: «Sono sceso nella cripta e c’era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Ho pensato: quest’uomo che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, e nessun fiore? Sono salito e sono andato in una fioreria e ho comprato fiori, rose … Sono tornato e ho cominciato a preparare bene la bara, con i fiori. Ho guardato il Rosario che aveva in mano e subito è venuto in mente quel ladro che tutti noi abbiamo dentro e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario e con un po’ di forza l’ho staccata. E in quel momento l’ho guardato e ho detto: ‘Dammi la metà della tua misericordia’. E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca». «Da quel giorno, fino ad oggi, quella croce è con me», ha svelato il Papa: «E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre, e sento la grazia che mi fa bene». «Ma quanto bene fa l’esempio di un prete misericordioso», ha commentato il Papa.