Francesco, udienza: «La Chiesa siamo tutti, non è nata in laboratorio». Appello per i rifugiati
«La Chiesa siamo tutti: non dobbiamo restringerla ai sacerdoti, ai vescovi, al Vaticano». Lo ha detto il Papa, che nell'udienza di oggi - pronunciata in gran parte a braccio - ha inaugurato un ciclo di catechesi sulla Chiesa, davanti a circa 28mila fedeli accorsi in piazza San Pietro nonostante le pessime previsioni atmosferiche.
«Speriamo di finire l'udienza senza acqua», ha esclamato il Papa elogiando i presenti per il loro coraggio. «La Chiesa non è nata in laboratorio», ha spiegato: «Non è un'istituzione finalizzata a se stessa o un'associazione privata, una Ong, è una realtà molto più ampia, che si apre a tutta l'umanità e che non nasce improvvisamente, dal nulla. È fondata da Gesù ma è un popolo con una storia lunga alle spalle e una preparazione che ha inizio molto prima di Cristo stesso».
«È Dio che fa questo popolo, questa storia: la Chiesa in cammino, lì nasce Gesù Cristo», ha commentato a braccio, ricordando che «questa storia, o preistoria, della Chiesa si trova già nelle pagine dell'Antico Testamento». Dio, infatti, «scelse Abramo, nostro padre nella fede, e gli chiese di partire. Dio non chiama Abramo da solo, come individuo, ma coinvolge fin dall'inizio la sua famiglia, la sua parentela e tutti coloro che sono a servizio della sua casa». «Una volta in cammino», poi, «Dio allargherà ancora l'orizzonte e ricolmerà Abramo della sua benedizione, promettendogli una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia sulla riva del mare». «Il primo dato importante», per il Papa, «è proprio questo: cominciando da Abramo Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra. E all'interno di questo popolo nasce Gesù».
«Dio è primo, arriva prima di noi, ci precede, è il primo albero che fiorisce nella primavera». Con queste parole pronunciate a braccio, il Papa ha spiegato che «non è Abramo a costituire attorno a sé un popolo, ma è Dio a dare vita a questo popolo». «Di solito - ha ricordato Francesco - era l'uomo a rivolgersi alla divinità, cercando di colmare la distanza e invocando sostegno e protezione». In questo caso, invece, «si assiste a qualcosa di inaudito: è Dio stesso a prendere l'iniziativa e a rivolgere la sua parola all'uomo, creando un legame e una relazione nuova con lui. Così Dio forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui. L'amore di Dio precede tutto. Precede Abramo, precede anche Adamo». «Questa è l'unica condizione, fidarsi di lui», ha detto il Papa sempre fuori testo: «Se ti fidi di Dio, lui ti ascolta e tu ti metti in cammino questo è fare Chiesa».
«Dio ti aspetta sempre, e se sei stato un peccatore grosso ti aspetta di più: è questa la bellezza della Chiesa». Ne è convinto il Papa, che nella catechesi di oggi è tornato sul concetto che Dio è «sempre in anticipo». «Abramo e i suoi - ha ricordato - ascoltano la chiamata di Dio e si mettono in cammino, nonostante non sappiano bene chi sia questo Dio e dove li voglia condurre». «Questo però non significa che siano sempre convinti e fedeli», ha puntualizzato il Papa: «Anzi, fin dall'inizio ci sono le resistenze, il ripiegamento su sé stessi e sui propri interessi e la tentazione di mercanteggiare con Dio e risolvere le cose a modo proprio. Sono i tradimenti e i peccati che segnano il cammino del popolo lungo tutta la storia della salvezza, che è la storia della fedeltà di Dio e dell'infedeltà del popolo». «Dio, però, non si stanca, ha pazienza e nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio», ha detto il Papa: «Anche noi facciamo esperienza ogni giorno dell'egoismo e della durezza del nostro cuore. Quando però ci riconosciamo peccatori, Dio ci riempie della sua misericordia e del suo amore. Ed è proprio questo che ci fa crescere come popolo di Dio, come Chiesa: non è la nostra bravura, non sono i nostri meriti, ma è l'esperienza quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene e si prende cura di noi».
«Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio, che è Padre, ci ama, ci accarezza, ci aspetta, ci fa sentire la sua tenerezza: e questo è molto bello!», ha esclamato il Papa, che al termine della catechesi, a braccio, ha parlato dei cristiani come «gente che benedice». «A me piace pensare - ha detto - che ci sia un sinonimo, un altro nome dei cristiani: sono uomini e donne, è gente che benedice». «Il cristiano con la vita deve benedire sempre, noi cristiani siamo gente che benedice, che sa benedire. È una bella vocazione!». «Questo è il progetto di Dio», ha spiegato il Papa: «Formare un popolo benedetto dal suo amore e che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra. Questo progetto non muta, è sempre in atto. In Cristo ha avuto il suo compimento e ancora oggi Dio continua a realizzarlo nella Chiesa». «Chiediamo allora la grazia di rimanere fedeli alla sequela del Signore Gesù e all'ascolto della sua Parola - ha concluso Francesco - pronti a partire ogni giorno, come Abramo, verso la terra di Dio e dell'uomo, la nostra vera patria, e così diventare benedizione, segno dell'amore di Dio per tutti i suoi figli».
Appello per i rifugiati. Subito prima dei saluti in lingua italiana che come di consueto concludono l'udienza del mercoledì, il Papa ha lanciato un appello a farci «vicini» ai rifugiati, «condividendo le loro paure e la loro incertezza per il futuro e alleviando concretamente le loro sofferenze». «Dopodomani, 20 giugno - ha esordito il Santo Padre - ricorre la Giornata mondiale del rifugiato, che la comunità internazionale dedica a chi è costretto a lasciare la propria terra per fuggire dai conflitti e dalle persecuzioni». «Il numero di questi fratelli rifugiati sta crescendo e, in questi ultimi giorni, altre migliaia di persone sono state indotte a lasciare le loro case per salvarsi», ha proseguito il Santo Padre: «Milioni di famiglie rifugiate di tanti Paesi e di ogni fede religiosa vivono nelle loro storie drammi e ferite che difficilmente potranno essere sanate». «Facciamoci loro vicini, condividendo le loro paure e la loro incertezza per il futuro e alleviando concretamente le loro sofferenze», l'appello del Papa. «Il Signore sostenga le persone e le istituzioni che lavorano con generosità per assicurare ai rifugiati accoglienza e dignità, e dare loro motivi di speranza», ha concluso.
«Pensiamo che Gesù è stato un rifugiato», ha aggiunto il Papa a braccio al termine dell'appello odierno: «Ha dovuto fuggire per salvare la sua vita, con san Giuseppe e la Madonna, ha dovuto andarsene in Egitto». «Gesù è stato un rifugiato», ha ripetuto: «Preghiamo la Madonna, che conosce i dolori dei rifugiati, che si avvicini a questi fratelli e sorelle nostri». «Preghiamo insieme la Madonna per questi fratelli e queste sorelle», ha detto il Papa prima di recitare l'«Ave Maria» insieme ai fedeli presenti in piazza.
Prologo con i disabili. Anche questa volta, come è accaduto mercoledì scorso, l'udienza generale del Santo Padre ha avuto un «prologo» in Aula Paolo VI, dove intorno alle nove Papa Francesco ha fatto il suo ingresso per salutare i malati e i disabili, accompagnati dai loro familiari e dai volontari. Dopo averli salutati quasi uno per uno, con strette di mano, abbracci e carezze, il Papa ha spiegato che - a differenza della scorsa udienza, dove il problema era il sole troppo cocente - la scelta del «prologo» di oggi era dovuta alle previsioni di piogge ingenti nella Capitale, che del resto imperversano già da ieri e da stanotte. Quella di oggi è la penultima udienza generale, prima della pausa estiva. L'appuntamento del mercoledì con i fedeli riprenderà, per il Papa, il 6 agosto, per proseguire poi il 20 e il 27. Il 13 agosto non ci sarà udienza perché il Papa partirà per la Corea. La preghiera dell'Angelus verrà guidata dal Papa ogni domenica in Vaticano nei mesi di luglio e agosto, tranne i giorni di assenza per il viaggio in Corea (15 e 17 agosto). La Messa mattutina a Santa Marta sospesa per tutto il periodo estivo, cioè dall'inizio di luglio fino alla fine di agosto, riprenderà all'inizio di settembre.
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