Vita Chiesa

Giornata missionaria: essere ponte, in ogni terra per tutti i popoli

Varie volte papa Francesco ci ha ricordato l’importanza di costruire ponti e non muri. Lo ha fatto in occasione del venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, ma anche nella Giornata mondiale della gioventù a Cracovia e in altre circostanze… Mi piace pensare, quest’anno, al tema e alla realtà della missione proprio in questi termini. Viviamo un tempo di «muri», fisici e non. Sono i muri contro i migranti, i muri tra le nazioni, tra religioni, i muri dell’intolleranza e dei fanatismi, i muri dell’arroganza, della violenza cieca, della guerra, della paura dell’altro e dell’esclusione, i muri dell’egoismo che niente costruisce se non ostacoli e divisioni, i muri dell’ingiustizia, dello spreco e della miseria che ci separano dalla vita vera… quanti muri e quanta energia sprecata!

La missione, al contrario, è costruire ponti. Un muro esprime la volontà di fermare o di fermarsi, di difendersi da qualcosa o da qualcuno, è un segnale di paura o di presunzione; un ponte dice il desiderio di avanzare, di superare gli ostacoli, di incontrare qualcuno, manifesta il coraggio e l’entusiasmo di scoprire e arricchire la vita. Vivere la missione è segnale che non si incontra in noi e nel presente tutta la grandezza della verità, ma che siamo costantemente alla sua ricerca. Vivere la missione è mettersi sulla strada del Signore e lasciarsi plasmare. Se ripenso alla mia esperienza, riconosco che quando sono arrivato in Brasile avevo già convinzioni e mentalità ben consolidate, ma che ho dovuto spogliarmi di tutto per reimparare tutto insieme alla gente: mentalità, tradizioni, modo di vivere, di reagire alle difficoltà, anche il modo di essere prete… tutto! Mi piace dire che ho fatto l’esperienza del baco da seta nel bozzolo. Ma questo è un processo che non finisce mai perché la vita non è fatta di nozioni che si imparano: è storia, è partecipazione ad avvenimenti, è condivisione di situazioni, è fatta di speranze e sofferenze vissute insieme lungo gli anni ed è, anche, un modo di pensare e di agire che si impara col tempo. Un missionario è una persona in continua formazione e trasformazione: non un uomo «incompleto», bensì un «uomo-ponte» tra mondi e culture. In questo riconosco, al di là delle difficoltà, la vera opportunità: ricordo la Lettera a Diogneto (sec. II) che dice che, per i cristiani, «ogni terra è patria e ogni patria è terra straniera». In questo essere ponte e «senza patria», si ha la possibilità di indicare la meta di un cammino costante che porta sempre al di là di qualsiasi realizzazione, verso un essere fratelli e sorelle che ci avvicini sempre più alla realtà del Regno di Dio.

Vivere la missione, in qualsiasi parte del mondo, vuol dire imparare a «guardare avanti». Non dobbiamo pensare di avere qualcosa da «difendere» con paura o con arroganza, ma che siamo chiamati a costruire un futuro per questa umanità. E questo perché la verità non è un patrimonio che possediamo e che dobbiamo «imporre» ad altri, ma qualcosa che siamo chiamati a scoprire con umiltà e a incarnare con coraggio, nella vita personale e nella società. L’Enciclica «Fratelli Tutti» di Francesco, nel parlare della parabola del Buon Samaritano, ci invita a essere i primi ad avvicinarci agli altri. Purtroppo oggi viviamo un momento nel quale ci si chiede più «se» l’altro è mio prossimo, piuttosto che chiederci «come» essere prossimo dell’altro. La strada che il Papa ci indica perché possiamo identificarci col Buon Samaritano e non con i briganti o gli indifferenti, è il cammino dell’attenzione (viene da pensare a don Milani) e del dialogo, dell’incontro fraterno. La missione che si fa dialogo e incontro è la strada per la quale il popolo di Dio è chiamato a camminare, non quella della violenza arrogante dettata dall’illusoria convinzione di conoscere e essere nella verità, senza i fratelli. La missione è un ponte che unisce, nell’ascolto reciproco e con la mano tesa. Continua il Papa: Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo «dialogare» (FT 198).

La missione è un ponte tra la nostra realtà attuale e la realtà del Regno di Dio. Mi ha toccato profondamente quello che il Papa ha scritto nella lettera apostolica «Desiderio Desideravi»: «Il parallelo tra il primo e il nuovo Adamo è sorprendente: come dal costato del primo Adamo, dopo aver fatto scendere su di Lui un torpore, Dio trasse Eva, così dal costato del nuovo Adamo, addormentato nel sonno della morte, nasce la nuova Eva, la Chiesa. Lo stupore è per le parole che possiamo pensare che il nuovo Adamo faccia sue guardando la Chiesa: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2,23). Per aver creduto alla Parola ed essere scesi nell’acqua del battesimo, noi siamo diventati osso dalle sue ossa, carne dalla sua carne» (n. 14). Ecco: la missione è l’impegno ad accogliere la forza vivificante dello Spirito affinché possiamo crescere nella fedeltà al Signore ed essere veramente, come Chiesa e come umanità riunita dall’amore di Cristo, «osso delle sua ossa e carne della sua carne»: «Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62,5).

*vescovo di Floresta (Brasile)