Vita Chiesa

Giornata vita consacrata, Papa Francesco: «metterci con Gesù in mezzo al suo popolo»

«Simeone – ha fatto notare Francesco a proposito dell’episodio evangelico della presentazione di Gesù al tempo  – non solo ha potuto vedere, ma ha avuto anche il privilegio di abbracciare la speranza sospirata, e questo lo fa  esultare di gioia. Il suo cuore gioisce perché Dio abita in mezzo al suo popolo; lo sente carne della sua carne». Così, «l’incontro di Dio col suo popolo suscita la gioia e rinnova la speranza». Simeone e Anna, nella vecchiaia, «sono capaci di una nuova fecondità, e lo testimoniano cantando», ha evidenziato il Papa. Ciò significa, ha spiegato, che «la vita merita di essere  vissuta con speranza perché il Signore mantiene la sua promessa». Sarà lo stesso Gesù a «spiegare questa promessa nella sinagoga di Nazaret: i malati, i carcerati, quelli che sono soli, i poveri, gli anziani, i peccatori sono anch’essi invitati a intonare lo stesso canto di speranza. Gesù è con loro, è con noi».

Il coraggio di sognare. «Siamo eredi dei sogni dei nostri  padri, eredi della speranza che non ha deluso le nostre madri e i nostri padri fondatori, i nostri fratelli maggiori», ha assicurato il Papa, che, nell’omelia si è soffermato sul legame tra «sogno» e «profezia». «Siamo eredi dei nostri anziani che hanno avuto il coraggio di sognare», ha proseguito Francesco: «E, come loro, oggi vogliamo anche noi cantare: Dio non inganna, la speranza in Lui non delude. Dio viene incontro al suo  popolo». «Ci fa bene accogliere il sogno dei nostri padri per poter profetizzare oggi e ritrovare  nuovamente ciò che un giorno ha infiammato il nostro cuore», ha detto il Papa commentando la profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri  giovani avranno visioni». «Sogno e profezia insieme», il binomio additato da Francesco: «Memoria di  come sognarono i nostri anziani, i nostri padri e madri e coraggio per portare avanti, profeticamente, questo sogno».

C’è «una tentazione che può rendere sterile la nostra vita consacrata: la tentazione della sopravvivenza». Ne è convinto il Papa, che, nell’omelia ha definito tale tentazione «un male che può installarsi a poco a poco dentro di noi, in seno alle nostre comunità». «L’atteggiamento di sopravvivenza – ha ammonito Francesco – ci fa diventare reazionari, paurosi, ci fa rinchiudere lentamente e silenziosamente nelle nostre case e nei nostri schemi. Ci proietta all’indietro, verso le gesta gloriose – ma passate – che, invece di suscitare la  creatività profetica nata dai sogni dei nostri fondatori, cerca scorciatoie per sfuggire alle sfide che oggi bussano alle nostre porte». «La psicologia della sopravvivenza – la tesi del Papa – toglie forza ai nostri carismi perché ci  porta ad addomesticarli, a renderli ‘a portata di mano’ ma privandoli di quella forza creativa che essi inaugurarono; fa sì che vogliamo proteggere spazi, edifici o strutture più che rendere possibili nuovi processi».

No ai professionisti del sacro. La tentazione della sopravvivenza, inoltre, «ci fa dimenticare la grazia, ci rende professionisti del sacro ma non padri, madri o fratelli della speranza che siamo stati chiamati a profetizzare». «Questo clima di sopravvivenza – l’altro monito di Francesco – inaridisce il cuore dei nostri anziani privandoli della capacità di sognare e sterilizza la profezia che i più giovani sono chiamati ad annunciare e realizzare». In sintesi, «la  tentazione della sopravvivenza trasforma in pericolo, in minaccia, in tragedia ciò che il Signore ci  presenta come un’opportunità per la missione». «Questo atteggiamento non è proprio soltanto della vita consacrata – ha puntualizzato il Papa – ma in modo particolare siamo invitati a guardarci dal cadere in esso».

«Mettere Gesù là dove deve stare: in mezzo al suo popolo». È la missione affidata dal Papa ai religiosi e alle religiose, che hanno gremito oggi la basilica di S. Pietro, per la Giornata mondiale a loro dedicata. «Tutti siamo consapevoli della trasformazione multiculturale che stiamo attraversando, nessuno lo mette in dubbio», ha osservato il Papa, sottolineando «l’importanza che il consacrato e la consacrata siano inseriti con Gesù nella vita, nel cuore di queste grandi trasformazioni». «La missione – in conformità ad ogni carisma particolare – è quella che ci ricorda che siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta», ha ricordato Francesco: «Certamente potranno esserci ‘farine’ migliori, ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano». «Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure – ha ammonito il Papa –  ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania». «Mettere Gesù in mezzo al suo popolo – ha spiegato Francesco – significa avere un cuore contemplativo, capace di riconoscere come Dio cammina per le strade delle nostre città, dei nostri paesi, dei nostri quartieri. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa farsi carico e voler aiutare a portare la croce dei nostri fratelli. È voler toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, che è ferito e brama e supplica di risuscitare».

«Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo!», l’invito finale del Papa: «Non come attivisti delle fede, ma come uomini e  donne che sono continuamente perdonati, uomini e donne unti nel battesimo per condividere questa  unzione e la consolazione di Dio con gli altri.  Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo, perché sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che, con il Signore, può trasformarsi in una vera esperienza  di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio». «Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!», l’augurio di Francesco: «Uscire da se stessi per unirsi agli altri – ha spiegato citando l’Evangelii gaudium – non solo fa bene, ma  trasforma la nostra vita e la nostra speranza in un canto di lode». «Ma questo possiamo farlo solamente se  facciamo nostri i sogni dei nostri anziani e li trasformiamo in profezia», ha concluso il Papa: «Accompagniamo Gesù ad incontrarsi con il suo popolo, ad essere in mezzo al suo popolo, non  nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare perché non si fa carico dei sogni dei  suoi padri, ma nella lode e nella serenità; non nell’agitazione ma nella pazienza di chi confida nello Spirito, Signore dei sogni e della profezia. E così condividiamo ciò che ci appartiene: il canto che nasce dalla speranza».