Vita Chiesa

Giovani e questione educativa

di Jacopo Masini«La persona umana come valore. L’importanza dell’ascolto e della riflessione comune. Molte le voci e gli interventi che si sono succeduti al convegno regionale «Educhiamo(ci) al bene comune. I giovani, le associazioni e le realtà giovanili cattoliche della Toscana di fronte alla questione educativa», lo scorso 23 maggio. Un problema sempre più percepito come snodo fondamentale per la crescita della coscienza ecclesiale ma non solo. Un argomento ormai sempre più discusso anche in ambienti non necessariamente cristiani. È apparso comunque molto significativo a tutti i partecipanti che ad ospitare l’evento fosse la comunità giovanile San Michele di Firenze, uno spazio di condivisione di sport e di cultura in cui molti giovani si sentono a casa.

Don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Cei, ha introdotto i lavori facendo un’ampia riflessione sul bene comune come una tensione vocazionale. «Il bene comune è quella somma di situazioni che permette alla persona di essere veramente se stessa per donarsi», ha spiegato don Nicolò citando il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. «La vera ricchezza dell’umanità siamo noi, uomini tutti creati ad immagine di Dio, con talenti unici, atti a costruire un mondo tale che ogni persona possa esprimere veramente se stessa. Il grande bene è l’amore di Dio: pensare al bene comune vuol dire affermare l’amore, accorgersi dei bisogni veri, in una attenta fase di ascolto, di attenzione, di discernimento. Da questo punto di vista, educarsi al bene comune vuol dire ascoltare il territorio con le sue esigenze, proprio grazie anche alle varie realtà associative», ha commentato don Anselmi.

Un impegno fatto di concretezza, di esperienze legate ad un impegno effettivo, all’incontro con la gente. «Molte volte ci fermiamo a guardare la realtà come qualcosa che ci delude, senza vedere che è la realtà stessa un dono di Dio, un luogo in cui il Signore risorge in questo tempo. La condivisione, l’associazionismo, la capacità di fare comunità al di là anche dell’appartenenza e dell’identità religiosa, come già accade per molte realtà, ci spinge a riflettere sul valore dell’incontro e della relazionalità, proprio di tutte le persone aperte al dialogo e alla crescita», ha concluso don Nicolò Anselmi.

Varie le testimonianze che si sono succedute all’intervento introduttivo. Grazie soprattutto ad un momento di confronto in gruppi di lavoro, tutti dediti alla riflessione sull’identità dell’educatore e su cosa voglia definire la parola «educazione». Chiara racconta la sua esperienza in una casa famiglia della Caritas: «Fare l’educatore vuol dire confrontarsi, guardando la bellezza che è in ognuno. Valorizzare ogni portato storico, ogni esperienza personale, gettando in ognuno un semino di bene che cresca». Giovanni: «La dimensione educativa è dedizione, amore, prendersi cura, di se stessi in primis. Nessuno ci spiega cosa si va a fare quando ci viene chiesto di diventare educatori. Bisogna chiedersi cosa voglia dire, curando la propria formazione e spiritualità. Con la voglia di ridonare l’amore che si riceve. I ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento, che sono sempre più vaghi, ed è qui che si  gioca con la responsabilità. Suscitare domande e risposte. Andare incontro alla vita che ci interpella».

Alla tavola rotonda, in cui è stato Pier Francesco Listri a introdurre il tema dell’educazione, hanno fatto eco altre voci di giovani. Chiara: «Educare, fare servizio, spendersi per gli altri mi ha cambiato la vita. Stare con la gente, essere un punto di riferimento mi hanno dato modo di pormi delle domande importanti su di me. Il ruolo di educatore offre occasioni anche per donare ai giovani uno spazio diverso rispetto, ad esempio, a situazioni familiari difficili caratterizzate da un conflitto».

Carlo: «Tante sono le situazioni, tanti i volti. La missione è rappresentata senz’altro però dai ragazzi con problemi, con disagi. È lì che emerge la libertà da parte dell’educatore di scegliere quale strategia sia la migliore, ma soprattutto di insistere nella propria azione educativa». Riccardo: «Perché fare l’educatore? Non per me, ma per la bellezza di contribuire alla vita di un’associazione e soprattutto di collaborare al bene degli altri, tornando a casa con la gioia e la fatica». Francesca: «Lo sport avvicina ai valori. Grazie ad un gruppo di giovani che magari non si pensava neppure si celasse dietro una squadra. In realtà grande è la sorpresa di crescere attraverso punti di vista differenti. Anche il teatro rappresenta un’occasione di apertura ad un approccio efficace agli altri, facendo propri contenuti e valori che vengono comunicati da persone più esperte». Benedetta e Renato: «Grazie allo sport affinare uno stile, un modo di avvicinare i ragazzi al di là dell’aspetto agonistico. A fine allenamento ritrovarsi per riflettere sui comportamenti avuti, creando anche occasioni per ulteriori momenti di approfondimento come uscite, gite insieme, in cui proporre anche delle testimonianze spirituali che suscitino interrogativi importanti nei ragazzi».

La serata è proseguita con un concerto e un momento di festa, nella comune sensazione di un pomeriggio speso per un rilancio forte e deciso dell’azione educativa. Azione Cattolica, Agesci, Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira», Centro Sportivo Italiano, istituto Salesiano, Toscana Impegno Comune e altre associazioni hanno cooperato per la realizzazione di questo evento, nella consapevolezza dell’importanza di fare sistema come Diocesi toscane, tutti rivolte al bisogno di educazione che la società oggi richiede.