Vita Chiesa

Giubileo sacerdoti, Francesco: usare il nostro peccato come ricettacolo della misericordia

Nella prima meditazione odierna, che precede quelle che il Pontefice svolgerà in tarda mattinata nella basilica di santa Maria Maggiore, e nel pomeriggio a san Paolo fuori le mura, Francesco sceglie di commentare la parabola del padre misericordioso e premette: «Prima una piccola introduzione, per tutto il ritiro». «Niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia» ripete due volte il Papa, e aggiunge fuori testo, «questa non è un’esagerazione, sia che si tratti della misericordia con la quale il Signore ci perdona i nostri peccati, sia che si tratti della grazia che ci dà per praticare le opere di misericordia in suo nome». «Io penso qui – dice ancora a braccio – a quei confessori impazienti che bastonano i penitenti che li rimproverano… almeno voi non fate queste cose», l’esortazione ai sacerdoti.

La misericordia «ci permette di passare dal sentirci oggetto di misericordia al desiderio di offrire misericordia. Possono convivere, in una sana tensione, il sentimento di vergogna per i propri peccati con il sentimento della dignità alla quale il Signore ci eleva. Possiamo passare senza preamboli dalla distanza alla festa, come nella parabola del figlio prodigo» e «utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato». «Ripeto questo – ha detto ancora a braccio – che è la chiave della prima meditazione: utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato».

«La misericordia ci spinge a passare dal personale al comunitario» e «se cominciamo col provare compassione per i più poveri e lontani, sicuramente sentiremo anche noi la necessità di ricevere misericordia». Questo il primo dei tre suggerimenti dati dal Papa ai sacerdoti nella prima meditazione tenuta con ampi inserti a braccio nella basilica romana di san Giovanni in Laterano. Il secondo suggerimento è: «Bisogna dare misericordia (misericordiar, che è spagnolo e dobbiamo forzare la lingua) per ricevere misericordia (ser misericordiados per essere misericordiati, questo non è italiano ma è la formula che trovo per andare dentro». La misericordia «mette in contatto una miseria umana con il cuore di Dio, fa in modo che l’azione nasca immediatamente. Non si può meditare sulla misericordia senza che tutto si metta in azione. Pertanto, nella preghiera, non fa bene intellettualizzare». La misericordia, chiarisce, «la si contempla nell’azione. Ma un tipo di azione che è onninclusiva: la misericordia include tutto il nostro essere – viscere e spirito – e tutti gli esseri». L’ultimo suggerimento «riguarda il frutto degli esercizi», ossia la grazia «di diventare sacerdoti sempre più capaci di ricevere e di dare misericordia». E la confessione di un sacerdote, aggiunge fuori testo, «è una cosa grande bella perché quest’uomo che si avvicina a confessare i propri peccati è lo stesso cha dà cuore e orecchio ad un’altra persona che poi viene a confessare i suoi». Da qui devono provenire «frutti di conversione della nostra mentalità istituzionale: se le nostre strutture non si vivono e non si utilizzano per meglio ricevere la misericordia di Dio e per essere più misericordiosi con gli altri, possono trasformarsi in qualcosa di molto diverso e controproducente». Per questo, chiosa a braccio, «in alcuni documenti della Chiesa e discorsi del papa si parla spesso della conversione istituzionale e pastorale».

«Ognuno di noi ha il suo segreto di miseria dentro, chieda la grazia di trovarlo, l’esortazione a braccio di Papa Francesco ai sacerdoti. Perché proprio il nostro peccato, ribadisce Francesco, è il «ricettacolo» per la misericordia. Tema centrale della riflessione, la «vergognata dignità» del figliol prodigo e l’invito a ognuno a porsi nella tensione feconda» di «peccatori perdonati» e «peccatori a cui è conferita dignità». «Non è solamente che il Signore ci pulisce – osserva a braccio il Papa – ma che il Signore ci incorona». «Dobbiamo situarci qui, nello spazio in cui convivono la nostra miseria più vergognosa e la nostra dignità più alta». Solo la misericordia «rende sopportabile quella posizione. Senza di essa o ci crediamo giusti come i farisei o ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. In entrambi i casi ci si indurisce il cuore».

Per il Papa la misericordia è anche «questione di libertà», «commozione che tocca le viscere» e «può scaturire anche da un’acuta percezione intellettuale – diventa come un raggio, semplice ma non per questo meno complessa –: si intuiscono molte cose quando si prova misericordia. Si comprende, per esempio, che l’altro si trova in una situazione disperata, al limite; che gli succede qualcosa che supera i suoi peccati o le sue colpe» che «l’altro è uno come me, che ci si potrebbe trovare al suo posto; e che il male è tanto grande e devastante che non si risolve solo per mezzo della giustizia».

Per Francesco «c’è bisogno di una misericordia infinita come quella del cuore di Cristo per rimediare a tanto male e tanta sofferenza, come vediamo che c’è nella vita degli esseri umani… se la misericordia va sotto questo livello, non serve. Tante cose comprende la nostra mente solo vedendo qualcuno gettato per la strada, scalzo, in una mattina fredda, o vedendo il Signore inchiodato alla croce per me». La misericordia «ci fa sperimentare la nostra libertà ed è lì dove possiamo sperimentare la libertà di Dio, che è misericordioso con chi è misericordioso». «Nella sua misericordia il Signore esprime la sua libertà. E noi la nostra».

«La miseria di cui parliamo è la miseria morale, non trasferibile, quella per cui uno prende coscienza di sé stesso come persona che, in un momento decisivo della sua vita, ha agito di propria iniziativa: ha fatto una scelta e ha scelto male», spiega Papa Francesco nella sua prima meditazione per il Giubileo dei sacerdoti a San Giovanni in Laterano. «Questo è il fondo che bisogna toccare per sentire dolore per i peccati e pentirsi veramente» perché «uno non va in farmacia e dice: ‘Per misericordia, mi dia un’aspirina’. Per misericordia chiede che gli diano della morfina per una persona in preda ai dolori atroci di una malattia terminale. o tutto o niente, si va in fondo o non si capisce nulla».

«Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il Cuore di Cristo, suo Figlio amato», spiega Francesco invitando i sacerdoti a leggere l’enciclica sul Sacro Cuore di Pio XII, «Haurietis acquas», perché spiega a braccio, «il centro della misericordia è il cuore di Cristo, forse le suore capiscono meglio di noi perché sono madri nella Chiesa». La misericordia «si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro, si rivolge a ciò che è personale con ciò che è più personale, non ‘si occupa di un caso’ ma si impegna con una persona, con la sua ferita. «Quante volte senza accorgersi – aggiunge il Pontefice fuori testo – uno dice ho un caso, ho trovato un caso, ma non bisogna ridurre la concretezza dell’amore di Dio a un caso, cosi non mi sporco le mani e così faccio una pastorale pulita e elegante». La misericordia «va oltre la giustizia e lo fa sapere e lo fa sentire; si resta coinvolti l’uno con l’altro. Conferendo dignità, la misericordia eleva colui verso il quale ci si abbassa e li rende entrambi pari, il misericordioso e colui che ha ottenuto misericordia».

La misericordia considera l’oggettività del danno provocato dal male, «però le toglie potere sul futuro, questo è il potere della misericordia», ha detto ancora il Papa nella prima meditazione ai sacerdoti. La misericordia, spiega il Pontefice, «è il vero atteggiamento di vita che si oppone alla morte, che è l’amaro frutto del peccato», «non è per nulla ingenua la misericordia. Non è che non veda il male, ma guarda a quanto è breve la vita e a tutto il bene che rimane. Per questo bisogna perdonare totalmente, perché l’altro guardi in avanti e non perda tempo nel colpevolizzarsi e nel compatire sé stesso e rimpiangere ciò che ha perduto», La misericordia è «fondamentalmente speranzosa, è madre di speranza». Per il Papa, che ha commentato la parabola del padre misericordioso, «lasciarsi attrarre e inviare dal movimento del cuore del Padre significa mantenersi in quella sana tensione di dignità vergognata. Lasciarsi attrarre dal centro del suo cuore, come sangue che si è sporcato andando a dare vita alle membra più lontane, perché il Signore ci purifichi e ci lavi i piedi; lasciarsi inviare ricolmi dell’ossigeno dello Spirito per portare vita a tutte le membra, specialmente a quelle più lontane, fragili e ferite». «Il segno per sapere se uno è ben ‘situato’ è il desiderio di essere, d’ora innanzi, misericordioso con tutti. Qui sta il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra, quel fuoco che accende altri fuochi. Se non si accende la fiamma, vuol dire che uno dei poli non permette il contatto. O l’eccessiva vergogna che non pela i fili e, invece di confessare apertamente ‘ho fatto questo e questo’, si copre; o l’eccessiva dignità, che tocca le cose con i guanti».

«La misericordia è sempre esagerata, eccessiva», ha detto ancora, avviandosi alla conclusione. «Una parolina – ha spiegato – per finire sugli accessi della misericordia». «L’unico eccesso davanti alla eccessiva misericordia di Dio è eccedere nel riceverla e nel desiderio di comunicarla agli altri – ha osservato -. Il Vangelo ci mostra tanti begli esempi di persone che esagerano pur di riceverla». Tra questi «il cieco Bartimeo, che riesce a fermare Gesù con le sue grida» e, ha aggiunto il Pontefice a braccio, «a vincere la dogana dei preti», e «la peccatrice, le cui eccessive manifestazioni d’amore verso il Signore col lavargli i piedi con le sue lacrime e asciugarglieli coi suoi capelli, sono per il Signore segno del fatto che ha ricevuto molta misericordia» e perciò, ha osservato ancora fuori testo, «la esprime in quel modo esagerato, ma sempre la misericordia è esagerata, è eccessiva». «Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati…, sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa. Ecco l’espressione: la misericordia ci fa passare ‘dalla distanza alla festa’». E questo «non si comprende se non è in chiave di speranza, in chiave apostolica, in chiave di chi ha ricevuto misericordia per dare a sua volta misericordia». Di qui la conclusione della meditazione con la recita del «magnificat della misericordia», il Salmo 50 del Re Davide.