Vita Chiesa

Giubileo sacerdoti, Papa Francesco: «il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro»

L’odore forte della miseria. «Possiamo chiedere la grazia» di gustare con Gesù sulla croce «il sapore amaro del fiele di tutti i crocifissi, per sentire così l’odore forte della miseria – in ospedali da campo, in treni e barconi pieni di gente –; quell’odore che l’olio della misericordia non copre, ma che ungendolo fa sì che si risvegli una speranza». Esordisce così questo pomeriggio Papa Francesco nella sua meditazione, la terza di oggi, al ritiro spirituale guidato nella basilica di san Paolo fuori le Mura in occasione del Giubileo dei sacerdoti, intitolata «Il buon odore di Cristo e la luce della sua misericordia».

Il denaro ci fa perdere la ricchezza della misericordia. «Nella Chiesa abbiamo avuto e abbiamo molte cose non tanto buone, e molti peccati, ma in questo di servire i poveri con opere di misericordia, come Chiesa abbiamo sempre seguito lo Spirito, e i nostri santi lo hanno fatto in modo molto creativo ed efficace». La nostra gente, sottolinea il Pontefice riflettendo sulle opere di misericordia, apprezza «il prete che si prende cura dei poveri, dei malati, che perdona i peccatori, che insegna e corregge con pazienza… Il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro» perché il denaro «ci fa perdere la ricchezza della misericordia», uccide il ministero di un prete e lo fa diventare «un funzionario, o peggio un mercenario». Per un prete o un vescovo, avverte Francesco, «essere misericordioso non è solo un modo di essere, ma il modo di essere. Non c’è altra possibilità di essere sacerdote». Occorre quindi «vedere quello che manca per porre rimedio immediatamente, e meglio ancora prevederlo» e saper «discernere i segni dei tempi nella prospettiva di ‘quali opere di misericordia sono necessarie oggi per la nostra gente’». «Nelle nostre opere di misericordia siamo sempre benedetti da Dio», ha osservato il Papa; invece altri tipi di progetti «a volte vanno bene e altre no» perché mancano di misericordia. Se, ad esempio, un piano pastorale non funziona è perché gli «manca quella misericordia che appartiene più a un ospedale da campo che a una clinica di lusso».

«La misericordia guarda con pietà il passato e incoraggia per il futuro», ha poi affermato il Papa. Richiamando la pagina evangelica della donna adultera, il Pontefice ha detto di commuoversi di fronte al comportamento del Signore. «Nel suo dialogo con la donna» Gesù «apre altri spazi: uno è lo spazio della non condanna» che «neanche lui riempie con altre pietre». Poi, con le parole «neanch’io ti condanno» apre nel cuore della donna «un altro processo», le apre anche «un altro spazio libero: ‘Va’ e d’ora in poi non peccare più’». «Il comandamento si dà per l’avvenire, per aiutare ad andare, per ‘camminare nell’amore’». «Questa – assicura il Papa – è la delicatezza della misericordia che guarda con pietà il passato e incoraggia per il futuro». Il Signore «non solo le sgombra la strada ma la pone in cammino perché smetta di esser oggetto dello sguardo altrui, perché sia protagonista». «Il ‘non peccare’ non si riferisce solo all’aspetto morale» ma «a un tipo di peccato che non la lascia fare la sua vita». Per Francesco, «questa immagine del Signore che mette in cammino le persone è molto appropriata: Egli è il Dio che si mette a camminare con il suo popolo, che manda avanti e accompagna la nostra storia. Perciò, l’oggetto a cui si dirige la misericordia è ben preciso: si rivolge a ciò che fa sì che un uomo e una donna non camminino nel loro posto, con i loro cari, con il proprio ritmo, verso la meta a cui Dio li invita ad andare».

Essere mediatori. Noi sacerdoti, ha detto ancora Francesco, siamo «segno e strumento» dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore se «veramente la gente si incontra con il Dio misericordioso. A noi spetta ‘far sì che si incontrino’, che si trovino faccia a faccia. Quello che poi faranno è cosa loro». Dal Papa anche il monito a non essere autoreferenziali. «Siamo servi inutili. Ecco, strumenti e segni che furono molto utili per altri due che si unirono in un abbraccio, come il padre col figlio», ha aggiunto richiamando la parabola al centro della meditazione mattutina a san Giovanni in Laterano. Terza caratteristica «propria del segno e dello strumento è la loro disponibilità. Che sia pronto all’uso lo strumento, che sia visibile il segno. L’essenza del segno e dello strumento è di essere mediatori. Forse qui si trova la chiave della nostra missione in questo incontro della misericordia di Dio con l’uomo». Sant’Ignazio diceva di «non essere impedimento». Un buon mediatore «è colui che facilita le cose e non pone impedimenti», ad esempio un sacerdote che evita «l’impedimento di avere sempre l’aspetto di uno molto occupato», conclude Francesco rievocando il «grande confessore» argentino, il padre Cullen che in confessionale aspettava la gente aggiustando palloni di cuoio per i ragazzi o leggendo un dizionario di cinese, «disponibile per l’essenziale». «Il problema è che la gente non si avvicina quando vede il suo pastore sempre impegnato».

«Bisogna imparare dai nostri buoni confessori, da quelli ai quali la gente si avvicina, quelli che non la spaventano e sanno parlare finché l’altro racconta quello che è successo» e da «quelli che hanno delicatezza con i peccatori e ai quali basta mezza parola per capire tutto». Questa l’esortazione ai sacerdoti di Papa Francesco, nella terza meditazione odierna per il Giubileo dei presbiteri. Il Papa ha ricordato a braccio l’episodio di un giovane soldato sul punto di essere fucilato che disse al cappellano di non essere pentito dei suoi peccati ma solo rammaricato. «Il buon confessore – ha osservato – cerca sempre le possibilità per arrivare all’uomo». «Hai bisogno di tanti dettagli per perdonare, o la situazione che ti stai facendo è un film?’» ha aggiunto ancora a braccio, suscitando l’ilarità dei presenti, invitati a non essere troppo indagatori in confessionale.

Per Francesco, «bisogna lasciarsi commuovere dinanzi alla situazione della gente» imparando «dai confessori che sanno fare in modo che il penitente senta la correzione facendo un piccolo passo avanti, come Gesù, che dava una penitenza che bastava, e sapeva apprezzare chi ritornava a ringraziare, chi poteva ancora migliorare». Ricordando il frate cappuccino di Buenos Aires, citato in diverse occasioni, che perdonava molto e talvolta per questo provava scrupoli ma diceva che era Gesù a dargli il cattivo esempio e perciò «la colpa era sua», Francesco ha osservato: «La misericordia la migliorava con più misericordia». «Non abbiate mai lo sguardo del funzionario, di quello che vede solo ‘casi’ e se li scrolla di dosso, del «prete giudice-funzionario», il primo consiglio del Pontefice. No «alla morale dei libri senza esperienza» ma «giudicare come vorremmo essere giudicati». «Non siate curiosi nel confessionale», il secondo suggerimento, perché è proprio della misericordia «coprire con il suo manto» il peccato «per non ferire la dignità. Bello quel passo dei due figli di Noè, che coprirono con il mantello la nudità del padre che si era ubriacato».

«Le opere di misericordia sono infinite, ciascuna con la sua impronta personale, con la storia di ogni volto. Non sono soltanto le sette corporali e le sette spirituali in generale» ma sono» un’opera artigianale» che «si moltiplica come il pane nelle ceste, che cresce a dismisura» perché «la misericordia è feconda e inclusiva», ha detto ancora il Papa nella sua meditazione. «Di solito pensiamo alle opere di misericordia ad una ad una», ma «se le guardiamo insieme, il messaggio è che l’oggetto della misericordia è la vita umana stessa e nella sua totalità» in quanto «carne» e «spirito». La famiglia, ha aggiunto Francesco, «è quella che pratica queste opere di misericordia in maniera così adatta e disinteressata che non si nota, ma basta che in una famiglia con bambini piccoli manchi la mamma perché tutto vada in miseria. La miseria più assoluta e crudelissima è quella di un bambino per la strada, senza genitori, in balia degli avvoltoi». Ora, secondo il Papa, «si tratta di ‘agire’, e non solo di compiere gesti ma di fare opere, di istituzionalizzare, di creare una cultura della misericordia». E per le opere di misericordia lo Spirito santo sceglie gli strumenti «più umili e insignificanti». «Servi inutili», che «il Signore benedice con la fecondità della sua grazia», conferma «che si sta lavorando nelle sue opere di misericordia». Una riflessione, infine, sul «popolo fedele» al quale «piace raccogliersi intorno alle opere di misericordia, basta venire alle udienza generali del mercoledì». «La presenza massiccia del nostro popolo fedele nei nostri santuari e pellegrinaggi, presenza anonima per eccesso di volti e per il desiderio di farsi vedere solo da Colui e Colei che li guardano con misericordia, come pure per la collaborazione numerosa che, sostenendo col suo impegno tante opere solidali, dev’essere motivo di attenzione, di apprezzamento e di promozione da parte nostra». Di qui una duplice richiesta: le grazie a Dio «di lasciarci guidare dal sensus fidei del nostro popolo fedele, e anche dal suo ‘senso del povero». Entrambi i «sensi» sono legati al «sensus Christi», all’amore e alla fede che la nostra gente ha per Gesù.

Fuori programma per Papa Francesco al termine della terza meditazione nella basilica di san Paolo fuori le Mura. Parlando a braccio, con riferimento ad alcuni preti che si sentirebbero da lui «troppo bastonati», il Pontefice ha ammesso: «Qualche bastonata o rimprovero c’è», ma «sono edificato da tanti sacerdoti e preti bravi, ne ho conosciuti alcuni che quando non esistevano le segreterie telefoniche dormivano con il telefono sul comodino per non lasciare i fedeli morti senza sacramenti. Si alzavano a tutte le ore». «Ringrazio il Signore per questa grazia. Tutti siamo peccatori, ma bisogna dire che ci sono tanti bravi e santi sacerdoti che lavorano in silenzio e di nascosto. A volte c’è uno scandalo, ma sappiamo che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce».

Francesco ha raccontato di avere ricevuto ieri una lettera di un parroco italiano, responsabile di tre piccole parrocchie di montagna, scritta il 29 maggio e recapitatagli da un sacerdote amico del parroco, in questi giorni a Roma per il Giubileo. «Credo sia stato il Signore a darmi questo».

«Mi colpisce l’invito che lei più volte fa a noi pastori a sentire l’odore delle pecore», esordisce il parroco di tre piccole comunità di montagna, nella lettera scritta il 29 maggio al Papa. «Si diventa preti proprio per sentire quell’odore, vero profumo del gregge», scrive il sacerdote. Tuttavia «sarebbe bello – prosegue la missiva – che il contatto quotidiano con il gregge non fosse sostituito dalle incombenze amministrative e burocratiche delle parrocchie», nonostante la collaborazione di bravi e validi laici. «A volte è davvero frustrante constatare come si corra tanto per l’apparato burocratico e amministrativo lasciando quel piccolo gregge che mi è stato affidato quasi abbandonato a se stesso, è triste e tante volte mi viene da piangere». «Un altro aspetto richiamato anche da lei – scrive ancora il sacerdote – è la carenza di paternità. A volte anche noi rinunciamo a questa paternità pastorale riducendoci a burocrati del sacro». Tutto questo «non toglie comunque la gioia e la passione di essere prete per la gente e con la gente». «Se a volte non ho l’odore delle pecore – prosegue – mi commuovo per il gregge che non ha perso l’odore del pastore. Che bello vedere che le pecore non ci lasciano soli!». Se per caso il pastore «esce del sentiero e si smarrisce», proprio loro, le pecore, «lo afferrano e lo tengono per mano. Il Signore ci salva attraverso il gregge che ci ha affidato, che è la vera grazia del pastore». «Prego per lei e la ringrazio pure per le tiratine d’orecchie che sento necessarie», conclude il sacerdote.

Dopo avere dato lettura della missiva, Francesco ha commentato: «Questo è un fratello nostro ce ne sono tanti così, anche qui sicuramente, ci segnala la strada. Andiamo avanti, non perdete la preghiera. Pregate come potete, anche se vi addormentate davanti al tabernacolo. Lasciarsi guardare dalla Madonna e guardarla come madre. Non perdere lo zelo, la vicinanza e la disponibilità per la gente e anche, mi permetto di dirvi, non perdere il senso dell’umorismo».