Vita Chiesa

Gli insegnanti di religione? Sempre più qualificati

di Renato BruschiTra meno di dieci giorni scadranno i termini per accedere al concorso per l’immissione in ruolo riservato agli Insegnanti di religione cattolica. In Toscana gli aventi diritto sono alcune migliaia ed entro l’8 marzo dovranno presentare domanda al dirigente scolastico regionale.

In questi anni la Chiesa toscana si è fortemente impegnata per formare al meglio il proprio «equipaggio», attraverso corsi di aggiornamento e laboratori che hanno permesso ai docenti delle varie scuole di ottenere un ottimo livello di preparazione didattica.

Al termine della riunione che si è tenuta la scorsa settimana a Firenze sul problema del concorso, abbiamo chiesto alcuni chiarimenti al delegato regionale per l’insegnamento della religione cattolica don Ivo Ercolini, della diocesi di Massa Carrara Pontremoli.

Don Ivo, a che punto siamo?

«La preparazione al concorso si sta svolgendo bene. In tutte le diocesi si sono attivati i responsabili per organizzare corsi di formazione in vista dell’esame, che, ribadiamo, consisterà in una prova scritta e in un colloquio. Nello scritto il candidato dovrà rispondere a tre quesiti, tra quelli proposti, uno per ciascun ambito in cui si articola il programma del colloquio. I tre ambiti riguardano gli ordinamenti scolastici, gli orientamenti didattico-pedagogici e gli elementi essenziali di legislazione scolastica. Esclusi, ovviamente, i contenuti della materia d’insegnamento, della cui conoscenza si accerta l’ordinario diocesano».

Uno degli aspetti più dibattuti è, infatti, il problema dell’idoneità che deve essere rilasciata dal vescovo diocesano…

«L’idoneità rappresenta il legame fondamentale che il docente ha con la Chiesa cattolica, che è stata indicata dallo Stato italiano, come l’unico interlocutore abilitato ad occuparsi di insegnamento religioso. E questo non per discriminare nessuno, ma perché storicamente in Italia è la Chiesa Cattolica che custodisce il patrimonio di cultura religiosa che ha dato identità al nostro Paese. Al termine della riunione cui hanno partecipato i responsabili degli “Uffici scuola” delle diocesi toscane e alcuni insegnati di religione è stata definita una linea comune. Secondo le direttive Cei si è deciso che, fatta salva l’autonomia di ciascun ordinario diocesano, che è il solo in grado di valutare le singole situazioni, le diocesi toscane daranno l’opportunità a tutti gli aventi diritto di partecipare ad un solo tipo di concorso (scuole primarie o secondarie) e di rilasciare una sola idoneità. Tutto questo per salvaguardare il principio della continuità didattica e della abilità pedagogica maturata negli anni».

Come è cambiato in questi anni l’identikit dell’insegnante di religione?

«All’inizio l’insegnamento della religione era appannaggio solo di preti e religiosi. Poi sono entrati progressivamente i laici ai quali non si chiedeva una preparazione specifica ma una comprovata maturità cristiana e una competenza essenziale sui temi della religione. In seguito la formazione culturale si è notevolmente accresciuta al punto che alcuni insegnanti oggi sono in possesso di più titoli accademici rilasciati oltre che dalle competenti autorità ecclesiastiche anche da università statali. Oggi i laici sono oltre il 90% di tutti gli insegnanti di religione».

C’è chi si ostina ancora a pensare che la religione nella scuola sia una materia inutile o al massimo una forma subdola di catechismo.

«È una sciocchezza. I dati ci confermano che l’ora di religione, per quanto sia una materia opzionale, è seguita da oltre il 95% degli alunni nelle scuole elementari e medie, e dall’89% nelle superiori, segno che l’interesse è alto, anche se in Toscana negli ultimi anni si è registrato una certa flessione rispetto alla media nazionale, soprattutto per la scuola secondaria».

Con questo concorso cosa cambierà nella vita degli insegnanti?

«Praticamente niente. Continueranno a svolgere con amore e sacrifico il proprio lavoro. Continueranno a ricevere lo stesso trattamento economico. L’unica cosa che cambierà è che non avranno più l’ansia di sentirsi “lavoratori a tempo determinato” e vedranno riconosciuto dallo Stato l’impegno a favore della formazione umana e integrale della persona».