Vita Chiesa

INGHILTERRA: DOCUMENTO VESCOVI SUI CRISTIANI BRITANNICI DISCRIMINATI

I tribunali del Regno Unito non hanno applicato in modo corretto i principi della legge sui diritti umani e la parità nel caso di quattro cristiani britannici che sono stati discriminati sul posto di lavoro perché hanno voluto manifestare la propria fede in pubblico. La Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, attraverso il Dipartimento della responsabilità cristiana e cittadinanza, ha voluto rispondere così, con un comunicato lungo e dettagliato, al processo di consultazione lanciato dalla Commissione europea per i diritti umani e la parità sui casi di quattro cittadini britannici che sono ricorsi in appello alla Commissione stessa perché si ritengono discriminati dai tribunali britannici. Sono i casi di Nadia Eweida, una dipendente della British Airways e dell’infermiera Shirley Chaplin che sono state sospese dal lavoro perché indossavano delle croci. C’è poi il caso di Lilian Ladele che si è licenziata perché l’amministrazione comunale per la quale lavorava la obbligava a partecipare a matrimoni gay e di Gary McFarlane che era un counsellor obbligato a licenziarsi perché non ha voluto fare terapia sessuale a coppie gay.Nel documento, i vescovi inglesi ricordano l’articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sancisce la libertà “di manifestare la propria religione o credo individualmente o collettivamente, sia in pubblico che in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”. Ed afferma che quella libertà “può essere oggetto di quelle sole restrizioni” che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie per la protezione dell’ordine pubblico. “Quelle limitazioni – commentano i vescovi inglesi – che sono stabilite dalla legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica nell’interesse della sicurezza pubblica, della protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Pertanto ogni restrizione che non sia necessaria, non è lecita e “necessaria” significa molto più che semplicemente ‘desiderabile’. E’ chiaro da questi casi oggi dinanzi alla Corte europea che i tribunali britannici non hanno applicato i principi dell’articolo 9.2 correttamente”. (Sir)