Vita Chiesa

Il Natale è una storia vera

Le prime attestazioni figurative della Natività, risalgono al III secolo e si trovano nelle pareti del cimitero di S. Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla, a Roma. In queste effigie sono presenti i personaggi principali; altri ne furono aggiunti, nel corso degli anni, prendendo spunto dai racconti canonici e dagli apocrifi, rivestendoli di significati allegorici. È con san Francesco, però, che il presepe prende la forma che tutti conosciamo: nel Natale del 1223 il Santo di Assisi ne realizzò uno «vivente», con l’aiuto della popolazione locale, a Greccio. Mentre il primo esempio di presepe inanimato è quello che Arnolfo di Cambio scolpirà nel 1280 – in legno –  e del quale oggi si conservano le statue residue in Santa Maria Maggiore a Roma. La Sacra famiglia, il bue e l’asinello, gli angeli, i pastori,  la mangiatoia e la cometa, sono  gli elementi essenziali dell’icona natalizia; radicati negli occhi e nel cuore dei credenti costituiscono un tratto indelebile della cultura occidentale, come ha riconosciuto il Papa, nel suo ultimo libro sull’«Infanzia di Gesù». Commentando e spiegando i racconti evangelici, il Pontefice ha confermato, sostanzialmente, ciò che la tradizione ci ha tramandato sul Natale. Ne abbiamo discusso con don Alessandro Biancalani, docente di Sacra Scrittura all’Istituto superiore di scienze religiose di Pisa, allo Studio teologico interdiocesano di Camaiore e alla Facoltà dell’Italia Centrale a Firenze.

Benedetto XVI, nell’affrontare il tema dei primi anni della vita di Gesù,  si è mosso sul piano esegetico e su quello più prettamente teologico, senza eludere le questioni più spinose…

«Il Santo Padre, con questo testo, ha voluto chiudere un ciclo sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazareth. L’analisi che conduce tiene conto delle ricerche sia teologiche che scientifiche, alla luce della fede. In questa lettura, dunque, Benedetto XVI ha affrontato con sguardo sereno ogni questione, anche quelle più tradizionali e che immediatamente identifichiamo con il Natale ed in questo caso con il presepe. Comprendo, dunque, qualche reazione di sorpresa, ma penso si debba dare credito ad una lettura attenta come quella del Santo Padre».

I Vangeli, «storia riletta con gli occhi della fede»,  sono piuttosto sobri nel raccontare la nascita del Salvatore, nonostante ciò i particolari che ci consegnano, soprattutto quello di Luca,  sono ricchi di elementi storici. È così?

«I Vangeli non sono solo semplici cronache della vicenda di Gesù. Insieme all’annuncio fondamentale del Regno, ci consegnano le tradizioni intorno a Gesù, naturalmente organizzate per la vita di una Chiesa di riferimento. In ciò, come è ovvio, tengono conto dei destinatari. Se il Vangelo di Matteo si può affermare che abbia tenuto conto di destinatari provenienti soprattutto dall’ebraismo, il Vangelo di Marco si affretta a più riprese a spiegare ai suoi lettori usi e costumi che evidentemente non conoscevano. Per quanto riguarda i vangeli dell’infanzia, Luca e Matteo partono da due prospettive differenti: per Matteo Cristo compie le promesse di Abramo e così apre il suo vangelo con la genealogia che prende le mosse da Abramo, mentre nel Vangelo di Luca alla luce delle accurate ricerche che l’autore ci informa aver fatto, rilegge i grandi interventi dell’Antico Testamento da parte di Dio a favore del popolo nella salvezza che gli Angeli cantano la notte di Natale: è la sua modalità per presentarci l’unico compimento in Cristo Signore».

Perché allora i Vangeli dicono così poco sui fatti di Betlemme?

«Quanto accaduto a Betlemme non fu percepito come l’inizio di una storia da raccontare, bensì come punto di arrivo. Può sembrare strano, ma la prospettiva della vicenda di Gesù fu, infatti, il compimento della volontà salvifica di Dio verso gli uomini. Le parole di Pietro il giorno di Pentecoste sono chiare: “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.  Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire” (At 2,32-33). È l’annuncio del Vangelo di Gesù di Nazareth che il consacrato di Dio (Cristo), morto e risorto, che tutti gli uomini devono accogliere nella fede: questo è l’atteggiamento che Paolo riscontrerà nei suoi discepoli di Tessalonica: “attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene” (1Ts 1,9-10)».

Intorno alla nascita di Gesù, nel corso della storia, sono state formulate diverse ipotesi di datazione. Quali sono oggi le più accreditate?

«Il Santo Padre, nel suo libro, riferisce i dati della questione senza prendere una posizione netta, ma ribadendo un concetto importante: “Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione”. Alla luce di ciò espongo le due tesi possibili. La prima tesi, sostenuta dall’Ottocento in avanti, pone la nascita di Gesù al 7 a.C., in base ad un calcolo previo che contempla la morte di Erode il Grande nel 4 a.C., nonché della congiunzione, proprio in quell’anno, dei pianeti Giove e Saturno, fenomeno astronomico ritenuto all’origine della stella vista dai Magi. La seconda, invece, già indicata dal monaco Dionigi il Piccolo nel VI secolo, e tornata in auge da una decina d’anni, in particolare per gli studi di Giorgio Fedalto (docente di storia bizantina all’Università di Padova), grazie all’uso dei risultati dell’U.S. Naval Observatory di Washington, pone la nascita di Gesù nel 1° anno della cosiddetta Era volgare».

Papa Ratzinger scrive che «non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella».  Ci sono conferme storiche sulla presenza di una stella che fa da guida per i Magi fino a Betlemme?

«La forma più comune che si dà alla stella che guidò i Magi verso Betlemme, è quella di una cometa. Pochi, però, sanno che si tratta di una rappresentazione errata, in quanto solo dal XIII secolo in poi essa si trova raffigurata in tale maniera. Pare, infatti, che il primo a dipingere una cometa nel cielo della Natività sia stato Giotto, il celebre artista, nel suo affresco “Adorazione dei Magi” situato nella cappella degli Scrovegni a Padova. Egli aveva da poco visto la cometa di Halley in uno dei suoi innumerevoli passaggi, restando affascinato dallo spettacolo offerto dall’astro a tal punto da raffigurarlo in uno dei suoi dipinti. Una conferma viene dai mosaici della basilica di Sant’Apollinare Nuovo, a Ravenna, che essendo anteriori a Giotto, raffigurano il fenomeno astronomico non con una cometa, ma solamente con un astro più brillante degli altri. Tra l’altro, l’apparizione di una cometa suscitava a quel tempo un notevole scompiglio visto che queste erano considerate portatrici di sciagure. Sembra molto strano, quindi, che un fenomeno astronomico, per altro così evidente, non fosse stato notato da Erode e da tutti gli altri, che chiede, infatti, spiegazioni ai Magi su dove e quando la stella fosse apparsa. Ciò esclude anche il fatto che possa essersi trattato dell’apparizione in cielo di una stella “nova”, una stella che esplode e diventa improvvisamente talmente luminosa da essere, a volte, visibile anche in piena luce del giorno. Per la cronaca, comunque, la cometa di Halley passò al perielio – il punto più vicino al Sole – il 25 agosto del 12 a.C., mentre un’altra cometa fu visibile nel cielo di Gerusalemme nel periodo marzo-maggio del 5 a.C.. È stata registrata anche l’apparizione di una “nova”, nella costellazione dell’Aquila, nel 4 a.C.. Il fatto che i Magi non fossero re, ma sacerdoti di una religione detta Zoroastrismo e che, come tutti i sacerdoti del tempo, erano profondi conoscitori del cielo e dei fenomeni che in esso avvenivano ci porta a fare delle considerazioni sulla natura del fenomeno astronomico. Non si è trattato di un’apparizione spettacolare e visibile da tutti, ma è molto probabile che il fenomeno debba essere interpretato. I Magi, valenti astrologi, erano benissimo in grado di farlo. Nell’anno 7 a.C. si è verificato un fenomeno non molto frequente. Una triplice congiunzione planetaria fra Giove e Saturno. I due pianeti, per ben tre volte in un anno, si sono avvicinati (proiettati nel cielo) talmente da sembrare un solo astro molto brillante. Ora, Giove è da sempre stato simbolo di regalità, mentre Saturno era il pianeta che proteggeva, nella simbologia astrologica, il popolo di Israele. La triplice congiunzione planetaria è, tra l’altro, avvenuta nella costellazione dei Pesci, astrologicamente associata alla Palestina».

Gesù è nato in una «mangiatoia» o più semplicemente in una stalla?

«Nei racconti dell’evangelista Luca troviamo tre ricorrenze nel capitolo 2 del termine “mangiatoia” (deposizione di Maria dopo la nascita, nell’indicazione degli angeli ai pastori, nell’incontro con i pastori). Il termine greco in questione tradotto con “mangiatoia” è fàtne, che può anche indicare la stalla in cui sono tenuti gli animali. Il termine ebraico ’evùs, che in genere si ritiene significhi “mangiatoia”, è tradotto fàtne nella Settanta greca, come altri tre termini ebraici tradotti “stalle”, “recinti” e “biada”».

Insomma possiamo stare tranquilli: a Natale non festeggiamo la nascita di un mito…

«No, no. La storicità della nascita di Gesù è cosa certa, come tutta la sua esistenza… A Natale celebriamo l’incarnazione del Verbo, il Figlio di Dio che si fa uomo per la nostra salvezza».

Il bue e l’asinello: su di loro una vasta simbologia

Nel classico presepe, che san Francesco allestì per primo a Greccio ispirandosi alle rappresentazioni liturgiche della notte di Natale, nella grotta accanto al bambino vi sono un asino ed un bue di cui non parlano i vangeli canonici, ma lo Pseudo Matteo, risalente ad un epoca posteriore al VI sec. D.C.: «Il terzo giorno dopo la nascita del Signore, Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla: mise il bambino nella mangiatoia, e il bue e l’asino l’adorarono. Così si adempì ciò che aveva detto Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone”. Infatti questi animali, avendolo in mezzo a loro, lo adoravano senza posa».

Nella letteratura cristiana i due animali del presepe hanno suscitato tanti simboli. Entrambi hanno figurato, secondo il racconto dello Pseudo Matteo, i fedeli che riconoscono il Cristo e l’adorano. Secondo san Girolamo l’asino sarebbe l’Antico Testamento e il bue il Nuovo. Vi è chi, come Eucherio di Lione e Isidoro di Siviglia, vede nel primo i pagani e nel secondo il popolo eletto. Altri ancora sostengono che il primo sarebbe l’emblema delle forze benefiche e il secondo, come sostiene anche un contemporaneo, René Guenon, delle forze malefiche che il Cristo dominerà. Nelle antiche tradizioni asiatiche, o meglio indoeuropee, l’asino era simbolo regale-sapienziale. In tutto l’oriente l’asina bianca era la cavalcatura di re e condottieri, come testimonia anche l’Antico Testamento. Margarethe Riemschneider rammenta che nelle chiese vicine all’abbazia di Cluny appare l’asino con le rosette sotto gli zoccoli, le quali erano simbolo dei cluniacensi. L’asino con le rosette è il simbolo di chi diventa “asino”, ovvero porta il fardello della Croce camminando con zoccoli di rose e partecipa della regalità e del sacerdozio divino cui alludono i fiori mitici. Non è un’interpretazione priva di connessioni con la Sacra Scrittura.

La questione della data: e se quella esatta fosse davvero il 25 dicembre?

Il periodo esatto della nascita di Gesù non è noto. La Chiesa, infatti, festeggia, fin dal IV secolo, la Natività il 25 dicembre, ma solo per sostituire in questa data i festeggiamenti pagani al Sole, nei giorni in cui, passato il solstizio d’inverno, il tempo di luce di ogni giorno inizia ad allungarsi. Va, però, detto che recentissimi studi, effettuati sui testi dei frammenti del Qumran, avvalorerebbero l’ipotesi che Gesù sia nato effettivamente nel periodo intorno al 25 dicembre precedente l’anno 1, insomma, che il calendario di Dionigi sia esatto così com’è. In tal senso si esprime Vittorio Messori nel suo articolo sul Corriere della sera del 9 luglio 2003 dal titolo «Gesù nacque davvero quel 25 dicembre».