Vita Chiesa

Il cammino ecumenico. Card. Kurt Koch, «la sorella della religione è la pace»

Un anno vivo. Ricco di rapporti, di incontri, di tappe storiche che hanno aperto prospettive inedite. Così, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ripercorre dal «punto di vista ecumenico» il 2017. Un anno non facile, purtroppo caratterizzato da una serie di attentati compiuti in nome dell’estremismo religioso che ha preso ancora una volta di mira i cristiani, in diversi punti della terra. Un dolore che unisce tutte le Chiese nell’ecumenismo del sangue.

Eminenza, partiamo dalla attualità. Domenica 17 dicembre, terza domenica di Avvento, un attentato rivendicato dall’Isis, ha colpito una Chiesa metodista di Quetta, in Pakistan. Cosa ha pensato quando ha saputo dell’attacco?

«Una grande tristezza. E’ l’ennesimo attacco ad opera di terroristi che si rifanno al fondamentalismo e all’estremismo fomentato dall’Isis. Sono state colpite persone durante la liturgia mentre erano davanti a Dio. Siamo a Natale e il messaggio di Natale dice definitivamente che la sorella della religione è la pace e in nessun modo la violenza può trovare giustificazione. Questo è il messaggio che dobbiamo diffondere in tutto il mondo».

Perché colpire i cristiani?

«I cristiani nel mondo sono perseguitati ed uccisi non perché cattolici o ortodossi, protestanti o luterani, riformati e anglicani ma perché cristiani. Il loro sangue profuso in senso martiriologico ci unisce e i martiri nel Cielo hanno già trovato quella unità che noi cerchiamo sulla terra. Era un grande tema fortemente presente nel pontificato di Giovanni Paolo II che ha dedicato un intero capitolo della sua Enciclica sull’Ecumenismo – “Ut unum Sint” – all’ecumenismo dei martiri. Oggi Papa Francesco parla di  ecumenismo del sangue. L’80% di tutti gli uomini che nel mondo sono perseguitati in nome della religione, sono cristiani. Non sono sicuro che i cristiani in Europa hanno consapevolezza chiara di questa realtà. Ma per i nostri fratelli e sorelle perseguitati è importante avere un sostegno di preghiera e anche nella vita».

Quello che colpisce è stata la reazione della comunità copta ortodossa di Egitto subito dopo gli attentati prima al Cairo e poi ad Alessandria e Tanta. Non hanno chiesto vendetta, né giustizia né maggiore sicurezza. Hanno perdonato. Che tipo di cristianesimo emerge in questi contesti?

«E’ la grande testimonianza che ci ha lasciato il primo martire Stefano che era perseguitato ma ha pregato perché Dio perdoni i suoi carnefici. E ancora prima, lo ha fatto Gesù sulla Croce quando ha detto, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Credo che sia il segno di ciò che i cristiani possono dare al mondo. Il segno di una grande fede, di una radicalità, di una scelta di vita vissuta nel mistero di Cristo. Possiamo imparare molte cose da questi credenti».

Dal punto di vista ecumenico, che 2017 è stato? E’ di pochi giorni fa la notizia di una telefonata di papa Francesco al papa copto ortodosso Tawadros per porgli i suoi auguri mentre era ricoverato in ospedale. Si può dire che l’ecumenismo di Francesco sia l’ecumenismo della fraternità?

«C’è una grande amicizia tra papa Tawadros e papa Francesco. E la visita di Francesco al Cairo ha approfondito molto questo rapporto di amicizia. Papa Tawadros ha un grande cuore ecumenico e di apertura verso la Chiesa cattolica. Lo ha dimostrato quando ha deciso di fare la sua prima visita fuori Egitto a Roma. E quando ha voluto che ogni anno il 10 maggio si celebrasse la Giornata di amicizia copto-cattolica».

Quanto sono importanti i rapporti di amicizia tra i leader cristiani per la costruzione della pace soprattutto in contesti dove la pace è continuamente minacciata?

«In un mondo come quello di oggi in cui si incita alla violenza contro gli altri, è importante che i leader religiosi dicano che la violenza compiuta in nome di Dio è un abuso della religione».

Il 2017 è stato l’anno in cui si è concluso il 500° anniversario dell’inizio della Riforma di Lutero. Quale bilancio e quali prospettive si aprono per i rapporti futuri?

«Innanzitutto vorrei dire che è stata la prima commemorazione della Riforma nell’era ecumenica. In passato le commemorazioni della Riforma erano sempre segnate da toni polemici, anticonfessionali e anti-cattolici. Quest’anno i luterani non hanno voluto commemorare la Riforma solo tra di loro ma hanno chiesto di farlo insieme con noi e l’evento più importante è stato l’incontro tra papa Francesco e l’allora presidente della Federazione luterana mondiale a Lund  in Svezia. Penso che questo evento sia il frutto di un grande dialogo che è stato portato avanti nel passato. Il 2017 è l’anno in cui abbiamo fatto memoria dei 50 anni di dialogo ecumenico tra luterani e cattolici che è stato il primo che la Chiesa cattolica ha intrapreso dopo il Concilio Vaticano II.  Ed è un dialogo che ha maturato molti frutti importanti come la Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione nel 1999 e di recente il documento «Dal conflitto alla comunione» che ha mostrato il contenuto della commemorazione».

Che cosa dice questo dialogo al mondo attuale?

«In passato abbiamo avuto molti conflitti, abbiamo conosciuto la divisione delle chiese, abbiamo addirittura assistito ad orribili guerre e di questa storia dobbiamo chiedere perdono. E’ un perdono molto importante oggi. Guardiamo alle lotte tra sunniti e sciiti nel mondo musulmano: dobbiamo ammettere che abbiamo fatto la stessa cosa in passato e di questo dobbiamo fare pentimento. Ma c’è anche un sentimento di gratitudine per tutto ciò che abbiamo riscoperto di avere in comune. E la terza parola è speranza. Dopo la commemorazione di Lund, possiamo fare ulteriori passi in futuro. L’anno 2017 non può essere un punto ma deve segnare un doppio punto che apre ad una continuazione. Verso ciò che non divide ma unisce. In passato non era possibile avere questa unità».

Il 2017 è stato anche l’anno in cui da Bari, le reliquie di San Nicola sono state portate a Mosca e San Pietroburgo. Una iniziativa che ha aperto ad un ecumenismo popolare.

 

«Era un desiderio del Patriarca Kirill. Il giorno dopo l’incontro a L’Avana con il Papa, il Patriarca mi ha espresso il desiderio di avere la reliquia di San Nicola a Mosca e a San Pietroburgo. E questo trasferimento ha aiutato molto. Dopo l’incontro con il Papa, il Patriarca ha avuto molta opposizione, anche nella chiesa ortodossa russa. Ma con la presenza delle reliquie, il Patriarca ha potuto dire: questo è il primo frutto dell’incontro dell’Avana e questo ha aiutato molto a cambiare la mentalità. E’ l’ecumenismo dei santi, che apre opportunità per includere nel dialogo i credenti. E’ bene che i Capi di Chiese si incontrano ma se la gente non viene coinvolta, non possiamo andare avanti in futuro. Quando poi ho visto a San Pietroburgo  le reliquie scortate dall’esercito russo per il loro rientro all’aeroporto, mi sono detto che l’amore di Dio è più forte di ogni totalitarismo».

Ma ci sarà un nuovo incontro tra il Patriarca e papa Francesco?

«Non se ne parla in questo momento. Abbiamo commemorato quest’anno a Friburgo il primo anniversario dell’incontro a L’Avana e se ne sta preparando un secondo sempre in febbraio. Dei miracoli noi uomini non ne siamo responsabili. Questo è il dicastero dello Spirito Santo».

Qual è il suo augurio per l’anno nuovo che verrà?

«Che possiamo continuare e fare ulteriori passi verso l’unità. Come diceva il patriarca Atenagora, noi cattolici ortodossi ci amiamo gli uni e gli altri, professiamo la stessa fede. Il tempo è diventato maturo per arrivare alla stessa mensa eucaristica. E’ questo lo scopo ultimo dell’ecumenismo: ritrovare l’unità della Chiesa».