Vita Chiesa

Il primo anno di Papa Ratzinger

di Andrea Bellandi preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale

E’ ormai trascorso un anno da quel pomeriggio del 19 aprile 2005, secondo giorno del Conclave, in cui dal balcone della basilica di San Pietro sono risuonate quelle parole – dall’accento inconfondibilmente tedesco – con le quali il nuovo Papa Benedetto XVI (al secolo Joseph Ratzinger) si è presentato al popolo di Dio e al mondo con evidente commozione e insieme semplicità: «Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti, e soprattutto mi affido alle vostre preghiere. Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria, sua Santissima Madre, starà dalla nostra parte».

Se la scelta del porporato tedesco al soglio pontificio non è giunta del tutto inaspettata – e lo testimonia la rapidità con cui essa si è svolta – viceversa ha sorpreso non poco il nome da lui assunto come pontefice: Benedetto XVI. In occasione della prima udienza generale ne ha voluto lui stesso dare le ragioni: «Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. (…) Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti. Il nome Benedetto evoca, inoltre, la straordinaria figura del grande “Patriarca del monachesimo occidentale”, san Benedetto da Norcia, compatrono d’Europa insieme ai santi Cirillo e Metodio e le sante donne Brigida di Svezia, Caterina da Siena ed Edith Stein. La progressiva espansione dell’ordine benedettino da lui fondato ha esercitato un influsso enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il Continente. San Benedetto (…) costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà».

Ma quali sono, a distanza di un anno, gli aspetti più rilevanti dell’azione pastorale svolta dal nuovo papa? Quali i temi centrali che emergono nel suo magistero petrino? È ovvio che nel breve spazio di un articolo è impossibile menzionarli tutti adeguatamente. Cercherò, quindi, di cogliere quelli che a me sembrano assolutamente fondamentali. Nella Missa pro eligendo Romano Pontifice, celebrata da Ratzinger in qualità di Decano del Collegio cardinalizio nel giorno stesso di apertura del Conclave, in un punto centrale dell’omelia aveva affermato: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». E subito dopo aggiungeva: «Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo».

Ho citato questo passaggio perché ritengo esprima bene la preoccupazione di fondo che ha guidato i primi passi del nuovo successore di Pietro: ripresentare a tutto il Popolo di Dio – e ad ogni uomo – il contenuto originario e originale del Vangelo, dell’annuncio cristiano e della fede che da esso origina e prende forma, in un’epoca in certo qual modo ormai “post-cristiana”, che crede di conoscere il cristianesimo avendo una percezione più o meno confusa di qualche suo “valore”, oppure non lo conosce affatto. È a questo interlocutore che Papa Benedetto XVI intende rivolgersi, riproponendo con chiarezza e semplicità la centralità dell’avvenimento cristiano e della fede conseguente: «Quando si affievolisce la percezione di questa centralità, anche il tessuto della vita ecclesiale perde la sua originale vivacità e si logora, decadendo in uno sterile attivismo o riducendosi a scaltrezza politica dal sapore mondano. Se la verità della fede è invece posta con semplicità e decisione al centro dell’esistenza cristiana, la vita dell’uomo viene innervata e ravvivata da un amore che non conosce soste né confini» (Discorso all’Assemblea plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede, 10 febbraio 2006).

È in questa prospettiva che si coglie tutta la forza dirompente delle prime parole dell’enciclica Deus caritas est: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto». (…) All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). Il cristianesimo è propriamente l’incontro con la persona di Gesù Cristo, rivelazione e attuazione dell’amore di Dio, contemplando il quale – particolarmente in quel momento supremo che è il suo sacrificio sulla croce – «il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare» (n. 12).

Per questo di Lui non possiamo né dobbiamo avere paura; riecheggiando le parole iniziali del pontificato del suo amato predecessore, anche papa Benedetto – nella sua omelia inaugurale – invita a fidarsi di Cristo, permettendogli di entrare nella nostra vita: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto».

Sulle orme di Giovanni Paolo II, che nella prima enciclica dedicata a Cristo, Redentore dell’uomo, ha espresso subito con forza quello che sarebbe stato il fulcro della sua testimonianza apostolica, anche Benedetto XVI – già nel primo Messaggio del giorno seguente alla sua elezione – ha ribadito chiaramente: «Nell’intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo»; e in piazza S. Pietro, nella già citata omelia, ha ribadito: «Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia». Ma la forte riproposizione della centralità di Cristo, cuore della fede cristiana e «misura del vero umanesimo», non è separabile dalla riaffermazione del grande «metodo» che egli – Risorto e perciò vivo – ha scelto per incontrare l’uomo di ogni tempo: ovvero la realtà della Chiesa, fondata sugli apostoli. È questo il grande tema che il papa ha scelto di affrontare nelle Catechesi del mercoledì, a partire dal 15 marzo scorso: «Vorrei dedicare i prossimi incontri del mercoledì al mistero del rapporto tra Cristo e la Chiesa, considerandolo a partire dall’esperienza degli Apostoli, alla luce del compito ad essi affidato. La Chiesa è stata costituita sul fondamento degli Apostoli come comunità di fede, di speranza e di carità. Attraverso gli Apostoli, risaliamo a Gesù stesso. La Chiesa cominciò a costituirsi quando alcuni pescatori di Galilea incontrarono Gesù, si lasciarono conquistare dal suo sguardo, dalla sua voce, dal suo invito caldo e forte: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini!”».

La Chiesa quale luogo oggettivo – e vivo – in cui Cristo rimane «contemporaneo» all’uomo di tutti i tempi, evitando interpretazioni riduttive o di comodo del suo mistero; in tal senso il Papa puntualizza come sia «del tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa: “Gesù sì, Chiesa no”. Questo Gesù individualistico scelto è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che Egli ha creato e nella quale si comunica. Tra il Figlio di Dio fatto carne e la sua Chiesa v’è una profonda, inscindibile e misteriosa continuità, in forza della quale Cristo è presente oggi nel suo popolo. È sempre contemporaneo a noi, è sempre contemporaneo nella Chiesa costruita sul fondamento degli Apostoli, è vivo nella successione degli Apostoli. E questa sua presenza nella comunità, nella quale Egli stesso si dà sempre a noi, è motivo della nostra gioia» (Udienza del 15 marzo 2006).

La vera gioia è possibile solo in questa esperienza di contemporaneità con Cristo nella Chiesa, come già aveva affermato con forza e ripetutamente ancora nella sua prima omelia: «La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto». Infine un ultimo accenno ad un altro tema cruciale di questo primo anno di pontificato, pur se altri andrebbero certamente ricordati e non ultimo la volontà di attuare ogni sforzo per ricomporre la piena e visibile unità dei cristiani. Intendo menzionare il tema della «vocazione alla santità», quale compito e misura della fede di ogni cristiano. Non l’attivismo affannato, non il devozionalismo disincarnato, non un richiamo generico a qualche valore morale, bensì la tensione alla santità quale immedesimazione con Cristo: questo è il grande ideale, alimentato dall’esempio dei santi «antichi» e «recenti», presentato da Benedetto XVI a tutti i cristiani e in special modo ai giovani, come è risuonato alla Giornata mondiale della gioventù di Colonia: «Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. (…) I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane».

È dallo spettacolo della santità vissuta, che «vuol dire vivere secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso», che Benedetto XVI attende la vera «rivoluzione», l’autentico cambiamento del mondo: la rivoluzione dell’amore, frutto dell’opera di quel Dio che è amore.

Enciclica «Deus caritas est»

Omelia della Messa di inizio pontificato (24 aprile 2005)

Congresso Eucaristico a Bari: omelia del Corpus Domini

Discorso al Corpo diplomatico (12 maggio 2005)

Omelia per la chiusura del Sinodo sull’Eucarestia

«Nella verità, la pace». Messaggio per la giornata della pace 2006