Vita Chiesa

Il saluto del card. Bassetti al Congresso nazionale di Pax Christi

Carissimi amici e amiche di Pax Christi, 

vi ringrazio calorosamente per avermi inviato qui ad Assisi, nella città natale di San  Francesco, al vostro Congresso nazionale che ha un titolo così stimolante e profondo – “Abbi  cura delle relazioni: preparerai la pace” – che evoca immediatamente tre polarità di  importanza cruciale per la vita del cristiano: la cura, le relazioni e la pace. Tre polarità tenute  assieme da un verbo “preparare” che rimanda a un altro concetto fondamentale, su cui  però, ancora oggi, si riflette poco: la pace si costruisce giorno per giorno, non è data per  acquisita una volta per tutte, non è mai, purtroppo, un traguardo definitivo. La pace si  prepara con pazienza, premura, amore, fatica, umiltà e coraggio! Per questo è necessario  farsi operatori di pace in tutti i momenti della vita. E per questo, come diceva don Tonino  Bello, è necessario “battersi per la pace”. 

Quando don Tonino Bello pronunciava queste parole aveva già conosciuto da anni il  movimento pacifista e antinucleare italiano. Era stato un altro profeta degli ultimi, padre  Turoldo, ad avvicinarlo alle prime manifestazioni che portarono in piazza in Italia centinaia  di migliaia di persone. Nel 1983 il frate-poeta dei Servi di Maria chiamò al telefono don  Tonino Bello e con il suo tono un po’ burbero gli disse: “Ma cosa aspetti? Non fare il fesso,  vai con loro…”. E don Tonino andò e ne ha fatta di strada: mai da solo, sempre con il suo popolo, sempre alla sequela di Gesù. 

Qualche anno dopo, nel 1987, ormai Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, don  Tonino aggiunse: “Battersi per la pace vuol dire liberare l’uomo dall’intrico della miseria,  dal viluppo della massificazione, dalle grinfie rapaci del potere, dalle seduzioni involutrici del falso benessere”. 

C’è in questa affermazione una grande eredità spirituale e sociale combinata con  un’eccezionale attualità. È evidente come in queste parole riecheggi la nota espressione di  Paolo VI quando dice, nella Populorum progressio, che “lo sviluppo è il nome nuovo della  pace”. Tuttavia, nell’affermazione di don Tonino c’è qualcosa di più, c’è uno sviluppo  fecondo del magistero pontificio che risuona ancora oggi nelle nostre vite. Ovvero, come  diceva il vescovo di Molfetta che “non sempre lo sviluppo è sinonimo di progresso”: infatti,  le “armi moderne” non sono un indice di sviluppo, sebbene siano tristemente un segno di  progresso; “le articolazioni scientifiche” dell’economia moderna, che impediscono ad  alcuni popoli di progredire, sono addirittura una “involuzione”; lo stesso ragionamento si  può fare per le moderne tecniche fotografiche che caratterizzano le “patinatissime pagine della pornografia” o infine il nucleare a cui bisogna “stare molto attenti a dargli la patente  di sviluppo”. 

Queste parole di don Tonino Bello rappresentano, dunque, un’evoluzione del pensiero  montiniano. Un’evoluzione oggi straordinariamente attuale. Faccio tre esempi:  

Un primo esempio si riferisce a “l’intrico della miseria” di cui parlava don Tonino.  Purtroppo, è drammaticamente attuale in Italia: sia all’interno della nostra società che nel  rapporto tra l’Italia e il Sud del mondo. Il nostro Paese, da tempo, paga un prezzo altissimo  a vecchie oligarchie sociali, a interessi particolari diffusi e visioni egoistiche dello sviluppo  economico che hanno prodotto purtroppo soltanto un livello di disoccupazione cronica, un  Mezzogiorno abbandonato e una stagnazione della modernizzazione dell’Italia. Questa  situazione difficile, acuita dalla grande crisi economica degli anni scorsi, si è poi scontrata  con l’arrivo dal Sud del mondo di uomini e donne in fuga dalla miseria dei loro Paesi, dalla  guerra e dalla distruzione. Si è venuto a creare, purtroppo, un clima torbido in cui il povero  disperato che migra è diventato un nemico e un invasore da combattere. La pace sociale è  stata così sostituita da un clima di repulsione, preoccupante e inquietante, verso gli ultimi.  La Chiesa, però, non ha mai smesso, in questi anni, di mostrare la sua maternità verso i  poveri. E anche l’iniziativa sul Mediterraneo promossa dalla CEI va in questa direzione:  trasformare il Mare nostrum in una frontiera di pace. 

Il secondo esempio che mi preme di sottolineare si riferisce “alle grinfie rapaci del potere” di cui parlava sempre don Tonino. Un’espressione che rimanda immediatamente al vasto e  appassionato magistero sociale di papa Francesco quando coniuga insieme “l’inequità” dello sviluppo economico denunciata per la prima volta sull’Evangelii gaudium con “la radice umana della crisi ecologica” descritta nella Laudato si’. Alla base di questa situazione  di conflitto risiede una sorta di “potere ingovernabile” che il Papa ha chiamato come il  “paradigma tecno-economico. Un sistema di potere – privo di alcuna tensione verso Dio e  verso l’umano – che riduce l’uomo e l’ambiente a semplici oggetti da sfruttare in modo  illimitato e senza cura.  

Anche le “grinfie rapaci del potere”, per usare le parole di don Tonino, allontanano gli  uomini dalla pace. Soprattutto se il potere è anche colluso con la malavita organizzata come  accade purtroppo in alcune zone d’Italia. Abbiamo però fulgide testimonianze, di come si  può al tempo stesso battersi per la pace, per lo sviluppo di un territorio e contrastare la  mafia: don Pino Puglisi non è stato solo un “mediatore per la pace” nel quartiere Brancaccio  di Palermo ma è stato un profeta di pace per il mondo intero. 

“Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione – diceva don Pino Puglisi – il nostro progetto  d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni  volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare,  poi presentare quanto è stato costruito per potere dire: sì, ho fatto del mio meglio”.

In altre parole: dobbiamo farci, tutti quanti, artigiani della pace. In ogni luogo, in ogni  momento, ora, non domani, a partire da questo preciso istante. E poi rivolgersi al Signore  dicendo: sono tuo. 

Infine, il terzo esempio su cui voglio soffermarmi si riferisce alle “seduzioni involutrici del  falso benessere” di cui parlava sempre don Tonino. È questa una delle questioni più difficili  da affrontare nel mondo ricco e opulento in cui ci troviamo. Il benessere è seduttivo.  Seduce anche i cristiani. Perché il benessere ti può dare una sensazione di appagamento e  di sollievo rispetto alle sofferenze della miseria. Ti può dare l’illusione della pace interiore.  Ma è solo un’illusione. Perché il falso benessere invece divide gli uomini e provoca invidia.  Il falso benessere riduce gli uomini e le donne a individui isolati, infelici, soli. 

C’è una pagina insuperabile di Paolo VI che meriterebbe di essere approfondita e su cui  invece poco si riflette. Montini parla infatti del denaro come di un “bene isolante”.  Intuizione strepitosa che spiega la radice di molti mali della società attuale. Il culto del  denaro, che poi altro non è il culto del successo e in definitiva il culto degli uomini a se  stessi, è una vera e propria religione dei tempi odierni. Con il denaro puoi comprare il cibo  migliore, puoi pagare i migliori medici, puoi fare le migliori vacanze. Puoi fare tutto. Ti rende  apparentemente autonomo in tutto. Non hai più bisogno di Dio, ma l’uomo si fa dio di se  stesso. E prega per se stesso. Un po’ come si faceva con il vitello d’oro.  

In questo senso è un “bene isolante”: con il denaro hai tutto e non hai più bisogno di  nessuno. Invidi, però, chi ha più denaro di te e sei pronto a uccidere per difendere questo  denaro da cui pensi possa venire la felicità. In definitiva, questo “falso benessere” rende  l’uomo solo e infelice. Solo e aggressivo. Sempre pronto a cercare nell’altro il motivo della  propria infelicità. Ma questa non è una condizione di pace, è solo uno stato comatoso in  attesa della morte. 

Ecco perché – e mi avvio a concludere – noi abbiamo l’assoluto, incessante bisognoso di  preparare e di costruire la pace. A partire dalle relazioni interpersonali, da chi ci sta vicino,  dai nostri colleghi di lavoro, dai nostri figli, dai nostri vecchi. La pace, come ha ricordato  spesso Papa Francesco, “non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale  nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in  armonia con gli altri. Tuttavia, far tacere le armi e spegnere i focolai di guerra rimane la  condizione inevitabile per dare inizio ad un cammino che porta al raggiungimento della  pace nei suoi differenti aspetti”. 

Ecco cari amici e amiche vi lascio con un grande incoraggiamento: vale la pena battersi per  la pace, perché la pace non è solo una virtù ma uno stile di vita cristiano per costruire un  modo migliore. E ricordate sempre: non c’è pace senza cultura del dialogo, non c’è pace  senza amore! 

Assisi, 4 settembre 2021