Vita Chiesa

Il vescovo Fontana a Arezzo: «Felice di tornare in Toscana»

di Giacomo Gambassi

«E’ vero che le mie origini affondano in questa regione, ma sono un toscano che ha fatto l’emigrante. Avevo 18 anni quando sono entrato in Seminario e non ho mai avuto occasione di svolgere il mio ministero nella terra dove sono nato. Sarà come celebrare una sorta di prima Messa». Torna nella sua Toscana da arcivescovo alla guida della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro.

Riccardo Fontana (a sinistra nella foto con il predecessore, mons. Gualtiero Bassetti), il pastore che Benedetto XVI ha scelto come successore di Gualtiero Bassetti (eletto arcivescovo di Perugia-Città della Pieve), non nasconde una certa emozione. Nato a Forte dei Marmi, nell’arcidiocesi di Pisa, 62 anni fa, sacerdote dal 2 luglio 1972, Fontana arriva in Toscana con un bagaglio d’esperienze che vanno dal servizio diplomatico presso la Santa Sede ai tredici anni di episcopato nell’arcivescovo di Spoleto-Norcia. Domenica 13 settembre inizia il suo ministero nell’Aretino con una giornata ricca di incontri che avrà il suo fulcro nella Messa solenne nel Duomo di Arezzo alle 17.30 presieduta dall’arcivescovo metropolita di Firenze, Giuseppe Betori.

Eccellenza, la diocesi che la accoglie è una terra segnata dai carismi di san Francesco e san Benedetto con due centri di spiritualità come La Verna e Camaldoli.

«Dall’arcidiocesi che custodisce la casa natale di san Benedetto, a Norcia, la Provvidenza mi invia nella diocesi che ospita Camaldoli. L’esperienza benedettina e romualdina consente di alternare il silenzio dell’eremo al momento del cenobio. E oggi più che mai c’è bisogno di fare comunità. Poi c’è La Verna che mi accolse quando i miei superiori mi fecero capire che sarei stato nominato vescovo. Arrivando nel santuario francescano, mi rendo conto che da un francescanesimo amato è bene passare a un francescanesimo interiorizzato. Infatti occorre assomigliare a Cristo sull’esempio di Francesco che qui ha ricevuto le stimmate».

La diocesi ha una ricca presenza di famiglie religiose. Quale apporto possono dare alla comunità ecclesiale?

«La vita consacrata ha come nota specifica quella di tenere viva la profezia e di presentare a tutti Cristo casto, povero e obbediente. Pertanto vanno valorizzate queste storie nascoste che sono perle preziose donate a noi dal Signore».

Lei è vice presidente di Caritas italiana. Come essere testimoni della carità nella verità?

«Oggi la comunità cristiana è chiamata a misurarsi con bisogni sempre nuovi e diversi. Ma questo non deve avvenire secondo la logica dell’organizzazione, ma partendo dal fatto che il nostro impegno è un atto di amore. Credo che sia necessario far combaciare la Chiesa creduta e la Chiesa credibile. E, per evangelizzare con rispetto, la via migliore è quella della carità».

I giovani sono stati sempre al centro della sua missione sia a Roma, sia nell’arcidiocesi di Spoleto-Norcia.

«Dobbiamo evitare di sciacquarci la bocca con il tema dell’emergenza educativa e poi non muovere un foglio. Sono convinto che le nuove generazioni siano ricche di potenzialità e di risorse. Dobbiamo dare loro fiducia e convincerli che il mondo può essere cambiato».

Nel primo messaggio (testo integrale) che ha inviato alla sua nuova diocesi, lei sottolinea che l’impegno è come una professione di fede. È un invito ai cristiani a uscire da un certo torpore?

«Sicuramente. Non si può scindere la dimensione religiosa dalla vita quotidiana e ci deve essere il modo di conciliare la duplice appartenenza all’ordinamento civile e alla comunione della Chiesa. Certo, l’animazione politica spetta ai laici che sono invitati a costruire una società improntata sulla giustizia e sul rispetto dell’uomo».

Come può la Chiesa farsi interprete della cultura contemporanea?

«Siccome il vero è soltanto uno, credo che, se con rispetto siamo impegnati nella ricerca del vero, incontriamo Dio. Nella Pieve di Barga c’è una piccola iscrizione che mi incanta fin da quando ero chierichetto: “Piccolo il mio, grande il nostro”. Se riuscissimo a valorizzare la dimensione del “nostro”, avremmo dato un contributo fondamentale all’edificazione del bene comune».

Mons. Bassetti, ingresso a Perugia il 4 ottobre

Lascia la «sua» Toscana dove è nato, è stato sacerdote, vicario generale (nell’arcidiocesi di Firenze) e vescovo (prima a Massa Marittima-Piombiono e poi ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro). Gualtiero Bassetti, nominato da Benedetto XVI arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, farà il suo ingresso in terra umbra domenica 4 ottobre. Una data non casuale: infatti si celebra la memoria liturgica di Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e santo per eccellenza dell’Umbria con Benedetto da Norcia. Questa domenica Bassetti consegnerà il pastorale al suo successore in terra aretina, l’arcivescovo Riccardo Fontana. Poi trascorrerà i giorni che precedono l’inizio del suo ministero episcopale a Perugia nel palazzo vescovile di Sansepolcro. «Saluto la mia regione con le lacrime agli occhi – spiega -. Ho servito la Chiesa toscana secondo il cuore di Gesù e l’ho amata con tutto me stesso. Innalzare un inno di lode a Dio che si è servito di un umile prete fiorentino per presiedere nella carità le comunità cristiane che nel corso degli anni mi sono state affidate. E oggi, attraverso il Papa, il Signore mi chiede di prendere nuovamente il largo sulla sua Parola».