Vita Chiesa

Il vescovo toscano che interrogò padre Pio

di Andrea Bernardini

I documenti anteriori al 1939 conservati negli archivi dell’ex Santo Uffizio, com’è noto, non sono più segreti. Li ha spulciati con scrupolo don Francesco Castelli, sacerdote pugliese, docente di storia della Chiesa moderna e contemporanea all’Istituto superiore di scienze religiose Guardini di Taranto e storico della postulazione per la causa di beatificazione di Karol Wojtyla. Trovandovi, tra l’altro, anche gli atti della visita apostolica a padre Pio da Pietrelcina, promossa dal Sant’Uffizio nel 1921.

Ne è nato il libro Padre Pio sotto inchiesta. L’autobiografia segreta, con prefazione di Vittorio Messori, in uscita in questi giorni nelle librerie.

«Sin  dal 1919, al famoso dicastero vaticano – scrive don Castelli in un’articolo pubblicato nei giorni scorsi sull’Osservatore romano arrivavano di continuo lettere dal contenuto inaspettatamente contradditorio. A chi accusava padre Pio di procurarsi le stimmate con dell’acido fenico – quando non le riteneva frutto di suggestione – si opponevano tanti che ne proclamavano le virtù. A fronte di questa situazione complessa, i cardinali del dicastero pensarono di inviare un visitatore apostolico con lo scopo di verificare di persona la verità dei fatti. Compito difficile: era necessario trovare un inquisitore prudente, spiritualmente sensibile, teologicamente preparato».

La scelta cadde su monsignor Raffaello Carlo Rossi, futuro cardinale, da poco consacrato vescovo di Volterra. L’inquisitore di padre Pio fu dunque un religioso toscano. E più precisamente un pisano: Raffaello Carlo Rossi nacque infatti a Pisa il 28 ottobre del 1876 e visse a lungo in centro storico, in Borgo Largo. All’ombra della Torre pendente frequentò gli studi superiori, dove conobbe lo studioso cattolico Giuseppe Toniolo. Interruppe gli studi universitari nella facoltà di lettere del locale ateneo, già brillantemente avviati, entrando nel 1897 tra i frati carmelitani scalzi di San Torpé. Nel 1901 monsignor Ferdinando dei Conti Capponi arcivescovo di Pisa lo ordinò sacerdote. Dopo quasi venti anni trascorsi nella Casa carmelitana di Firenze, a San Paolino, fu eletto vescovo di  Volterra il 22 aprile del 1920. Monsignor Rossi fece di tutto per deviare la nomina, prima di piegarsi alla determinazione del papa Benedetto XV.

Non era nota, invece – almeno fino ad oggi -  la sua missione da padre Pio. Otto giorni di pedinamenti in cui scoprì che il frate cappuccino  a tavola non mangiava molto, ma che era improprio dire che fosse digiuno; ebbe modo di osservare che con i confratelli era gentile, che in confessionale trascorreva dalle dieci alle dodici ore al giorno e che viveva la celebrazione eucaristica con straordinaria devozione. «Padre Pio – scrive l’autore del libro sull’ Osservatore romano – colpì monsignor Rossi per la sua ubbidienza» alla Chiesa.

Poi l’interrogazione decisiva: con le mani sul Vangelo e sotto giuramento, padre Pio rispose a 142 domande dell’inquisitore, fino alla vicenda delle stimmate. «Il 20 settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa – raccontò il frate cappuccino al vescovo – trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro, tutt’ad un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e visi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce». «Non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti». «Di qui – continua il suo racconto – si manifestava che lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare». «Udii questa voce: “Ti associo alla mia Passione”. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi sono dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo».

A quel punto l’inquisitore volle vedere coi suoi occhi e pose il dito nella piaga. Oltre alla descrizione fisica delle stimmate, l’inquisitore rifletté a lungo sulla loro origine. «Molte le ipotesi esaminate. Ma tutte – scrive don Francesco Castelli – si rivelarono infondate e contradditorie, tranne una: quella dell’origine divina del singolare dono mistico».

Conclude l’autore del libro: «Il temuto dicastero romano non fu, in queste circostanze, un nemico di padre Pio, tutt’altro! Monsignor Rossi si rivelò un inquisitore preciso fino all’esasperazione ma anche un uomo maturo (…) privo di ingiustificate durezze verso il suo inquisito. Se negli anni seguenti, nonostante altre accuse, padre Pio non subì gravi sanzioni canoniche fino al 1931, lo si deve proprio al penetrante giudizio del futuro cardinale».

Negli anni vissuti da vescovo a Volterra, monsignor Rossi si prese cura, in particolare, del Seminario e dei novelli sacerdoti, occupandosi della loro preparazione. Poi il sacerdote pisano fu nominato arcivescovo titolare di Tessalonica. Pio XI, dopo la positiva conclusione del concordato tra la Santa Sede e l’Italia, lo volle premiare, il 30 giugno del 1930, con il conferimento della porpora cardinalizia.  Il 4 luglio dello stesso anno il cardinal Rossi divenne Segretario della sacra congregazione concistoriale, succedendo al cardinal Perosi, congregazione della quale era assessore già da ben sette anni.

Nonostante gli incarichi di Curia, monsignor Rossi cercò di conservare il più possibile la vita ascetica propria dei carmelitani scalzi. Seguì la congregazione religiosa degli Scalabriniani, nata per la formazione dei missionari da destinare all’assistenza spirituale degli emigranti sparsi nel mondo; in quel periodo la congregazione era in crisi, ma il suo intervento fu così efficace che il cardinale fu considerato quasi un secondo fondatore degli Scalabriniani.

Morì a 71 anni nella notte tra il 16 ed il 17 settembre del 1948. Nel convento scalabriniano di Crespano del Grappa (Bassano) fu trovato composto nel suo letto con accanto il Vangelo, l’Imitazione di Cristo e l’Arte di ben morire del gesuita Petazzi. Pio XII alla morte del cardinale  osservò: «Siate certi che quando la Storia potrà parlare, vedremo quello che il Cardinale Rossi ha fatto per la Chiesa».

A quarant’anni dalla sua morte, è in corso il processo di beatificazione di monsignor Rossi. Già sembra attestato il miracolo a Capannori, in diocesi di Lucca: la completa guarigione, inspiegabile clinicamente, di una religiosa tubercolotica e quasi cieca. Il processo diocesano a Lucca, si è concluso con esito positivo, grazie anche alla preziosa testimonianza del clinico fiorentino Deodori, medico curante la religiosa.

Vent’anni fa, su proposta di Mauro Del Corso, che si era occupato della biografia del cardinale pisano, insigni studiosi e rappresentanti delle istituzioni laiche tra cui il sindaco, il rettore, e il magnifico rettore si rivolsero con un appello al Santo Padre Giovanni Paolo II sollecitando la prosecuzione della causa di beatificazione.

La vita in 142 risposteSi intitola «Padre Pio sotto inchiesta. L’autobiografia segreta» il libro di Francesco Castelli, con prefazione di Vittorio Messori (edizioni Ares, 14 euro) che racconta padre Pio in ogni aspetto della sua vita. Il volume contiene un documento straordinario, quasi interamente inedito: le 142 risposte autobiografiche di Padre Pio a mons. Raffaello Carlo Rossi, inquisitore del Vaticano inviato per interrogarlo. Padre Pio racconta sé stesso e i fenomeni mistici e soprannaturali di cui è soggetto, comprese le bilocazioni. Il libro comprende anche un’accurata indagine delle stimmate e il racconto della vita quotidiana di Padre Pio a San Giovanni Rotondo.