Vita Chiesa

Iraq: card. Parolin, «chiedere e offrire perdono segno tangibile del nostro essere cristiani»

«Ci troviamo in una città, dove, dai tempi antichi, la comunità cristiana ha sempre vissuto la fede con intensità, anche in mezzo a difficoltà di ogni genere e persecuzioni. Neanche a voi è sono stati risparmiati la tribolazione, l’ingiustizia, il tradimento, e la distruzione di quanto avevate di più sacro, come questa cattedrale». Lo ha detto, stamattina, il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, nell’omelia della Messa celebrata nella cattedrale siro-cattolica di Altahera a Qaraqosh con Ignatius Joseph III Younan, patriarca dei siro-cattolici, e mons. Yohanna Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, nel corso della sua visita in Iraq per le celebrazioni natalizie (24-28 dicembre).

«La Chiesa e il mondo intero hanno assistito con incredulità e orrore ai fatti dell’estate 2014, quando da un giorno all’altro siete stati forzati a lasciare tutto e a fuggire dalle vostre case. Con grande esemplarità non avete rinnegato la vostra fede. Anche voi, come la santa famiglia di Nazareth, avete preso la strada dell’esilio per mettere al riparo la vita dei vostri figli, speranza per il futuro», ha aggiunto il porporato, che ha espresso un auspicio: «Che il dolore e la violenza sofferti non si trasformino mai in rancore e che il pesante giogo dell’odio non ricada mai sulle vostre spalle». Infatti, «il perdono è la base della riconciliazione». Secondo Parolin, «perdono e riconciliazione hanno una valenza sociale di grande rilievo. Perciò voi siete chiamati a offrire il vostro valido contributo non solo alla Chiesa ma a tutta la società essendo artefici di riconciliazione e di pace, testimoni dell’amore e del perdono, fonte di bene e benedizione per tutti».

«Chiedere e offrire perdono, iniziando dalle nostre stesse case, dalle nostre famiglie, in seno ai presbitèri e alle parrocchie, deve essere il segno tangibile del nostro essere cristiani che, insieme all’unità e alla concordia tra i membri della medesima comunità, possa diventare testimonianza viva per questo mondo travagliato dalle divisioni e dalla violenza. Ma niente di tutto ciò, carissimi, sarà possibile senza il sostegno di una fede vissuta pienamente all’insegna dell’amore», ha osservato il segretario di Stato.

«Dopo il tempo della prova, la Sacra Famiglia è rientrata a Nazareth. Anche per voi inizia il ritorno dall’esilio. Felicemente nella vostra città di Qaraqosh e in altri villaggi della Piana di Ninive si sta procedendo alla ricostruzione delle case e molti di voi avete già fatto rientro», ha ricordato, il cardinale segretario di Stato vaticano nell’omelia. «Ciò – ha aggiunto il porporato – è una fonte di gioia e di speranza per la Chiesa universale e per il vostro Paese. Tuttavia, l’impresa più ardua non è la riedificazione materiale, bensì la ricostruzione della fiducia, la ricomposizione del tessuto sociale lacerato dai tradimenti, dal rancore, dall’odio. Qui sta la vostra vocazione e la vostra missione: è in gioco la fedeltà alle vostre radici e la costruzione di un futuro migliore per i vostri figli».

Il cardinale ancora una volta ha ribadito «quanto sia importante la presenza dei cristiani in Medio Oriente«: «Siete la presenza di Gesù. Avete una missione insostituibile e importantissima. Vi esorto perciò a continuare a vivere la vostra fede e la vostra missione con fedeltà e gratitudine, con fiducia e speranza in questa Terra dove è cominciata la storia della salvezza, che oggi continua attraverso di voi». Di qui l’esortazione: «Coraggio, non abbiate paura, alzatevi con piede fermo e ricominciate la vostra vita perché il male non ha l’ultima parola sul vostro destino e sul vostro futuro in questa storica terra dei vostri padri».

Nel «tempo benedetto del Natale del Signore», ha concluso Parolin, «la potenza tenera del Bambino Gesù ci insegni a percorrere la via dell’amore e del dell’umiltà. Carissimi, auguro a tutti voi i doni dell’unità, della riconciliazione e della pace».