Vita Chiesa
Le catechesi
Plotti indica quali atteggiamenti assumere di fronte al mistero dell’Eucarestia: dobbiamo prostrarci e adorare. Piegare le ginocchia, soprattutto quelle dell’intelligenza e del cuore, nel riconoscere che senza questo Pane la nostra vita non può avere senso e sapore. Prostrarsi significa riconoscere umilmente la nostra precarietà e la nostra colpevolezza, confessare i nostri limiti e le nostre inadempienze e ammirare stupiti il grande dono che il Signore ci fa di sedere alla sua stessa mensa e mangiare il suo Corpo. Prostrarsi significa accettare la proposta di Dio di essere suoi amici e di condividere lo stesso amore e la stessa comunione che c’è tra il Padre e il Figlio. Prostrarsi significa anche rinunciare, al proprio individualismo. L’Eucarestia è il culmine e la fonte di tutta la vita cristiana: è pedagogia per uno stile di vita autenticamente povero ed evangelico. Ma non può mancare l’adorazione. Adorare – conclude Plotti – significa nutrirsi della Parola di Dio fatta Pane e restare in silenzio ad ascoltare il Maestro. Adorare è riconoscere la presenza costante e inesauribile di Cristo nella nostra vita; è accettare Gesù come compagno irrinunciabile di viaggio verso la Pasqua piena della nostra rigenerazione e della definitiva salvezza. Dobbiamo recuperare il senso vero dell’adorazione eucaristica, anche fuori della celebrazione, perché l’eucarestia sia non un episodio o un momento di ritualità, ma un mistero che segna ogni nostro gesto e ogni nostra scelta.
L’Eucaristia è un dono esigente: il dono di Dio che attende una risposta. Ogni Eucaristia è un rinnovato invito al discepolato. L’Eucaristia rivela infatti il progetto di vita, la vocazione del discepolo: Fate come ho fatto io. Da qui l’invito all’Eucarestia quotidiana quale atto di fede nell’inesauribile gratuità di Dio: sorgente modello e misura della mia gratuità e del servizio ai fratelli. Ogni vocazione è risposta ad un amore personale. La mia Eucaristia quotidiana ha concluso – è un atto di amore personale di Dio: sorgente del mio Sì’ unico, personale e irripetibile.
Nella sua riflessione dinanzi a un altro gruppo di giovani pellegrini italiani, mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, ha invece indicato la icona dei magi, le cui spoglie sono custodite nel duomo della città renana: I re magi, così come i pastori che vanno alla grotta di Betlemme, suggeriscono all’uomo del nostro tempo che, per incontrare Gesù, bisogna alzare lo sguardo da se stessi per non restare prigionieri dei propri piccoli orizzonti, delle proprie abitudini scontate, della pigrizia. Colonia, nei giorni della Gmg, è ha concluso Paglia – per voi giovani quel che fu Betlemme per i magi: occorre però assumere il loro stesso atteggiamento di adorazione dinanzi a Gesù.
Una ragazza ha poi letto una preghiera del pellegrino che ha dietro una storia commovente: Isabelle, la giovane autrice, l’aveva scritta qualche settimana fa insieme al marito per prepararsi all’appuntamento di Colonia. Tre giorni prima di partire il marito è morto brutalmente. Parlando con un sacerdote Isabelle ha detto: Spero che mio marito continui il suo pellegrinaggio al cielo e che il Signore mi dia la forza di accettarlo. La catechesi di mons. Ricard, tutta centrata sull’Eucaristia, è stata un invito ai giovani a riscoprirne il senso. Una sfida nei Paesi occidentali – ha detto – dove si vive una sorta di disaffezione nei confronti dell’Eucaristia. Tanta gente non va a messa, se ognuno pregasse per suo conto, la domenica non ci sarebbero nel mondo i segni della convocazione del Signore, che oggi ha bisogno di riunire il suo popolo tramite l’Eucaristia”. Dopo la catechesi i giovani hanno rivolto alcune domande all’arcivescovo, quindi hanno partecipato alla celebrazione eucaristica.
Elementi costitutivi dell’essere Chiesa ha sottolineato mons. Martin – sono l’Eucaristia e i sacramenti. Le nostre comunità ha poi aggiunto – sono formate anche da persone scettiche o che sono alla ricerca. La sfida è dare loro la certezza che ogni giorno camminiamo verso Cristo. L’arcivescovo ha concluso la catechesi con un invito ai giovani alla preghiera: Pregare non è una fuga dal mondo ma il momento in cui riconosciamo Cristo come realtà fondante e priorità della nostra vita. Pregare è importante e dà significato alla nostra vita.
Retté, invece, era addirittura uno scrittore libertino e licenzioso, che viveva una tormentata relazione con un’amante. Ma a un certo punto lo scrittore deve confessare di non poter pensare che a Dio. Filosofa e letterato hanno visto persone pregare davanti al Santissimo e si sono chiesti il perché. E’ commovente constatare ha detto Comastri che ogni itinerario di ritorno a Dio approda alla Santa Eucaristia e qui trova il compimento e l’appagamento.
Il pastore ne ha fatto seguire cinque specificazioni del verbo adorare. Adorare significa uscire da sé, abbandonare le proprie sicurezze e inoltrarsi in una storia che non può contare solo su se stessa e su una sua logica’ interna e autonoma, ha detto Coletti. Poi significa incontrare la santa umanità di Gesù Cristo, nella quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. E ancora, fissare lo sguardo sul Crocifisso glorioso. Adorare esige una conoscenza sempre più profonda e vitale del dono di Dio che diventa in noi fonte zampillante di acqua per la vita eterna e produce in noi la libera e consapevole scelta di mettere a disposizione del Signore quanto di più prezioso e significativo abbiamo con noi, lasciandoci cambiare la vita da questa relazione sconvolgente. Cinque le figure proposte per ciascuna di queste dimensioni: Mosé davanti al roveto ardente, san Paolo, la folla al Calvario, la Samaritana e, infine, ancora loro: i Magi.
Terza e quarta via sono l’adempimento dei propri doveri e amare il proprio tempo come tempo propizio. Sì, è l’umile e spesso nascosta realtà di ogni giorno la vera evidenza della fede, luogo privilegiato di testimonianza. E’ nel tessere continuamente rapporti veri, è nell’onestà nella dedizione, nell’accoglienza, e nella ricerca della giustizia, che prende forma la testimonianza. Infine, la quinta via: partecipare in prima persona a creare una cultura di pace. Pace con noi stessi, ha enumerato, Castellani, nella comunità, nella storia e fra gli uomini, con il creato e con Dio. L’arcivescovo ha anche raccontato un’esperienza personale: immobilizzato a lungo per un incidente, si rese conto in quel’occasione che Dio mi passò accanto e mi fece rileggere la mia vita, imparai a discernere ciò che è essenziale, nella vita quaotidiana, da ciò che non lo è.