Vita Chiesa

Missionari. Il racconto di Giuliana: «La mia vita in Sudafrica»

di Sara D’Oriano

Sguardo pacato, abiti semplici, Giuliana Masini (nella foto con i bambini) mi accoglie sorridente nella sede della Comunità di Gesù in via dei Pucci, a Firenze, dove è tornata, come fa ogni anno, per assistere per un periodo gli anziani genitori. Solo un breve stacco da una vita che invece si svolge quotidianamente nella piccola comunità di Oukasie, in Sudafrica.

Giuliana è una laica consacrata che ha realizzato la sua vocazione in una Comunità missionaria ed è stata inviata in missione, lontano dal suo Paese come fidei donum dalla Diocesi di Firenze. «Tutto è iniziato nel 1986, avevo 33 anni, lavoravo e facevo parte della Comunità di Gesù. All’epoca, in comunità entrammo in contatto con i padri Stimmatini, che ci chiesero la disponibilità ad aiutarli nella missione di evangelizzazione in Sudafrica, Paese a prevalente presenza protestante, secondo la fede dei boeri olandesi che per primi colonizzarono quelle terre. Decisi di rendermi disponibile, nonostante la nostra comunità potesse contare su pochi fratelli e sorelle». Le chiedo se non le è pesata questa decisione, così come il distacco, se ha mai avuto momenti di ripensamento, e mi colpisce per la sua serenità: «Dio è più grande di noi, non possiamo conoscere le sue scelte, finché non lasciamo che queste si realizzino in noi. A noi sta soltanto affidare tutto a Lui. Così decisi di rispondere di sì a quella chiamata, dato anche il mio particolare desiderio di condividere la mia vita con i più poveri. E sono partita».

Nel 1986 in Sudafrica esiste ancora l’Apartheid. Sono anni difficili, ma già sono visibili i segni del cambiamento: «Il sistema di apartheid stava lentamente sgretolandosi, anche se la legge proibiva ancora ai bianchi di risiedere con i neri, in tutto il Paese e quindi anche nei luoghi di missione. Poi la liberazione di Nelson Mandela, nel 1990 e la paura che il passaggio potesse avvenire in maniera violenta. Sono stati gli anni più duri ma per fortuna il dialogo instauratosi tra tutte le componenti politiche del Paese ha permesso di scongiurare ogni peggiore previsione».

Oggi, il Sudafrica dove Giuliana lavora è in grande fermento: nei giovani è forte la voglia di affrancarsi dall’oppressione in cui hanno vissuto fino a pochi anni fa, e il governo è impegnato a rilanciare l’immagine del Paese in tutto il mondo: «Si dice che il Sudafrica sia the world in one country, cioè il mondo in un Paese, per la sua grande pluralità di popoli, religioni e culture, tutte concentrate in un unico stato. Questa estrema varietà spinge necessariamente all’apertura verso la diversità, alla ricerca del dialogo; questo è il punto di forza del Sudafrica, e io vivo la mia missione come un dono che mi ha aperto sempre più all’accoglienza dell’altro».

Giuliana svolge la sua missione su due fronti: l’evangelizzazione e la promozione umana. A Oukasie sono 200 le famiglie cattoliche presenti. Per loro e anche per le altre parrocchie del vicariato Giuliana, con la sorella laica sudafricana Maetsane, assicura la formazione dei catechisti e dei ministri laici. Inoltre è attiva nella pastorale familiare, realizzando incontri con coppie di sposi (e la richiesta in questo campo sta aumentando progressivamente). «In Sudafrica, diversamente dall’Occidente, lo spirito religioso è molto sentito, si crede in Dio ma deve aumentare la conoscenza di Gesù e quindi l’approfondimento della fede. Le richieste di battesimi sono numerose ma la presenza di numerosissime confessioni cristiane e anche di altre fedi, porta a un relativisimo religioso che fa “di tutta l’erba un fascio”. Da qui la ragione del nostro impegno apostolico».

Sul fronte della promozione umana Giuliana, sostenuta dagli aiuti della Comunità e dai tanti amici della Chiesa fiorentina, si dedica soprattutto all’educazione dei giovani e lo strumento dell’adozione a distanza le permette di garantire il proseguimento scolastico per 200 bambini e ragazzi, di ogni età, che segue regolarmente. Inoltre assiste 40 famiglie con il sostegno alimentare e si occupa, anche se in maniera ridotta rispetto al passato, visto il positivo intervento del governo a proposito, della mensa per i bambini bisognosi di alcune scuole elementari dislocate nelle vicinanze della sua casa.

Ultimamente molte forze sono state orientate al sostegno di un orfanotrofio di bambini rimasti soli a causa della tragedia dell’Aids. Il suo sogno nel cassetto? Poter aprire un orfanotrofio per i bambini rimasti soli, e un centro per malati terminali di Aids, una piaga che in Sudafrica è ancora molto diffusa e decima intere famiglie: «Fa male vedere la solitudine in cui vengono abbandonati i malati terminali. Vorrei poter offrire loro l’amore e la cura necessarie per una morte serena e dignitosa. È un progetto molto grande ma speriamo di realizzarlo in collaborazione con gli altri istituti religiosi maschili e femminili del luogo».

Alla domanda se pensa di rientrare un giorno in Italia, risponde: «Chi può saperlo. non dipende solo da me. Ad ogni modo mi sembra che il terreno della missione oggi sia, con crescente necessità, proprio nelle nostre case. Ogni volta che torno in Italia, percepisco nelle persone che incontro, camminando per strada, accendendo la tv, un profondo disagio, mancanza di speranza e fiducia nel futuro. Si finisce per chiudersi in se stessi in un esasperante individualismo. Spero che la luce del Vangelo che abbiamo desiderato portare ad altri popoli possa nuovamente illuminare percorsi di comunione e solidarietà anche nel nostro vecchio continente».