Vita Chiesa

Missionarie uccise in Burundi: mons. Solmi (Parma), «La luce non si è spenta»

«Non voglio spargere le parole di chi, sia pur colpito e sgomento, non ha mai affrontato i rischi che sono di casa in missione, di chi forse testimonia con debolezza la fede e tiene nascosta la sua luce che gratuitamente ha ricevuto – ha aggiunto il presule -. Vogliamo guardare a quanto è successo e alla strada percorsa da queste sorelle con la luce del Risorto, che certamente non si è spenta domenica pomeriggio nella loro casa per Olga e Lucia, e poi ha illuminato la notte buia di Bernardetta. Luce che le ha rivestite – passata la frontiera della morte – per entrare in paradiso». Riflettendo sul passo del Vangelo in cui Gesù dice ai discepoli di chiamarli «amici», il vescovo ha sottolineato: «Essere amici è condivisione di segreti profondi, come l’intimità del Cristo con il Padre, intimità fatta conoscere a chi il Signore ha scelto».

La via della croce non è risparmiata al Figlio di Dio e a chi lo segue. Monsignor Solmi ha ricordato le parole di Olga, che pregava il Signore di indicarle la strada «Mi vennero chiare queste parole: Olga credi di essere tu a salvare l’Africa? L’Africa è mia. Però nonostante tutto sono contento che tu parti: va e dona la vita». «L’amico, o meglio, colei che è stata chiamata amica – ha precisato il presule – si è immedesimata nella scelta del Signore e anche lei ha dato la vita come aveva capito in quella preghiera intima, cuore a cuore con il suo sposo». Ma «l’amicizia svela la via buona, l’amico non lo si lascia vagare da solo su strade incerte». Ricordando le parole di Lucia: «Adesso sto tornando in Burundi alla mia età e con un fisico, debole e limitato», il vescovo ha evidenziato che «la via ripresa per il Burundi è per Lucia la via dell’amore che si affina nell’esistenza, anche nella forzata rinuncia di una vita operosa, spesa nel servizio giorno e notte». Perciò, «Lucia ci aiuta anche a capire che l’amore è fedele; se donato, cresce, solo così lievita e fa crescere, proprio perché s’incarna nella vita, nella salute debole, frustata e messa a repentaglio da anni di lavoro e sacrifici, di un dono che si purifica nell’impotenza, come Gesù in croce che compie l’atto estremo della nostra salvezza, inerme e senza poter fare nulla».

Proprio qui, per monsignor Solmi, «matura una comprensione vera, che va oltre le apparenze, e sa cogliere l’essenziale e il bene, con le sfumature di chi unisce al cuore di sorella, di mamma e – direi – di nonna nella fede, la luce del Signore. Si vede quello che non è immediato e il cuore si lascia portare come un polline salutare, dal vento dello Spirito». Anche le parole di Bernardetta sono significative, come ha ricordato il presule: «Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia». «Cos’è successo quel giorno e quella notte, non lo sappiamo nei dettagli – ha commentato il vescovo -; possiamo unire le mani nella preghiera e mettere tutto in Dio, che era lì sul calvario del loro martirio, con loro». «Siamo certi – ha concluso – che le persecuzioni, l’angoscia… la spada non hanno prevalso perché in tutte queste cose ‘siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati’, e nulla ha potuto separarle dall’amore di Dio, perché ‘nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’».