Vita Chiesa

Missione, presentato nuovo Vademecum. Mons. Pompili: rigenerare nuovi linguaggi

Don Gianni Cesena, direttore di Missio, ha definito il nuovo volume una sorta di «carta d’identità» dei Centri missionari diocesani, uno «strumento operativo» pratico e d’immediata fruibilità nato dall’approvazione, da parte della presidenza della Cei, dello Schema di regolamento per i Centri missionari diocesani, 43 anni dopo l’approvazione del loro primo Statuto, nel dicembre del 1969.

Il vademecum, ha spiegato don Alberto Brignoli, uno dei curatori, «è frutto di un lavoro di équipe, di rete, di relazioni, di collegialità, di fraternità, che non intende essere esaustivo e non ha pretese di essere vincolante».

Nella «missio ad gentes», la tesi di Maria Chiara Pallanti, vicedirettore del Centro missionario diocesano di Firenze, «i tempi sono maturi per un balzo in avanti, un colpo d’ala» capace di passare dalla pastorale delle «lamentazioni» alla capacità di «lavorare in ogni diocesi per un progetto missionario integrato nel progetto pastorale diocesano, per far prendere coscienza che la Chiesa è tutta missionaria».

Intervenendo alla presentazione del Vademecum, mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, ha commentato la scelta del Papa di sbarcare su Twitter. Una scelta, ha detto che «non è da intendersi come un cedimento alla cultura dominante ma piuttosto come la scelta di entrare nello spazio digitale che costituisce una soglia di contatti e una porta per l’evangelizzazione, riducendo le distanze e incomprensioni che tengono a debita distanza generazioni cresciute ormai lontane dai normali percorsi ecclesiali».

«Non si dà contrapposizione tra nuova evangelizzazione e missione ad gentes, ma neanche identificazione», ha esordito mons. Pompili sulla scorta delle parole pronunciate dal Papa nella Messa che ha concluso il recente Sinodo: «Le due realtà sono distinte anche se non distanti, perché hanno a cuore entrambe di trasformare dal di dentro, di rendere nuova l’umanità stessa», attraverso «uomini nuovi». Il vademecum, in particolare, «si muove nella direzione di offrire indicazioni pratiche per esercitare quest’opera di rigenerazione», che «richiede un cambiamento dell’io che non è solo interno e personale, ma arriva a contagiare anche il noi esterno e sociale».

Il ruolo del Centro missionario diocesano, ha spiegato mons. Pompili, è di tenere acceso «il fuoco della missione in contesti di antica tradizione cristiana», attraverso un’opera di «animazione, formazione, cooperazione». «Se cresce l’estraneità della gente rispetto alla lingua della Chiesa, occorre trarne le debite conseguenze», ha detto mons. Pompili, secondo il quale «il rischio è quello di ridursi a una ‘setta’, incapace di valicare i confini dei propri affiliati, chiusi entro un recinto di parole e di categorie comprensibili solo dall’interno», producendo così «una comunicazione incapace di mordere la realtà, di toccare le questioni vitali». La «missio ad gentes», con «la sua capacità d’incarnazione», può diventare invece «un processo in grado di rigenerare il linguaggio». Altro suo compito è «stare dentro gli spazi di vita», che significa «intercettare l’esperienza del limite umano dentro i contesti dell’economia, della politica, della giustizia, dell’educazione, della produzione», ma anche dei social network. «Le civiltà occidentali che hanno inventato i nuovi linguaggi digitali sono anche quelle radicate nella Bibbia», ha concluso mons. Pompili: «Non c’è alcuna opposizione tra i caratteri visivi, uditivi, emotivi e sensitivi dei nuovi linguaggi e la Scrittura: anzi i primi aiutano a far emergere in modo nuovo e capace di parlare, il messaggio di Dio nella Bibbia».