Vita Chiesa

Missioni, gli «inviati» toscani nel mondo

Dal 1957, anno di pubblicazione della «Fidei donum», le diocesi della Toscana hanno inviato nel mondo un gran numero di preti e laici partiti, secondo lo spirito dell’enciclica di Pio XII, all’interno di progetti di scambio e cooperazione tra «Chiese sorelle». Un vero e proprio fiume di evangelizzazione, carità e promozione umana, che oggi non si è esaurito ma continua a scorrere copiosamente.La diocesi di Firenze ha, attualmente, 7 sacerdoti in missione: don Sergio Merlini e don Luca Carnasciali a Bamenda, in Camerun, don Giovanni Paccosi a Carabayllo in Perù, don Antonio De Togni a Esmeraldas in Ecuador, don Angelo Stefanini a Fortaleza in Brasile, don Leonardo Mazzei in Perù, don Tiziano Scaccabarozzi a Porto National in Brasile. Tra i laici ci sono Giuliana Masini, da oltre vent’anni a Pretoria in Sudafrica, e Luigina Vetere a Salvador Bahia in Brasile oltre a due intere famiglie: Roberto e Gabriella Ugolini, insieme alla figlia Costanza, in Turchia e Umberto e Salvatrice Virgadaula, insieme ai loro figli, a Iasi, in Romania. Altri due missionari «fidei donum» ricevono il mandato questo venerdì, e partiranno nelle prossime settimane per Salvador Bahia: sono don Luca Niccheri e Annamaria Boscaini, consacrata laica.

La Diocesi di Fiesole ha una missione «storica» nel Maranao (nord-est del Brasile) aperta oltre trent’anni fa da don Sergio Ielmetti, affiancato poi nel 1996 da don Franco Manetti e nel 2003 da don Gabriele Marchesi.

La Chiesa di Lucca ha grande ricchezza di esperienze missionarie. Il legame più antico è con la diocesi di Rio Branco, in Brasile, dove attualmente sono presenti come «fidei donum» don Luigi Pieretti, don Massimo Lombardi, Padre Gabriele Camagni, don Luigi Paolinelli, oltre ai laici Luca Bianucci e Mauro Ciaramaglia. In Rwanda opera invece, da oltre 25 anni, la missionaria laica Carla FredianiMaurizio Caneva, in Burkina Faso Claudio Arturo Graziani e Barbara Malfatti. In novembre partirà anche, sempre per il Burkina, Daniele Alberigi.

Da Prato sono partiti per la missione don Luca e don Giovanni Finocchi (due fratelli): attualmente sono in Ecuador, nella diocesi di Montalvo, da un anno e mezzo, dopo aver trascorso molti anni nella missione diocesana di Atacames sempre in Ecuador. Insieme a loro ci sono Marina Blotto e Maura Sabbatini, missionarie laiche, che li hanno raggiunti a Atacames nel 1999 e adesso li hanno seguiti a Montalvo. Don Bruno Strazzieri invece è a Quininde, in Ecuador, da oltre vent’anni

Don Francesco Guarguaglini, prete della diocesi di Massa Marittima Piombino, è a Ndjamena (Ciad) dal 1998. È a Maputo (Mozambico) dal 1998 invece don Gianluca Emidi, «inviato» dalla diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, che entro Natale concluderà la sua esperienza missionaria e rientrerà in Italia. A Maputo ha trascorso molti anni anche Enrico Ceccarelli: era partito da Piombino con la moglie Desi Giannoni e la figlia Giulia. È rientrato in Italia dopo aver scoperto di essere ammalato di tumore, ed è morto tre anni fa.

Per la diocesi di Pisa, don Rino Peressini è dal 1975 in Venezuela, nella parrocchia di San Giuseppe a Rio Acariqua. Da Livorno è partito don Luciano Zucchetti, in Kenya dal 2001. La Chiesa livornese ha anche un legame molto stretto con la diocesi di Dodoma, in Tanzania, dove in passato c’è stata una nutrita presenza di laici del Centro Mondialità e Sviluppo Reciproco: tra questi Paolo Siani, attualmente rientrato a Livorno dopo aver trascorso a Dodoma 18 anni come fidei donum.

La diocesi di Siena-Colle val d’Elsa-Montalcino ha da molti anni una presenza missionaria nella diocesi di Balsas, in Brasile, dove attualmente operano don Gianfranco Poddighe e don Ugo Montagner. Per la diocesi di Pistoia il legame più antico è con la diocesi di Manaus, in Brasile dove attualmente opera don Enzo Benesperi. In Brasile sono presenti anche don Umberto Guidotti e la missionaria laica Nadia Vettori, entrambi nella diocesi di Balsas. Mons. Romualdo De Poli è a Santo Domingo de los Colorados (Ucuador) e don Marcello Tronchin a Esmeraldas, sempre in Ecuador.

La diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha, come «fidei donum», don Enrico Arrigoni a Rio de Janeiro, in Brasile. La diocesi di Massa Carrara Pontremoli non ha, attualmente, missionari «fidei donum» ma è doveroso ricordare l’esperienza di don Adriano Filippi morto pochi anno fa, ancora giovane, proprio in missione, in Centrafrica dove era parroco di Wantiguera.

La diocesi di San Miniato ha avuto, in passato, don Angelo Baroni che si era unito alla missione dei padri Orionini in Costa d’Avorio. A Grosseto è rietrato da qualche mese, per malattia, don Claudio Piccinini che per molti anni è stato in Bolivia. Anche la diocesi di Volterra non ha attualmente preti «fidei donum»: in passato ha fatto un’esperienza missionaria di 5 anni, a Salvador Bahia, don Luigi Campinoti che mantiene ancora contatti con il Brasile.

Cinquant’anni di scambi e cooperazione tra Chiese sorelle

Cinquant’anni di scambi tra Chiese sorelle, cinquant’anni di esperienze missionarie che hanno coinvolto non solo singoli preti o laici, ma intere diocesi, facendo crescere lo spirito missionario che abbraccia l’intera comunità cristiana.

A cinquant’anni dalla promulgazione della «Fidei Donum», l’enciclica di Pio XII che di fatto istituiva la figura del missionario «diocesano», i Vescovi italiani hanno pubblicato una Nota firmata dalla Commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese – dal titolo: «Dalle feconde memorie alle coraggiose prospettive» (testo integrale). I Vescovi esprimono innanzitutto «vicinanza e gratitudine a tutti i missionari fidei donum che hanno operato e a quelli che operano nei vari Paesi del mondo». «La parte più nota e certamente più innovativa dell’enciclica – si legge nel documento diffuso dalla Cei – è quella nella quale Pio XII incentiva la “forma di aiuto scambievole”, secondo cui i vescovi “autorizzano qualcuno dei loro sacerdoti, sia pure a prezzo di sacrifici, a partire per mettersi, per un certo limite di tempo, a disposizione degli Ordinari d’Africa”». Senza dimenticare quelli che il Papa definisce «militanti laici», chiamati ad affiancare i sacerdoti nelle terre di missione. È stata la Fidei donum, inoltre, ad introdurre il criterio della «diocesanità», attivando «una prassi di scambio tra le Chiese che va a beneficio non solo delle Chiese che accolgono ma anche di quelle che inviano i sacerdoti».

«Il presbitero fidei donum – si legge nel documento della Cei – non parte con un progetto proprio, ma per assumere le scelte pastorali della Chiesa che lo accoglie; è testimone della comune passione apostolica, come della solidarietà della Chiesa che lo invia; è attento osservatore di quello che lo Spirito dice alla Chiesa che lo ospita; torna ai luoghi di origine per testimoniare quello che il Signore opera presso altri popoli». La lettera si conclude anche con un’esortazione: rispetto all’enciclica di Pio XII, che individuava nell’Africa il continente più bisognoso di attenzione, i Vescovi italiani sollecitano oggi «un’attenzione maggiore all’Asia, dove i cristiani costituiscono tuttora una minoranza esigua ma dinamica».

Ma cosa è cambiato, in questi cinquant’anni, nell’esperienza missionaria? «Lo scenario è sicuramente diverso da quello del 1957» sottolinea don Luca Albizzi, presidente della Commissione per le missioni e la cooperazione tra le Chiese della Diocesi di Fiesole. Tuttavia, afferma, quella dei «fidei donum» è un’esperienza ancora valida, anzi più che mai necessaria. «L’enciclica – spiega don Albizzi – nasceva da una grande intuizione: l’aver capito l’importanza che un intervento delle Chiese europee poteva avere nell’accompagnare la crescita e la maturazione delle Chiese emergenti come quelle dell’Africa o dell’America Latina, e allo stesso tempo il fatto che questi legami avrebbero fatto crescere e maturare anche le nostre comunità. Un’intuizione che ha avuto consueguenze profonde: ai primi preti, partiti numerosi e pieni di entusiasmo, si sono uniti via via anche molti laici. Sono nati legami di fratellanza moto belli che attraversano i mari e gli oceani». Oggi però i tempi sono cambiati, oggi sono le nostre Chiese ad aver carenza di sacerdoti, e le Chiese di altri continenti a mandare in Italia i loro preti. Come va «interpretata» quindi, oggi, la Fidei donum? «Intanto bisogna dire che lo scambio tra Chiese sorelle è sempre una ricchezza, anche visto alla luce della scarsità di vocazioni nei nostri seminari: il problema vocazionale è serio e va affrontato, ma non può essere motivo per rinunciare alla missione e alla cooperazione internazionale. L’esperienza di questi anni ci insegna che se doni un prete a una Chiesa sorella, ne ricevi in cambio moltissimi doni: si accende un respiro missionario che porta tanti frutti, e che alla fine può esere utile anche in chiave vocazionale».

«L’amore è circolare – prosegue don Luca – e tutto ciò che si dona poi ci ritorna moltiplicato: se invece una Chiesa si chiude, finisce per inaridirsi. E lo scambio di persone, di esperienze umane, sia preti che laici, vale molto più che l’invio di beni materiali. Ho visto tante persone cambiate da esperienze missionarie: la frase tipica che tutti dicono, “se non vedi di persona certe realtà non ti rendi conto”, è verissima. Si creano legami umani di solidarietà molto belli, ma anche dal punto di vista della fede vedere l’entusiasmo di Chiese giovani, vedere la gioia di chi ha appena scoperto la bellezza del Vangelo, è uno stimolo straordinario».