Vita Chiesa

Mons. Pompili: La Chiesa non può limitarsi a gestire la comunicazione

La seconda eredità del decreto conciliare, ha proseguito mons. Pompili, è «la percezione di un cambio d’epoca e non solo di un’epoca di cambiamenti, direbbe Papa Francesco». La terza, «la sfida di un linguaggio che dovrebbe giungere a tutti, ma con la capacità di penetrare dentro la coscienza di ciascuno». «Non alla massa impersonale degli individui anonimi ed equivalenti, ma ad ogni singolo membro della famiglia umana, facendo appello proprio alla sua irripetibile unicità», come scrive Paolo VI nella Evangelii nuntiandi.

 «La Chiesa non può limitarsi a gestire la comunicazione, perché finisce per essere confusa come una delle tante agenzie presenti e vocianti nell’agorà pubblica, perdendo quella differenza che la preserva dall’assuefazione alla chiacchiera». Questo l’ammonimento lanciato da monsignor Domenico Pompili, che aprendo l’incontro dei direttori Ucs ha definito la nostra come una stagione comunicativa dominata dalla «oralità secondaria»: «Per un verso siamo tornati a scrivere su smartphone e tablet, per un altro verso questa comunicazione è quasi parlata e segnata da una ricerca di interlocuzione che cerca relazioni prima che contenuti, e che utilizza forme colloquiali, gergali, contratte molto più vicine alla lingua parlata che a quella scritta».

Come sottolinea anche l’ultimo Rapporto Censis-Ucsi, «le tecnologie digitali si stanno fondendo con la nostra dimensione corporea e mentale». I media, in altre parole, non sono più «media», cioè «qualcosa che sta in mezzo: gli strumenti digitali ‘sono’ la cosa che si forma dalla fusione di noi stessi con i dispositivi telematici». Di fronte a quella che è «una vera e propria evoluzione della specie», occorre prendere coscienza della «rinnovata centralità della relazione», e della necessità di adottare un linguaggio «più discorsivo e relazionale».

 «In questa stagione segnata dall’evoluzione digitale della specie e da un magistero che rilancia la priorità della relazione sui contenuti, c’è spazio e motivazione per ripensare il lavoro dell’ufficio per le comunicazioni sociali?», si è chiesto monsignor Domenico Pompili, secondo il quale nell’era dei social media bisogna operare per «la costruzione di una opinione pubblica che faccia crescere il protagonismo, in primo luogo dei laici, e si allontani da certa modalità informativa che, con eccessiva disinvoltura assume i toni del gossip e della polemica, o l‘intransigenza rigida dell’ideologia». Con Papa Francesco, ha osservato il relatore, «la comunicazione è diretta e sembra saltare la mediazione degli esperti per giungere senza filtri alla gente. Sembrerebbe la fine della lavoro giornalistico e invece è forse la spia di un modo nuovo di lavorare, ispirato ad un modello più relazionale». Di qui la necessitò, per i media, di adottare il «paradigma relazionale», che «è incentrato sulla dignità della persona, dignità che la rende soggetto del diritto all’informazione e alla verità». Un «modello», questo, che «parte da una concezione del giornalismo inteso come servizio di pubblico interesse, finalizzato a stimolare l’agire libero dei cittadini». (segue)

In questa prospettiva, «l’attività di comunicazione delle istituzioni, Chiesa compresa, è utile a fornire criteri di interpretazione e orientamento, per favorire le scelte delle persone». Chi invece, ha ammonito mons. Pompili, «ha una concezione del giornalismo come potere», i media sono uno «strumento per diffondere messaggi che promuovono interessi particolari, indipendentemente dal loro valore informativo»: è l’atteggiamento che «contraddistingue i modelli di tipo unidirezionale e utilitaristico». Il «modello relazionale», invece, «è bidirezionale, dialogico o personalista, dà priorità alla relazione rispetto al risultato». «Non ci interessa colpire i media, ma capire i giornalisti ed essere capiti dai giornalisti», ha sintetizzato mons. Pompili, secondo il quale quello relazionale è «un modello equilibrato il cui principale obiettivo è quello di informare rigorosamente piuttosto che apparire». Ai comunicatori cattolici, «ciò che veramente interessa è che ogni apparizione sui media serva ad aumentare la comprensione reciproca: non c’è nel modello bidirezionale l’ansia di comparire ad ogni costo. Ogni intervento è soppesato per il suo valore e la sua efficacia nel contesto di una relazione a lungo termine».

«Nello spazio pubblico la comunicazione ecclesiale deve essere a servizio della gente e così renderà un contributo anche alla società nel suo insieme», ha detto ancora monsignor Domenico Pompili, che al termine del suo intervento ha assegnato ai direttori Ucs il compito di «alimentare e formare l’opinione pubblica». «Predominio del pensare sull’azione; priorità della relazione sul risultato; lavoro strutturale e a lunga scadenza». Queste le tre indicazioni ai comunicatori cattolici, esortati a guardarsi dal «protagonismo» e a «creare percorsi, più che occupare spazi». «Non è tanto importante quanto si ottiene dai media, quanto quello che si è offerto», ha detto monsignor Pompili, che ha invitato i direttori degli Ucs a «creare rapporti stabili tra tutti gli operatori della comunicazione» del loro territorio e a «coltivare lo sforzo di un pensiero che per non essere formattato deve concedersi spazi di riflessione», in modo da «evitare il pret-a-porter, tanto seducente quanto inefficace».

 «Il segreto di Papa Francesco non sta nell’assunzione di strategie comunicative particolari, ma nella eloquenza della sua testimonianza personale, che è una risorsa ormai spendibile anche in termini di Auditel». Ne è convinto monsignor Domenico Pompili, che concludendo il suo intervento ai direttori Ucs ha fatto notare che Papa Francesco «non si lascia intimorire dalle grandi distanze, e ci ha consegnato un compito fondamentale rispetto allo spazio: uscire, andare verso le periferie, verso chi è nella sofferenza, verso i lontani; e avvicinare, ridurre le distanze, abbracciare». Altra dimensione rivoluzionata dal Papa, quella del tempo: «con le sue catechesi quotidiana a Santa Marta e l‘Angelus domenicale – ha detto monsignor Pompili – Papa Francesco «ci restituisce un ritmo comune che accompagna, scandisce e risacralizza il tempo ordinario così come l‘evento straordinario». Per Papa Francesco, in una parola, «comunicare è condividere», anche valorizzando la dimensione digitale, che «non esclude ma anzi potenzia l‘incontro», come dimostra il successo dei «tweet» di Papa Francesco.