Vita Chiesa

Monsignor Capovilla racconta Giovanni XXIII e il Concilio

di Umberto Palagi

L’arcivescovo Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, è stato uno dei testimoni presenti a questa sorprendente assise lucchese sullo Spirito Santo. Novant’anni, ma portati con «l’entusiasmo del fanciullo!», come lui ha ironizzato di se stesso. Con tanta freschezza ha testimoniato di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II, indicandolo come «itinerarium lucis» anche per il nostro tempo. Il Concilio «non è semplicemente un documento solenne del magistero e nemmeno una pagina di storia. È un dono di misericordia e di consolazione da scoprire con tutti i nostri simili». Nel panorama del Concilio, Capovilla ha letto la vita dei quattro pontefici che hanno segnato la fine del Novecento, ed ha parlato del nuovo pontificato ancora fortemente impegnato sul fronte conciliare. «Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni Battista Montini, Albino Lucani, Karol Wojtyla, quattro anelli dell’unica catena apostolica, custodi del depositum fidei, interpreti dei ventuno concili celebrati dal 325 al 1962-1965, guardano ora dai cieli altissimi, proteggono e incoraggiano Benedetto XVI». Al termine della conferenza abbiamo incontrato monsignor Capovilla. Eccellenza, il beato Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, in San Paolo Fuori le Mura, sorprese tutti con l’annuncio del Concilio. Pochi mesi dopo, il 26 aprile 1959, inscrive nel novero dei Beati la lucchese Suor Elena Guerra. Quali legami si possono vedere in questi eventi? «Rapporto tra la Beata Elena Guerra e il Concilio non c’è, almeno direttamente, nei discorsi e nelle parole di Papa Giovanni. Tuttavia, nei discorsi che fece alla gente di Lucca, venuta a Roma per la beatificazione, il Papa esalta veramente questa grandissima donna. Dice: una donna che ci fa vedere come Dio sceglie strumenti che a noi paiono semplici, per operare cose grandi. Lui vide la Beata come una ispiratrice di una devozione, che non è mai mancata nella chiesa, l’adorazione della Santissima Trinità, in particolare allo Spirito Santo, attraverso la Messa, ma anche le espressioni più semplici della preghiera, come le litanie. Tra il Papa e la Beata ci vedo un rapporto di affetto. Dopo aver annunciato il Concilio, tutto quello che appariva nel firmamento della Chiesa, serviva anche a Lui come ispirazione, per incrementare la sua fiducia, la sua speranza, la sua attività, il suo richiamo a tutte le genti a seguire l’ispirazioni che vengono dall’alto». Cosa ha significato, per Lei, stare vicino a Papa Giovanni? «Una grande lezione ed una specie, direi, di grande rimorso, per non essere stato capace, come lui mi aveva insegnato, a mettere il mio io sotto le scarpe, o sotto i piedi, come si dice. Perché, lui mi diceva: “finché tu non ti sarai liberato da ogni preoccupazione, nel voler far bella figura o di riuscire, o di non accettare che un tuo progetto non sia andato a buon fine, tu non sarai mai un uomo libero. Perciò sarà inceppato il tuo ministero”». Noi siamo la Chiesa, noi siamo il Concilio, come vivere questa dimensione? «Da sempre abbiamo saputo che attraverso il battesimo siamo partecipi del sacerdozio di Cristo, della sua potestà regale e profetica, i presbiteri in modo del tutto particolare per la consacrazione sacerdotale e l’unzione ricevuta, ma ogni singolo fedele è chiamato a questo: partecipiamo ad un solo corpo, che è il corpo di Cristo, siamo partecipi degli stessi sacramenti, coltiviamo le stesse devozioni, e specialmente se parliamo per noi in Italia, abbiamo questo benedetto Paese costellato di Santuari a non finire, alla Vergine e ai Santi, che ci richiamano continuamente alle vie celesti». È giusto pensare al Concilio Vaticano III, come alcuni teologi richiedono? «Se Giovanni Paolo II, che era un uomo di grande scienza teologica, filosofica ed era anche un grande artista, in 26 anni di pontificato, dopo averne parlato quasi ogni giorno, dice che bisogna insistere nell’applicazione del Concilio Vaticano II, perché non ancora tutto quello che è implicito non è stato esplicitato, significa allora che chi vuole un Vaticano III è quantomeno imprudente. Giovanni Paolo II ha indicato il Concilio quale bussola con cui orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio. Lo stesso Benedetto XVI ha parlato di applicazione. Nella prima allocuzione ha dichiarato questa ferma volontà. “Nell’accingermi al servizio – ha detto – che è proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori”. Guardi, un grande filosofo e teologo, Yves Gongar, disse: i Concili hanno bisogno di almeno 50 anni per cominciare, sottolineo per cominciare, ad essere compresi, ne sono passati solo 40!». Quindi, il Concilio si rivela attuale e capace di parlare al cuore del credente? «Se uno ragionasse profondamente, meditasse, cercasse di rispondere ad alcune domande, come “chi sono io?” alla luce della Lumen Gentium, direbbe io sono il cristiano che è dentro nella Lumen Gentium. Se uno domandasse che lingua parli? Lasciamo stare italiano, inglese o francese, risponderebbe Dei Verbum, la Parola di Dio. Come preghi? Sacrosantum Concilium, la costituzione sulla liturgia. Cosa te ne pare delle cose che accadono nel mondo? Come le vivi, come le giudichi? Con gioia e speranza. Gaudium et Spes. Le quattro Costituzioni sarebbero già quattro pilastri per costruire la casa della nostra coscienza».