Vita Chiesa

Nel cuore delle città il self service del silenzio

di Andrea FagioliLa Badia è il più imponente degli antichi complessi monastici di Firenze. Per vocazione è un’oasi di preghiera nel centro storico della città (dentro dalla cerchia antica, come ebbe a dire Dante nel quindicesimo canto del Paradiso). Le campane della chiesa intitolata a Santa Maria Assunta e Santo Stefano Protomartire, chiamando i monaci a pregare nelle ore canoniche, segnavano il fluire del tempo nella Fiorenza medievale e hanno ripreso a segnarlo da quando il monastero, cinque anni fa, è tornato ad essere abitato da monaci e da monache delle Fraternità monastiche di Gerusalemme. Il loro è un monachesimo aperto alla città e la città è il loro chiostro. Da qui le caratteristiche tipiche dei fratelli e delle sorelle che normalmente hanno un lavoro part-time, sono inseriti nella realtà della Chiesa locale e non hanno una clausura circoscritta da muri, ma «morale», che li porta a riservare per sé tempi e luoghi di silenzio, di deserto e di solitudine, anche prolungati, come nella notte tra il giovedì e il venerdì quando sono invitati dal loro fondatore, il francese Pierre-Marie Delfieux, a pregare «alzandosi nel cuore della notte, al centro delle miserie e delle gioie della città dove Dio ti ha posto come una sentinella che spia l’aurora».

Padre Delfieux, com’è nata l’idea o meglio la vocazione di fondare, quasi trent’anni fa, nel 1975, le Fraternità monastiche di Gerusalemme?

«Da una convergenza di diverse strade. L’arcivescovo di Parigi, il cardinal Marty, si augurava di veder nascere dei monaci nel cuore della città. Io, dopo essere stato cappellano degli universitari alla Sorbona, ho vissuto due anni come eremita nel deserto del Sahara dove ho sentito salire in me lo stesso desiderio dell’arcivescovo di cui, però, non sapevo nulla così come lui non sapeva niente della mia chiamata interiore. Quando ci siamo incontrati dopo il mio ritorno a Parigi, è scattata la scintilla provvidenziale. Ho detto al mio vescovo che volevo essere monaco nella città ma che avevo il dubbio che fosse una follia. Lui invece, immediatamente, mi ha detto: “Sono d’accordo, vai!”».

La regola che lei ha dettato per i suoi monaci e le sue monache è una regola piuttosto severa. Ma oggi sembrano incontrare più favore le proposte forti che non quelle, diciamo così, più facili.

«Penso che questa regola, che non è una vera regola ma un trattato spirituale, non è severa ma esigente: è l’esigenza del Vangelo. Il Vangelo dice che se uno non può lasciare suo padre o sua madre non è adatto per il Regno di Dio. Il Vangelo è molto molto esigente. Noi abbiamo cercato di applicarlo alle esigenze del mondo e della Chiesa di oggi. Detto questo, dalla mia esperienza di cappellano degli studenti e dai quasi 30 anni passati tra i giovani delle nostre Fraternità monastiche, ho capito che le nuove generazioni chiedono che gli sia proposto qualcosa che sollecita la loro generosità e che si basi su dei valori profondi, su una tradizione solida, ma nello stesso tempo che sia vissuta in maniera nuova e aperta. Se c’è questa proposta, le vocazioni arrivano e i giovani si presentano per rispondere. Quello che i giovani non vogliono sono le cose troppo moderne, che alla fine non sono radicate in niente, e le cose troppo vecchie, tradizionaliste, formaliste e chiuse. Gesù nel Vangelo propone un impegno solido e intero. E allo stesso tempo vissuto in maniera libera e nuova. Noi ci impegniamo in una vita di castità, povertà e obbedienza, abbiamo un abito, viviamo il nostro pasto in silenzio, abbiamo un tempo riservato all’adorazione, ma allo stesso tempo lavoriamo fuori. Siamo fratelli e sorelle nella stessa liturgia, prendiamo l’auto, non esitiamo a spostarci, non abbiamo la clausura, siamo aperti ad accogliere la fraternità laica. Ognuno della propria vita vuole fare una cosa grande, quindi una cosa esigente, che sia però vissuta in modo libero».

Se la proposta per i monaci e per le monache è chiara con uno stile di vita preciso da seguire, per i laici le cose sono un po’ diverse. Lei stesso attribuisce alla confusione, alla mancanza di silenzio, una delle cause dell’ateismo. E nella vita dei laici, rispetto a chi fa una vita di convento, la confusione è senz’altro superiore. Come possono dunque i laici conciliare la vita contemplativa con il caos e lo stress?

«La vita moderna in effetti ha le sue esigenze e le sue difficoltà. Ma io penso che conducendo una vita cristiana impegnata nella famiglia, nella professione e nella società si possa arrivare a organizzare la propria vita compresi gli spazi di silenzio. Non siamo obbligati a tenere in casa la televisione e in macchina la radio sempre accese. Bisogna ritrovare la gioia della domenica vissuta in famiglia con tutta la tranquillità possibile. Anche la cena può essere calma, semplice e capace di introdurre al riposo della sera. Ogni tanto, inoltre, ci si può prendere un giorno di ritiro, di deserto, con la famiglia o da soli. È una bella scommessa per dei laici mettere il silenzio nella propria vita, ma è vitale. Noi lo facciamo nel contesto urbano, in mezzo al rumore e alle dispersioni, che però lasciamo alle nostre porte. Noi abbiamo stabilito dei luoghi e dei tempi di silenzio e questo ci dà equilibrio interiore. Il tappeto di preghiera della Badia è offerto a tutta la città di Firenze così come il tappeto di preghiera di Saint-Gervais è aperto a tutta la città di Parigi. Credo che sia molto importante che ci siano dei luoghi, delle oasi di silenzio, di pace aperti alla città. Appena il cittadino esce dal suo lavoro, dalla strada, può aprire una porta e trovarsi in un luogo di raccoglimento, di preghiera. Purtroppo molte chiese sono chiuse durante la giornata. Le nostre chiese cerchiamo invece di aprirle dalle cinque del mattino alle dieci di sera. È il self service del silenzio».

Da quando siete a Firenze, ci sono state vocazioni alle Fraternità?

«A livello italiano, in quanto Firenze è il nostro unico monastero in Italia, abbiamo avuto in cinque anni sei fratelli e dodici sorelle di cui tre dalla Toscana (un fratello e due sorelle). Le nostre Fraternità, comunque, non devono essere molto numerose. Abbiamo preso apposta il nome di fraternità secondo quando indicato da San Basilio perché possa essere possibile la dimensione fraterna. Ogni monastero deve comunque avere un certo numero (15 sorelle, 10-12 fratelli) in modo da trovare un equilibrio economico, psicologico, affettivo e soprattutto liturgico, perché cantiamo tutto a quattro voci. Le nostre sono piccole case di cui non siamo proprietari. Santa Teresa D’Avila parlava di 13 poverelli in una casa povera che non farà molto rumore quando crollerà».La schedaUn progetto per l’EuropaLe Fraternità monastiche di Gerusalemme, fondate da Pierre-Marie Delfieux nel 1975, sono oggi presenti in Francia, Belgio e Italia. «Noi vorremo creare nelle quattro città dove siamo (Parigi, Strasburgo, Bruxelles e Firenze) – spiega padre Delfieux – una sorta di rete attraverso quattro forum, nelle quattro stagioni, sui temi dell’Europa. A dicembre a Firenze la sessione sarà dedicata a Giorgio La Pira».

Le Fraternità monastiche di Gerusalemme comprendono oggi 180 monaci di cui 60 fratelli e 120 sorelle. Altri 800 membri appartengono alle Fraternità laiche divise in evangeliche, di giovani, di giovani coppie, di giovani lavoratori, dei figli di Abramo, di arte cultura e fede. Alla Badia Fiorentina (in via Dante a Firenze), unico monastero italiano delle Fraternità, ci sono 18 sorelle e 10 fratelli, oltre a 4 fraternità stabili di laici per un totale di 60 persone (15 per fraternità).

C’è poi un gruppo di adoratori che garantisce la presenza in chiesa durante la solenne esposizione quotidiana del Santissimo. Una cinquantina sono infine i giovani che seguono la «scuola di vita» o la «fraternità di giovani». Ogni domenica almeno 200 fedeli partecipano all’unica solenne Messa festiva alle 11.

Il sito della Fraternità di Gerusalemme