Vita Chiesa

Papa Francesco: «Christus vivit», «Correte, la Chiesa ha bisogno dello slancio dei giovani»

«Il Documento che oggi viene pubblicato costituirà per il prossimo futuro la magna charta della pastorale giovanile e vocazionale nelle diverse Comunità ecclesiali, tutte segnate – benché in modi diversi a seconda delle differenti latitudini – da una profonda trasformazione della condizione giovanile». Ne è convinto il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, intervenuto oggi alla presentazione dell’esortazione post-sinodale «Christus vivit», firmata dal Papa il 25 marzo a Loreto e resa pubblica oggi dal Papa.

«Come Amoris Laetitia, la prima Esortazione Apostolica Postsinodale di Papa Francesco, pubblicata il 19 marzo 2016 al termine del cammino sinodale sulla famiglia, anche Christus vivit si connette strettamente al Documento Finale del Sinodo, al quale aggiunge ulteriori e preziosi elementi di riflessione», ha detto il cardinale, secondo il quale «non è un caso se il Documento Finale del Sinodo è di gran lunga il testo che ottiene il maggior numero di citazioni: ben 56. Ad esso si sommano le 3 citazioni del Documento della Riunione Presinodale dei giovani, celebrata nel marzo 2018, che ha rappresentato il momento più alto della fase preparatoria del Sinodo».

«Dai giovani il Papa si aspetta che afferrino in pienezza la loro esistenza, nonostante le contraddizioni e le difficoltà dell’ora presente, per vivificare con l’entusiasmo della loro età la Chiesa e il mondo, che non di rado appaiono invecchiati», ha spiegato Baldisseri, soffermandosi sullo stile del documento: una lettera in cui Francesco dà del «tu» a tutti i giovani, «non solo i credenti, ma anche i non credenti». Ecco una sintesi dettagliata dell’Esortazione.

«Lui vive e ti vuole vivo!». Sono le prime parole che il Papa rivolge «a ciascun giovane cristiano», nell’esortazione apostolica «Christus vivit» a conclusione del Sinodo a loro dedicato. «Cristo vive», scrive il Papa nell’introduzione: «Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare». «Quando ti senti vecchio per la tristezza, i rancori, le paure, i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza», assicura Francesco, definendo la sua esortazione apostolica «una lettera che richiama alcune convinzioni della nostra fede e, nello stesso tempo, incoraggia a crescere nella santità e nell’impegno per la propria vocazione». In quanto «pietra miliare nell’ambito di un cammino sinodale», il Papa si rivolge «contemporaneamente a tutto il Popolo di Dio, ai pastori e ai fedeli, perché la riflessione sui giovani e per i giovani interpella e stimola tutti noi».

«In alcuni paragrafi parlerò direttamente ai giovani e in altri proporrò approcci più generali per il discernimento ecclesiale», spiega il Santo Padre a proposito del suo nuovo documento, 183 pagine articolate in nove capitoli. «Mi sono lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso», rivela Francesco: «Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative. In questo modo, la mia parola sarà arricchita da migliaia di voci di credenti di tutto il mondo che hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande». «Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso», scrive il Papa nella conclusione dell’esortazione: «Correte attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».

Gesù è stato un giovane», «è la vera giovinezza di un mondo invecchiato». «È importante prendere coscienza che Gesù è stato un giovane. Ha dato la sua vita in una fase che oggi è definita come quella di un giovane-adulto». «Egli è la vera giovinezza di un mondo invecchiato». Lo scrive il Papa nel secondo capitolo di «Christus vivit», dopo aver dedicato il primo ai brani biblici che hanno i giovani come protagonisti. «Nel pieno della sua giovinezza iniziò la sua missione pubblica», ricorda Francesco, e «quando diede la sua vita fino alla fine» il finale «non è stato improvvisato»: al contrario, «tutta la sua giovinezza è stata una preparazione preziosa, in ognuno dei suoi momenti». «Il Vangelo non parla della fanciullezza di Gesù, ma ci racconta alcuni avvenimenti della sua adolescenza e giovinezza», fa notare il Papa citando il Vangelo di Matteo, che «colloca questo periodo della giovinezza del Signore tra due eventi: il ritorno della sua famiglia a Nazaret, dopo il tempo di esilio, e il suo battesimo nel Giordano, dove ha iniziato la sua missione pubblica. Le ultime immagini di Gesù bambino sono quella di un piccolo rifugiato in Egitto e poi quella di un rimpatriato a Nazaret. Le prime immagini di Gesù giovane adulto sono quelle che ce lo presentano tra la folla accanto al fiume Giordano, venuto per farsi battezzare da suo cugino Giovanni il Battista come uno dei tanti del suo popolo. Quel battesimo non era come il nostro, che ci introduce alla vita della grazia, bensì è stata una consacrazione prima di iniziare la grande missione della sua vita».

«Nella sua fase giovanile – sintetizza Francesco – Gesù si stava ‘formando’, si stava preparando a realizzare il progetto del Padre. La sua adolescenza e la sua giovinezza lo hanno orientato verso quella missione suprema». Tuttavia, «non dobbiamo pensare che Gesù fosse un adolescente solitario o un giovane che pensava a sé stesso», spiega il Papa: «Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio. Aveva imparato il lavoro del padre e poi lo ha sostituito come falegname. Era un ragazzo del villaggio come gli altri e che aveva relazioni del tutto normali. Nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri. Grazie alla fiducia dei suoi genitori, Gesù si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri». «Questi aspetti della vita di Gesù possono costituire un’ispirazione per ogni giovane che cresce e si prepara a compiere la sua missione», la tesi di Francesco, secondo il quale «nulla di tutto questo dovrebbe essere ignorato nella pastorale giovanile, per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio. Abbiamo bisogno, piuttosto, di progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione».

I giovani possono aiutare la Chiesa «a non cadere nella corruzione, a non trasformarsi in una setta».«Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare ad essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia», sostiene il Papa nella «Christus vivit», in cui afferma, sulla scia del Concilio, che la comunità ecclesiale, «nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore». «Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile», l’appello: «Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno. È giovane quando è capace di ritornare continuamente alla sua fonte». «Dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale», gli imperativi da raccogliere, a partire dalla consapevolezza che «la Chiesa di Cristo può sempre cadere nella tentazione di perdere l’entusiasmo perché non ascolta più la chiamata del Signore al rischio della fede, a dare tutto senza misurare i pericoli, e torna a cercare false sicurezze mondane».

Sono proprio i giovani, allora, che per Francesco «possono aiutarla a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà». «Chi di noi non è più giovane ha bisogno di occasioni per avere vicini la loro voce e il loro stimolo», la proposta del Papa: «Abbiamo bisogno di creare più spazi dove risuoni la voce dei giovani», perché «la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma rifletta soprattutto Gesù Cristo»: «Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare, e a tale scopo ha anche bisogno di raccogliere la visione e persino le critiche dei giovani», il monito.

«Scandali sessuali ed economici» hanno allontanato i giovani dalla Chiesa. Prestare attenzione alle «rivendicazioni delle donne» e combattere «abusi e violenza maschilista». «Gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea». Sono le ragioni principali che allontanano i giovani dalla Chiesa, secondo l’analisi fatta dal Papa. «Anche se ci sono giovani che sono contenti quando vedono una Chiesa che si mostra umilmente sicura dei suoi doni e anche capace di esercitare una critica leale e fraterna, altri giovani chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo», scrive Francesco facendo eco alle voci dei giovani al Sinodo: «Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo».

«Una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo», il grido d’allarme del Papa: «Una Chiesa eccessivamente timorosa e strutturata può essere costantemente critica nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni». Viceversa, «una Chiesa viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne che chiedono maggiore giustizia e uguaglianza. Può ricordare la storia e riconoscere una lunga trama di autoritarismo da parte degli uomini, di sottomissione, di varie forme di schiavitù, di abusi e di violenza maschilista. Con questo sguardo sarà capace di fare proprie queste rivendicazioni di diritti, e darà il suo contributo con convinzione per una maggiore reciprocità tra uomini e donne, pur non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi». In questa linea, il Sinodo ha voluto rinnovare l’impegno della Chiesa «contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale».

Il dolore dei giovani è «come uno schiaffo». No a «colonizzazione ideologica» e «cultura dello scarto». «La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, ‘la gioventù’ non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete», precisa il Papa, che nel terzo capitolo della «Christus vivit», dove aver citato l’esempio di Maria «influencer di Dio» e stilato l’elenco in ordine cronologico dei «santi giovani» – da San Sebastiano a Chiara Badano – fa notare come «nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione», come hanno ben evidenziato i padri sinodali. La violenza, in varie forme, «spezza molte giovani vite», il grido d’allarme di Francesco: «Abusi e dipendenze, così come violenza e devianza sono tra le ragioni che portano i giovani in carcere, con una particolare incidenza in alcuni gruppi etnici e sociali. Molti giovani sono ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello o come forza d’urto per distruggere, intimidire o ridicolizzare altri. E la cosa peggiore è che molti si trasformano in soggetti individualisti, nemici e diffidenti verso tutti, e diventano così facile preda di proposte disumanizzanti e dei piani distruttivi elaborati da gruppi politici o poteri economici». Senza contare i giovani che nel mondo «patiscono forme di emarginazione ed esclusione sociale, per ragioni religiose, etniche o economiche», o «la difficile situazione di adolescenti e giovani che restano incinte e la piaga dell’aborto, così come la diffusione dell’Hiv, le diverse forme di dipendenza (droghe, azzardo, pornografia, ecc.) e la situazione dei bambini e ragazzi di strada, che mancano di casa, famiglia e risorse economiche».

«E quando poi si tratta di donne, queste situazioni di emarginazione diventano doppiamente dolorose e difficili», annota il Papa. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani», la denuncia: «Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre, perché invece di uccidere impari a partorire, perché sia promessa di vita. Piangiamo quando ricordiamo quei giovani che sono morti a causa della miseria e della violenza e chiediamo alla società di imparare ad essere una madre solidale. Quel dolore non se ne va, ci accompagna ad ogni passo, perché la realtà non può essere nascosta. La cosa peggiore che possiamo fare è applicare la ricetta dello spirito mondano che consiste nell’anestetizzare i giovani con altre notizie, con altre distrazioni, con banalità». «A volte il dolore di alcuni giovani è lacerante; è un dolore che non si può esprimere a parole; è un dolore che ci colpisce come uno schiaffo», osserva il Papa: «Possa sempre esserci una comunità cristiana vicino a un giovane che soffre, per far risuonare quelle parole con gesti, abbracci e aiuti concreti!». No alla «colonizzazione ideologica» e alla «cultura dello scarto», ribadisce Francesco, e anche al giovanilismo oggi imperante: «Il modello di bellezza è un modello giovanile, ma stiamo attenti, perché questo non è un elogio rivolto ai giovani. Significa soltanto che gli adulti vogliono rubare la gioventù per sé stessi, non che rispettino, amino i giovani e se ne prendano cura».

La morale sessuale è «causa di incomprensione e allontanamento dalla Chiesa». Giovani vogliono «confronto» su identità maschile, femminile e omosessualità. La morale sessuale è spesso «causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna». Nello stesso tempo, i giovani esprimono «un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità», si legge nella «Christus vivit», in cui il Papa fa notare che «i giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità». Tuttavia, «in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive». Gli sviluppi della scienza e delle tecnologie biomediche, inoltre, «incidono fortemente sulla percezione del corpo, inducendo l’idea che sia modificabile senza limite», mentre «la capacità di intervenire sul Dna, la possibilità di inserire elementi artificiali nell’organismo (cyborg) e lo sviluppo delle neuroscienze costituiscono una grande risorsa, ma sollevano allo stesso tempo interrogativi antropologici ed etici».

Se dimentichiamo il senso del limite, «possiamo facilmente essere strumentalizzati da chi detiene il potere tecnologico», il grido d’allarme di Francesco, che mette in guardia anche dal «fascino per comportamenti a rischio come strumento per esplorare se stessi, ricercare emozioni forti e ottenere riconoscimento». «Nei giovani troviamo anche, impressi nell’anima, i colpi ricevuti, i fallimenti, i ricordi tristi», osserva il Papa citando «le ferite morali, il peso dei propri errori, i sensi di colpa per aver sbagliato». Gesù è vicino alle «croci dei giovani, per offrire loro la sua amicizia, il suo sollievo, la sua compagnia risanatrice, e la Chiesa vuole essere il suo strumento in questo percorso verso la guarigione interiore e la pace del cuore».

«Non è sano confondere la comunicazione con il semplice contatto virtuale». Internet e le reti sociali «sono una piazza in cui i giovani trascorrono molto tempo e si incontrano facilmente, anche se non tutti vi hanno ugualmente accesso», e »costituiscono una straordinaria opportunità di dialogo, incontro e scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza». Il Papa fa notare che «quello digitale è un contesto di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva, e può facilitare la circolazione di informazione indipendente capace di tutelare efficacemente le persone più vulnerabili palesando le violazioni dei loro diritti». Tuttavia, «non è sano confondere la comunicazione con il semplice contatto virtuale», il monito di Francesco: l’ambiente digitale, infatti, «è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web. I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche».

«Nuove forme di violenza si diffondono attraverso i social media, ad esempio il cyberbullismo», il grido d’allarme del Papa: «Il web è anche un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo». Senza contare che «operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio». «La proliferazione delle fake news è espressione di una cultura che ha smarrito il senso della verità e piega i fatti a interessi particolari», avverte Francesco: «La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori». «Le relazioni on line possono diventare disumane», hanno segnalato 300 giovani di tutto il mondo in un documento preparato prima del Sinodo: «Gli spazi digitali ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione. Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana». L’immersione nel mondo virtuale ha favorito, inoltre, una sorta di «migrazione digitale», vale a dire – spiega il Papa – «un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi, che conduce molte persone verso un mondo di solitudine e di auto-invenzione, fino a sperimentare una mancanza di radici, benché rimangano fisicamente nello stesso luogo». «I giovani di oggi sono i primi a operare questa sintesi tra ciò che è personale, ciò che è specifico di una cultura e ciò che è globale», riconosce Francesco: «Questo però richiede che riescano a passare dal contatto virtuale a una comunicazione buona e sana».

Migrazioni «fenomeno strutturale e non emergenza transitoria». No a «trafficanti senza scrupolo» e xenofobia. Sono tanti i giovani «direttamente coinvolti nelle migrazioni», che «rappresentano a livello mondiale un fenomeno strutturale e non un’emergenza transitoria». La «Christus vivit» spiega che «la preoccupazione della Chiesa riguarda in particolare coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema: molti di loro sono giovani. In genere sono alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi». «Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili», la denuncia di Francesco, che segnala «la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati, e la situazione di coloro che sono costretti a passare molti anni nei campi profughi o che rimangono bloccati a lungo nei Paesi di transito, senza poter proseguire il corso di studi né esprimere i propri talenti». «In alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici», sottolinea il Papa: «Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi, a cui occorre reagire con decisione».

«La Chiesa ha un ruolo importante come riferimento per i giovani di queste famiglie spezzate», in preda ad uno «sradicamento culturale e religioso», scrive Francesco definendo quelle dei migranti, in positivo, «storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti». «Le iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle», assicura il Papa a proposito della capacità «di includere» che «mette la Chiesa in condizione di esercitare un ruolo profetico nei confronti della società sul tema delle migrazioni». Ai giovani, Francesco chiede «di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano».

Gli abusi sono una «nuvola nera» da allontanare. «Negli ultimi tempi ci è stato chiesto con forza di ascoltare il grido delle vittime dei vari tipi di abusi commessi da alcuni vescovi, sacerdoti, religiosi e laici». La parte finale del terzo capitolo della «Christus vivit» è dedicata agli abusi, definiti dal Papa «una nuvola nera» da allontanare all’orizzonte anche grazie all’aiuto dei giovani. «Questi peccati provocano nelle vittime sofferenze che possono durare tutta la vita e a cui nessun pentimento può porre rimedio, ricorda Francesco a proposito di un «fenomeno diffuso nella società», che «tocca anche la Chiesa e rappresenta un serio ostacolo alla sua missione». L’universalità di tale piaga, «mentre conferma la sua gravità nelle nostre società – ripete il Papa – non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa» e la rabbia, giustificata, della gente. Il Sinodo sui giovani ha ribadito «il fermo impegno per l’adozione di rigorose misure di prevenzione che ne impediscano il ripetersi, a partire dalla selezione e dalla formazione di coloro a cui saranno affidati compiti di responsabilità ed educativi».

Allo stesso tempo, non deve più essere abbandonata la decisione di applicare «azioni e sanzioni così necessarie»: «Non si può più tornare indietro», l’imperativo di Francesco per combattere i «diversi tipi di abuso: di potere, economici, di coscienza, sessuali». «Sradicare le forme di esercizio dell’autorità su cui essi si innestano e di contrastare la mancanza di responsabilità e trasparenza con cui molti casi sono stati gestiti», l’impegno da raccogliere: «Il desiderio di dominio, la mancanza di dialogo e di trasparenza, le forme di doppia vita, il vuoto spirituale, nonché le fragilità psicologiche sono il terreno su cui prospera la corruzione». «Il clericalismo è una tentazione permanente dei sacerdoti», tuona ancora una volta il Papa, ed «espone le persone consacrate al rischio di perdere il rispetto per il valore sacro e inalienabile di ogni persona e della sua libertà».

A questo riguardo, Francesco esprime la sua «gratitudine verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto: aiutano la Chiesa a prendere coscienza di quanto avvenuto e della necessità di reagire con decisione». Tuttavia, merita una riconoscenza speciale anche «l’impegno sincero di innumerevoli laiche e laici, sacerdoti, consacrati, consacrate e vescovi che ogni giorno si spendono con onestà e dedizione al servizio dei giovani. La loro opera è una foresta che cresce senza fare rumore. Anche molti tra i giovani presenti al Sinodo hanno manifestato gratitudine per coloro da cui sono stati accompagnati e ribadito il grande bisogno di figure di riferimento. Grazie a Dio, i sacerdoti che si sono macchiati di questi orribili crimini non sono la maggioranza, che invece è costituita da chi porta avanti un ministero fedele e generoso».

Rispondere alla «orfanezza» dei giovani offrendo «luoghi appropriati». «In tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale, perché molti giovani che arrivano si trovano in una profonda situazione di orfanezza». Così il Papa, nel settimo capitolo della «Christus vivit», affronta il tema della pastorale giovanile. «Per tanti orfani e orfane nostri contemporanei – forse per noi stessi – le comunità come la parrocchia e la scuola dovrebbero offrire percorsi di amore gratuito e promozione, di affermazione e crescita», l’indicazione di Francesco, secondo il quale «molti giovani oggi si sentono figli del fallimento, perché i sogni dei loro genitori e dei loro nonni sono bruciati sul rogo dell’ingiustizia, della violenza sociale, del ‘si salvi chi può’». «L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di profonda orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso», la proposta del Papa. «Nelle nostre istituzioni dobbiamo offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie», prosegue Francesco citando come esempio gli oratori e i centri giovani, occasione per «quell’indispensabile annuncio da persona a persona, che non può essere sostituito da nessuna risorsa o strategia pastorale».

«La scuola è senza dubbio una piattaforma per avvicinarsi ai bambini e ai giovani», sostiene il Papa. «Ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente», la denuncia: «La scuola trasformata in un ‘bunker’ che protegge dagli errori ‘di fuori’ è l’espressione caricaturale di questa tendenza». «Diritto alla cultura significa tutelare la sapienza, cioè un sapere umano e umanizzante», la tesi di Francesco, che lancia un grido d’allarme: «Troppo spesso si è condizionati da modelli di vita banali ed effimeri, che spingono a perseguire il successo a basso costo, screditando il sacrificio, inculcando l’idea che lo studio non serve se non dà subito qualcosa di concreto. No, lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalla banalità, a cercare senso nella vita. È da rivendicare il diritto a non far prevalere le tante sirene che oggi distolgono da questa ricerca».

Una «pastorale giovanile popolare», «dove ci sia posto per ogni tipo di giovani». Dare spazio a una «pastorale giovanile popolare», che «ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia». È la proposta del Papa nella «Christus vivit». La pastorale giovanile popolare, spiega, «consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro». «Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti», precisa Francesco entrando ancora di più nel dettaglio: «Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole». Per realizzare tale progetto, servono «leader realmente ‘popolari’, non elitari o chiusi in piccoli gruppi di eletti». Quando parliamo di «popolo», precisa Francesco, «non si deve intendere le strutture della società o della Chiesa, quanto piuttosto l’insieme di persone che non camminano come individui ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti, che non può permettere che i più poveri e i più deboli rimangano indietro». I leader popolari, quindi, «sono coloro che hanno la capacità di coinvolgere tutti, includendo nel cammino giovanile i più poveri, deboli, limitati e feriti. Non provano disagio né sono spaventati dai giovani piagati e crocifissi».

A volte, denuncia il Papa, «per pretendere una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un’élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità». Invece di «soffocarli con un insieme di regole che danno del cristianesimo un’immagine riduttiva e moralistica», secondo Francesco «siamo chiamati a investire sulla loro audacia ed educarli ad assumersi le loro responsabilità, certi che anche l’errore, il fallimento e la crisi sono esperienze che possono rafforzare la loro umanità».

«Nel Sinodo si è esortato a costruire una pastorale giovanile capace di creare spazi inclusivi, dove ci sia posto per ogni tipo di giovani e dove si manifesti realmente che siamo una Chiesa con le porte aperte», ricorda il Papa: «E non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani. Basta un atteggiamento aperto verso tutti quelli che hanno il desiderio e la disponibilità a lasciarsi incontrare dalla verità rivelata da Dio». «Abbiamo bisogno di una pastorale giovanile popolare che apra le porte e dia spazio a tutti e a ciascuno con i loro dubbi, traumi, problemi e la loro ricerca di identità, con i loro errori, storie, esperienze del peccato e tutte le loro difficoltà», la tesi di Francesco: «deve esserci spazio anche per tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso. Tutti i giovani, nessuno escluso, sono nel cuore di Dio e quindi anche nel cuore della Chiesa». La pastorale giovanile, quando smette di essere elitaria e accetta di essere «popolare», «è un processo lento, rispettoso, paziente, fiducioso, instancabile, compassionevole», sottolinea il Papa, soffermandosi sulla necessità dell’accompagnamento degli adulti, emerso con forza anche nel Sinodo, che comporta «la necessità di preparare consacrati e laici, uomini e donne, che siano qualificati per l’accompagnamento dei giovani». «Alcune giovani donne percepiscono una mancanza di figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa, alla quale anch’esse desiderano donare i loro talenti intellettuali e professionali», rileva Francesco.

«I giovani sognano una famiglia», matrimonio non è «fuori moda». Aumento di separazioni e divorzi causa «grandi sofferenze» e «crisi di identità». «I giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia e costruire una vita insieme». Ne è convinto il Papa, che nell’ottavo capitolo della «Christus vivit», dedicato alla vocazione, definisce quella ad incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia «una vocazione che Dio stesso propone attraverso i sentimenti, i desideri, i sogni», come si legge nei capitoli quarto e quinto dell’Amoris Laetitia a proposito della vocazione al matrimonio cristiano. All’interno di esso, l’invito di Francesco, «dobbiamo riconoscere ed essere grati per il fatto che la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima».

«La famiglia continua a rappresentare il principale punto di riferimento per i giovani», come è emerso dal Sinodo: «I figli apprezzano l’amore e la cura da parte dei genitori, hanno a cuore i legami familiari e sperano di riuscire a formare a loro volta una famiglia». «L’aumento di separazioni, divorzi, seconde unioni e famiglie monoparentali può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità», sostiene il Papa: «Queste difficoltà incontrate nella famiglia di origine portano certamente molti giovani a chiedersi se vale la pena formare una nuova famiglia, essere fedeli, essere generosi. Voglio dirvi di sì, che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio. Non fatevi ingannare da coloro che propongono una vita di sregolatezza individualistica che finisce per portare all’isolamento e alla peggiore solitudine». «Oggi regna una cultura del provvisorio che è un’illusione», la denuncia di Francesco: «Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna». Il matrimonio non è «fuori moda», dice il Papa ai giovani chiedendo loro di «andare controcorrente», ribellandosi alla «cultura del provvisorio».

«Livelli esorbitanti» disoccupazione giovanile siano priorità per la politica. «Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri». «Questo non va bene, perché il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale», il monito di Francesco, secondo il quale «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze». Il Sinodo ha sottolineato che il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani «sperimentano forme di esclusione ed emarginazione»: la prima e più grave, per il Papa, è la disoccupazione giovanile, «che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti». «Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società», la tesi di Francesco: «In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro». «È una questione molto delicata che la politica deve considerare come una problematica prioritaria – l’appello del Papa – in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari. Si tratta di una questione fondamentale della società, perché il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità».

Giovani esposti a «zapping costante». «Suscitare processi, non imporre percorsi» o «costruire ricettari». Oggi tutti, ma specialmente i giovani, «sono esposti a uno zapping costante». A lanciare il grido d’allarme è l’ultimo capitolo della Christus vivit, dedicata al discernimento, afferma che «senza la sapienza» di quest’ultimo «possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento. «Ci sono sacerdoti, religiosi, religiose, laici, professionisti e anche giovani qualificati che possono accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale», ricorda il Papa. A costoro, Francesco raccomanda tre sensibilità: la prima è l’attenzione alla persona, che inizia con l’ascolto dell’altro. La seconda consiste nel discernere, cioè «cogliere il punto giusto in cui si discerne la grazia dalla tentazione». La terza, infine, consiste «nell’ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta ‘in avanti’. È l’ascolto profondo di ‘dove vuole andare veramente l’altro’». Quando uno ascolta l’altro in questo modo, la tesi del Papa, «a un certo punto deve scomparire per lasciare che segua la strada che ha scoperto. Scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli». Dobbiamo «suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi», l’indicazione di rotta di Francesco: «E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e liberi. Per questo è difficile costruire ricettari».

Testo integrale dell’Esortazione postsinodale