Vita Chiesa

Papa Francesco: «Europa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone»

«Il primo, e forse più grande, contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone». Ha esortìdito così papa Francesco nel suo articolato discorso oggi pomeriggio ai 350 partecipanti riuniti in Aula del Sinodo per l’incontro di dialogo «(Re)Thinking Europe. Un contributo cristiano al futuro del Progetto Europeo», organizzato dalla Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece), in collaborazione con la Segreteria di Stato.

«Purtroppo, si nota come spesso qualunque dibattito si riduca facilmente ad una discussione di cifre. Non ci sono i cittadini, ci sono i voti. Non ci sono i migranti, ci sono le quote. Non ci sono lavoratori, ci sono gli indicatori economici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie di povertà. Il concreto della persona umana è così ridotto ad un principio astratto, più comodo e tranquillizzante. Se ne comprende la ragione: le persone hanno volti, ci obbligano ad una responsabilità reale, fattiva, ‘personale’; le cifre ci occupano con ragionamenti, anche utili ed importanti, ma rimarranno sempre senz’anima. Ci offrono l’alibi di un disimpegno, perché non ci toccano mai nella carne». Il Papa invita l’Europa a riscoprire anche il senso di appartenenza ad una comunità perché – dice – «la comunità è il più grande antidoto agli individualismi che caratterizzano il nostro tempo, a quella tendenza diffusa oggi in Occidente a concepirsi e a vivere in solitudine». «Persona e comunità sono dunque le fondamenta dell’Europa che come cristiani vogliamo e possiamo contribuire a costruire».

Un luogo di dialogo sincero. «Oggi tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali, dal Polo Nord al Mare Mediterraneo, non può permettersi di mancare l’opportunità di essere anzitutto un luogo di dialogo, sincero e costruttivo allo stesso tempo, in cui tutti i protagonisti hanno pari dignità». È il secondo punto tracciato da papa Francesco. E favorire il dialogo – ha aggiunto – «è una responsabilità basilare della politica, e, purtroppo, si nota troppo spesso come essa si trasformi piuttosto in sede di scontro fra forze contrastanti. Alla voce del dialogo si sostituiscono le urla delle rivendicazioni. Da più parti si ha la sensazione che il bene comune non sia più l’obiettivo primario perseguito e tale disinteresse è percepito da molti cittadini. Trovano così terreno fertile in molti Paesi le formazioni estremiste e populiste che fanno della protesta il cuore del loro messaggio politico, senza tuttavia offrire l’alternativa di un costruttivo progetto politico. Al dialogo si sostituisce, o una contrapposizione sterile, che può anche mettere in pericolo la convivenza civile, o un’egemonia del potere politico che ingabbia e impedisce una vera vita democratica. In un caso si distruggono i ponti e nell’altro si costruiscono muri. E oggi l’Europa conosce ambedue «. «I cristiani – ha quindi aggiunto il Papa – sono chiamati a favorire il dialogo politico, specialmente laddove esso è minacciato e sembra prevalere lo scontro. I cristiani sono chiamati a ridare dignità alla politica, intesa come massimo servizio al bene comune e non come un’occupazione di potere».

«I migranti sono una risorsa più che un peso» e «i cristiani sono chiamati a meditare seriamente l’affermazione di Gesù: ‘Ero straniero e mi avete accolto’ (Mt 25,35). Soprattutto davanti al dramma dei profughi e dei rifugiati, non ci si può dimenticare il fatto di essere di fronte a delle persone, le quali non possono essere scelte o scartate a proprio piacimento, secondo logiche politiche, economiche o perfino religiose». È uno dei passaggi più forti del discorso di papa Francesco. «Responsabilità comune dei leader – ha detto Francesco rivolgendosi ai 350 partecipanti – è favorire un’Europa che sia una comunità inclusiva, libera da un fraintendimento di fondo: inclusione non è sinonimo di appiattimento indifferenziato. Al contrario, si è autenticamente inclusivi allorché si sanno valorizzare le differenze, assumendole come patrimonio comune e arricchente». «Tuttavia – ha aggiunto -, ciò non è in contrasto con il dovere di ogni autorità di governo di gestire la questione migratoria ‘con la virtù propria del governante, cioè la prudenza’, che deve tener conto tanto della necessità di avere un cuore aperto, quanto della possibilità di integrare pienamente coloro che giungono nel Paese a livello sociale, economico e politico. Non si può pensare che il fenomeno migratorio sia un processo indiscriminato e senza regole, ma non si possono nemmeno ergere muri di indifferenza o di paura. Da parte loro, gli stessi migranti non devono tralasciare l’onere grave di conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le tradizioni della nazione che li accoglie».

L’Europa è chiamata ad essere «spazio di solidarietà». Parola che «tante volte sembra si voglia cacciare dal dizionario». Essere solidali significa «avere premura per i più deboli della società, per i poveri, per quanti sono scartati dai sistemi economici e sociali, a partire dagli anziani e dai disoccupati». È l’altro passaggio sottolineato oggi da papa Francesco. «Ma la solidarietà esige anche che si recuperi la collaborazione e il sostegno reciproco fra le generazioni», ha osservato Francesco, che ha parlato anche di un tempo caratterizzato da «una drammatica sterilità». «Non solo perché in Europa si fanno pochi figli, e troppi sono quelli che sono stati privati del diritto di nascere, ma anche perché ci si è scoperti incapaci di consegnare ai giovani gli strumenti materiali e culturali per affrontare il futuro». «Tanti giovani – ha incalzato Francesco – si trovano invece smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive. Sono sradicati «; «talvolta anche prigionieri di adulti possessivi, che faticano a sostenere il compito che spetta loro». E strettamente legata alla questione giovanile è la mancanza di lavoro. «Serve lavoro e servono condizioni adeguate di lavoro». Il Papa chiede di superare la logica di «una globalizzazione senz’anima, che, più attenta al profitto che alle persone, ha creato diffuse sacche di povertà, disoccupazione, sfruttamento e di malessere sociale» e di «creare le condizioni economiche che favoriscano una sana imprenditoria e livelli adeguati di impiego. Alla politica compete specialmente riattivare un circolo virtuoso che, a partire da investimenti a favore della famiglia e dell’educazione, consenta lo sviluppo armonioso e pacifico dell’intera comunità civile». 

«L’impegno dei cristiani in Europa deve costituire una promessa di pace». Con questa «consegna» si è concluso il discorso di papa Francesco oggi all’Europa. «Fu questo il pensiero principale che animò i firmatari dei Trattati di Roma. Dopo due guerre mondiali e violenze atroci di popoli contro popoli, era giunto il tempo di affermare il diritto alla pace. Ancora oggi però vediamo come la pace sia un bene fragile e le logiche particolari e nazionali rischiano di vanificare i sogni coraggiosi dei fondatori dell’Europa». La pace – dice il Papa – «esige amore alla verità, senza la quale non possono esistere rapporti umani autentici, e ricerca della giustizia, senza la quale la sopraffazione è la norma imperante di qualunque comunità». Ma esige anche «creatività». «L’Unione europea manterrà fede al suo impegno di pace nella misura in cui non perderà la speranza e saprà rinnovarsi per rispondere alle necessità e alle attese dei propri cittadini». Il Papa ha ricordato a questo proposito la battaglia di Caporetto, una delle più drammatiche della Grande Guerra. E ha detto: «Da quell’evento impariamo che se ci si trincera dietro le proprie posizioni, si finisce per soccombere. Non è dunque questo il tempo di costruire trincee, bensì quello di avere il coraggio di lavorare per perseguire appieno il sogno dei Padri fondatori di un’Europa unita e concorde, comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace».