Vita Chiesa

Papa Francesco: Messa fine Sinodo, «oggi è tempo di misericordia»

Nell’incontro con il cieco Bartimeo, «Gesù mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio». Di più: «È bello vedere come Cristo ammira la fede di Bartimeo, fidandosi di lui. Lui crede in noi, più di quanto noi crediamo in noi stessi». Lo ha detto, ieri mattina, Papa Francesco, nella Messa in occasione della chiusura della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo».

Per il Papa, «c’è un particolare interessante»: «Gesù chiede ai suoi discepoli di andare a chiamare Bartimeo. Essi si rivolgono al cieco usando due espressioni, che solo Gesù utilizza nel resto del Vangelo»: «Coraggio!» e «Alzati!». I suoi «non fanno altro che ripetere le parole incoraggianti e liberatorie di Gesù, conducendo direttamente a Lui, senza prediche». A questo «sono chiamati i discepoli di Gesù, anche oggi, specialmente oggi: a porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva. Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte, non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore. Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!».

«Ci sono alcune tentazioni per chi segue Gesù». Di questo ha messo in guardia, Papa Francesco. Il Vangelo di oggi ne evidenzia «almeno due». Innanzitutto, «nessuno dei discepoli si ferma, come fa Gesù. Continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema». E questo «può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare». In questo modo, «come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare ‘abitudinari della grazia’». Insomma, «possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito. Questa è la tentazione: una ‘spiritualità del miraggio’: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi». Per il Pontefice, «una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti».

«C’è una seconda tentazione, quella di cadere in una ‘fede da tabella’». Ecco il secondo rischio di cui ha parlato, ieri mattina, Papa Francesco. «Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra – ha avvertito -: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Rischiamo di diventare come quei ‘molti’ del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo. Poco prima avevano rimproverato i bambini, ora il mendicante cieco: chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere». Gesù invece «vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui. Costoro, come Bartimeo, hanno fede, perché sapersi bisognosi di salvezza è il miglior modo per incontrare Gesù». E alla fine «Bartimeo si mette a seguire Gesù lungo la strada. Non solo riacquista la vista, ma si unisce alla comunità di coloro che camminano con Gesù».

«Carissimi fratelli sinodali, noi abbiamo camminato insieme. Vi ringrazio per la strada che abbiamo condiviso con lo sguardo rivolto al Signore e ai fratelli, nella ricerca dei sentieri che il Vangelo indica al nostro tempo per annunciare il mistero di amore della famiglia». Così Papa Francesco, ieri mattina, si è rivolto ai padri sinodali, concludendo la sua omelia. «Proseguiamo il cammino che il Signore desidera – l’invito rivolto dal Pontefice -. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato. Senza farci mai offuscare dal pessimismo e dal peccato, cerchiamo e vediamo la gloria di Dio, che risplende nell’uomo vivente».