Vita Chiesa

Papa Francesco a Rom e Sinti: «soffro quando leggo qualcosa di brutto su di voi»

«Questa non è civiltà. L’amore è civiltà», ha scandito il Papa che ha aggiunto: «avanti con l’amore». «Mi fa arrabbiare il fatto che ci siamo abituati a parlare della gente con gli aggettivi: non diciamo ‘persona’, ma questo ‘è così’ e mettiamo l’aggettivo», ha spiegato Francesco per il quale «questo distrugge, perché non si guarda alla persona». «L’aggettivo è una cosa che crea distanza tra mente e cure, questo è il problema di oggi», ha affermato sottolineando la gravità di questo atteggiamento. Secondo il Papa, «è vero che ci sono cittadini di seconda classe, ma – ha chiarito – i cittadini di seconda classe sono coloro che scartano la gente perché non sanno abbracciare, vivono scartando e buttano fuori gli altri». La società, ha osservato, «vive delle favole, pensa che quella gente è peccatrice», ma «tutti siamo peccatori, facciamo degli sbagli, quindi non posso lavarmene le mani vedendo finti o veri peccati altrui. Devo guardare i miei peccati e se vedo che un altro sbaglia strada, devo aiutarlo ad uscire dal peccato». «La vera strada è la fratellanza, dire: ‘vieni la porta è aperta’, dobbiamo collaborare», ha scandito il pontefice che, concludendo il suo discorso a braccio, ha esortato: «niente distanze, a voi a tutti, e niente aggettivi generali».

«La vendetta non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta, gruppi capaci di creare vendetta e di vivere nell’omertà», ha ricordato Papa Francesco che ha sottolineato che questi gruppi «sono delinquenti» e «non la gente che vuole lavorare». Di qui l’invito «ad andare avanti e, se ci sono difficoltà, a guardare in altro dove c’è Uno che ti vuole bene, che ha dovuto vivere al margine, profugo, ha sofferto e dato la vita, che ti cerca per consolarti». A Rom e ai Sinti, il Papa ha chiesto di «allargare il cuore il cuore». «Niente rancore, perché il rancore ammala il cuore, la testa, la famiglia e porta alla vendetta. Andare con la dignità della famiglia, del lavoro, di guadagnarsi il pane, della preghiera», l’incoraggiamento di Bergoglio.

«La speranza può deludere, ma se è concreta in Dio mai delude», ha aggiunto il pontefice che si è rivolto alle donne, alle «mamme che leggono speranza negli occhi dei figli e lottano ogni giorno per la concretezza». Loro, ha scandito, «sono speranza: una donna che porta un figlio al mondo è speranza, semina speranza, è capace di fare strada, creare orizzonti, dare speranza».

«Discorsi d’odio, ma anche azioni violente contro le nostre comunità, sono in costante aumento e questa è per noi fonte di profonda preoccupazione». Lo hanno confidato Dzemila, Miriana e Negiba, tre mamme che questa mattina hanno portato la loro testimonianza all’incontro del Papa con il popolo Rom e Sinti. «Alcune di noi vivono in alloggi non adeguati e sono vittime di sgomberi forzati organizzati dalle autorità in assenza di alternative adeguate», hanno raccontato sottolineando che «anche le recenti norme, varate da chi è chiamato a governare, rendono più difficile la regolarizzazione di molte nostre famiglie, facendo cadere nell’invisibilità nuclei familiari che, anche se di origine straniera, vivono da decenni nel nostro Paese». Tuttavia, hanno aggiunto, «guardiamo al futuro con speranza».

«Siamo donne e siamo mamme, e questo ci dà la forza di andare avanti per migliorare le condizioni di vita nostre e dei nostri figli», hanno spiegato le mamme convinte del fatto che «solo insieme, creando alleanze, potremmo superare le barriere della diffidenza e della marginalizzazione». «Sogniamo – hanno scandito – per l’Italia un risveglio di umanità. Un’Italia che abbracci le differenze, che si consideri fortunata per tutte le differenze e le culture che la compongono, che recuperi il valore della speranza». La stessa speranza, hanno concluso, che «leggiamo negli occhi dei nostri figli e che le sue parole, Santità, ci hanno sempre consegnato in questi anni e che ci aiutano a credere in un Paese più umano, più giusto, più solidale».