Vita Chiesa

Papa Francesco ai consacrati: no alle chiacchiere, pregate per le vocazioni

I religiosi e le religiose, ha detto Francesco, sono «uomini e donne consacrate al servizio del Signore, che esercitano nella Chiesa questa strada di una profezia forte, di un amore casto che porta ad una maternità e paternità spirituale per tutta la Chiesa» e che si traduce «in una obbedienza». «Nell’obbedienza sempre ci manca qualcosa – ha commentato il Papa – perché la perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza fino alla morte, alla morte di Croce».

L’obbedienza è profezia. «Quando voi vedete qualche cosa che non vi piace, si deve ingoiare, quella obbedienza: ma si fa, ed è profezia». Rivolgendosi alle migliaia di consacrate e consacrate che hanno gremito oggi l’Aula Paolo VI, il Papa ha mimato sorridendo il verbo «ingoiare», prima di pronunciarlo. L’obbedienza dei religiosi, ha spiegato, «è profezia», e «profezia significa dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, che ti riempie di gioia e che è la strada di Gesù, di essere vicini a Gesù». «La profezia è dire che c’è qualcosa di più vero, di più bello, di più grande, di più buono al quale  tutti siamo chiamati», ha proseguito Francesco, secondo il quale «la profezia è un dono, è un carisma, lo si deve chiedere allo Spirito Santo: che io sappia dire quella parola in quel momento giusto, che io faccia qualcosa in quel momento giusto, che la mia vita tutta sia una profezia». «Uomini e donne profeti»: è, in sintesi, l’identikit dei consacrati. «Ci sono fra noi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte», il riconoscimento del Papa. Un’obbedienza «non militare, quello è disciplina, ma un’obbedienza di donazione del cuore: e questo è profezia». Obbedienza, quindi, «contro il seme dell’anarchia che semina il diavolo». «Io faccio quello che mi piace»: per Francesco, «l’anarchia della volontà è figlia del demonio». «Il Figlio di Dio – ha ricordato Francesco – non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forma di resistenza contro i suoi nemici. ‘Se io fossi un re di questo mondo, avrei chiamato i miei soldati per difendermi’. Ha fatto obbedienza, ha chiesto al Padre soltanto: ‘No, questo calice no’, ma si faccia quello che vuoi tu».

Il primo prossimo. «Qual è la prima prossimità per un consacrato? Andare a trovare il fratello o la sorella nella comunità. Questo è il vostro primo prossimo», ha raccomandato il Papa ai religiosi e religiose presenti in Aula Paolo VI. «Quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore anziane?», ha chiesto il Papa alle religiose. La prossimità, per gli uomini e le donne consacrate, «non è per allontanare la gente e avere tutte le comodità», ha spiegato Francesco, «ma per avvicinare e capire la vita dei credenti e dei non credenti, le sofferenze, i problemi e tante cose che soltanto si capiscono se un uomo, una donna consacrata, diventano prossimo». «Ma padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?», una possibile obiezione. «Pensate a Santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni», la risposta: «Con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che scriveva la facevano ancora più prossima alla gente».

«Diventare consacrati non significa salire una, due, tre scale nella società». L’ammonimento viene dal Papa, che ai religiosi e alle religiose a conclusione dell’Anno a loro dedicato ha precisato: «Tante volte sentiamo dire: ‘io ho una figlia suora, io ho un figlio frate’, e lo dicono con orgoglio. È una soddisfazione per i genitori avere i figli consacrati, ma per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così», ha detto il Papa mimando con l’espressione del volto e degli occhi il gesto di chi guarda gli altri dall’alto in basso. «La vita consacrata deve portare alla vicinanza fisica, spirituale, a conoscere la gente», il suo invito.

No ai terroristi delle chiacchiere. «Se in questo Anno della Misericordia ognuno di voi riuscisse a non fare mai il terrorista, la terrorista delle chiacchiere, sarebbe un successo di santità grande!», ha detto, ancor ail Papa, tra gli applausi. Francesco, infatti, è tornato ancora una volta su un tema a lui caro: il «no» al «terrorismo delle chiacchiere». «Un modo di allontanare un fratello e una sorella nella comunità è proprio questo, il terrorismo delle chiacchiere – ha spiegato – perché chi chiacchiera è un terrorista dentro la propria comunità. È come chi butta una bomba contro questo o quello e poi se ne va tranquillo: chi fa questo distrugge, come una bomba». «La bomba delle chiacchere è fare la guerra, allontanare le persone, provocare distanze e anarchismo», ha aggiunto. «La virtù umana più difficile da avere è dominare la lingua», ha ammonito il Pontefice. «Se ti viene da dire qualcosa contro un fratello o una sorella, morditi la lingua forte», il suo consiglio scherzoso. E ancora: «Se c’è qualcosa da correggere, lo dici alla persona, oppure – se non è prudente – lo dici alla persona che può risolvere il problema, e a nessun altro. Le chiacchiere non servono». «Nel capitolo, invece, bisogna dire tutto», ha esortato il Papa scendendo ancora nei dettagli, «perché c’è la tentazione di non dirlo in capitolo e di dirlo poi fuori». Ancora un’altra citazione di Santa Teresa del Bambin Gesù, che «mai si è lamentata del lavoro, del fastidio che le dava quella suora che doveva portare tutti i giorni dal coro alla sala da pranzo: era anziana, paralitica, anche un po’ nevrotica, ma mai è andata dalle altre sorelle a dire qualcosa. Le portava il tovagliolo, le spezzava il pane, le faceva un sorriso».

No all’inseminazione artificiale delle vocazioni. Il rimedio al calo delle vocazioni non è una sorta di «inseminazione artificiale» di cui «alcune Congregazioni fanno esperienza», dicendo ai candidati alla vita consacrata: «Vieni, vieni, vieni… e poi ci sono problemi». Ha usato questa metafora scherzosa il Papa, per raccomandare ai religiose e alle religiose che «si deve ricevere» chi vuole prepararsi alla vita consacrata «con serietà», che significa «discernere bene che si tratta di una vera vocazione e aiutarla a crescere». «Contro la tentazione di disperazione che viene dalla sterilità, dobbiamo pregare di più, senza stancarsi», la ricetta di Francesco, che ha citato come esempio da seguire Anna, «la mamma di Samuele, che pregava, chiedeva un figlio». «Il nostro cuore, davanti a questo calo delle vocazioni, prega con quella intensità?», ha chiesto il Papa a proposito del «cuore ardente» di Anna. «Cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?», si è chiesto Francesco raccomandando ai presenti di fare altrettanto: «La vostra Congregazione ha bisogno di figli, di figlie. Il Signore, che è stato tanto generoso, non mancherà la sua promessa, ma dobbiamo chiedere, bussare alla porta del suo cuore».

I soldi sono lo sterco del Diavolo. «Quando una Congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti, che diventa sempre più piccola, si attacca ai soldi, che sono lo sterco del diavolo». Questo il grido d’allarme lanciato dal papa nella parte finale del suo discoro ai consacrati e alle consacrate, pronunciato interamente a braccio. «La speranza è solo nel Signore, i soldi non te la daranno mai, al contrario la butteranno giù», ha ammonito Francesco, che ha denunciato: «Quando non hanno la grazia di avere vocazioni, figli, alcune Congregazioni religiose pensano che i soldi gli salveranno la vita. Pensano alla vecchiaia, che non manchi questo, quest’altro, e così non c’è speranza». «Vi ringrazio tanto per quello che fate, voi consacrati, ognuno con il suo carisma, e le suore», ha affermato il Papa: «Cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore?», si è chiesto. A questo proposito, il Pontefice ha narrato un episodio già citato in una delle udienze del mercoledì: «Quando tu vai in ospedale, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, vedi uomini e donne che hanno dato la loro vita. Nell’ultimo viaggio in Africa, ho trovato una suora italiana di 83 anni, e lei mi ha detto che era infermiera in quell’ospedale da quando aveva 23 o 26 anni, non mi ricordo bene. ‘Ho scritto ai miei in Italia che non tornerò più’, mi ha detto. Quando vai ad un cimitero e vedi tante religiose e religiose morti a 40 anni perché hanno preso queste malattie, queste febbri: questi sono santi! Bisogna dire a Dio che scenda e veda quanto hanno fatto i nostri antenati e che ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno!».