Vita Chiesa

Papa Francesco: ai gesuiti, «siete un vivaio che porta il mondo a Roma e Roma nel mondo»

«Fare memoria vuol dire fondarsi nuovamente in Gesù, nella sua vita», ha spiegato Francesco: «Significa ribadire un ‘no’ chiaro alla tentazione di vivere per sé stessi; riaffermare che, come Gesù, esistiamo per il Padre; che, come Gesù, dobbiamo vivere per servire, non per essere serviti. Fare memoria è ripetere con l’intelligenza e la volontà che alla vita del gesuita basta la Pasqua del Signore. Non serve altro. Farà bene riprendere la seconda settimana degli Esercizi Spirituali, per rifondarsi sulla vita di Gesù, in cammino verso la Pasqua. Perché formarsi è anzitutto fondarsi».

«Fondarsi», il primo verbo che il Papa affida ai gesuiti, che ha citato san Francesco Saverio: «Vi prego, in tutte le vostre cose, di fondarvi totalmente in Dio». «Voi abitate la casa dove sant’Ignazio visse, scrisse le Costituzioni e inviò i primi compagni in missione per il mondo», ha ricordato Francesco: «Vi fondate sulle origini. È la grazia di questi anni romani: la grazia del fondamento, la grazia delle origini. E voi siete un vivaio che porta il mondo a Roma e Roma nel mondo, la Compagnia nel cuore della Chiesa e la Chiesa nel cuore della Compagnia».

«Per me questo è il pericolo più forte in questo tempo: la mondanità spirituale, che ti porta al clericalismo», ha detto, a braccio, il Papa, che poi ha spiegato: «Crescere, mettere radici significa lottare senza tregua contro ogni mondanità spirituale, che è il male peggiore che ci può accadere, come diceva padre de Lubac». «Se la mondanità intacca le radici, addio frutti e addio pianta», l’esempio scelto da Francesco: «Se invece la crescita è un costante agire contro il proprio ego, ci sarà molto frutto. E mentre lo spirito nemico non si arrenderà nel tentarvi a cercare le vostre ‘consolazioni’, insinuando che si vive meglio se si ha ciò che si vuole, lo Spirito amico vi incoraggerà soavemente nel bene, a crescere in una docilità umile, andando avanti, senza strappi e senza insoddisfazioni, con quella serenità che viene da Dio solo». «Siete chiamati in questi anni a crescere, affondando le radici», la consegna del Papa: «La pianta cresce dalle radici, che non si vedono ma sostengono l’insieme. E smette di dare frutto non quando ha pochi rami, ma quando si seccano le radici. Avere radici è avere un cuore ben innestato, che in Dio è capace di dilatarsi». «A Dio, semper maior, si risponde col magis della vita, con entusiasmo limpido e prorompente, col fuoco che divampa dentro, con quella tensione positiva, sempre crescente, che dice ‘no’ ad ogni accomodamento», il monito di Francesco: «È il ‘guai a me se non annuncio il Vangelo’ dell’Apostolo Paolo, è il ‘non mi sono fermato un istante’ di san Francesco Saverio, è ciò che spingeva sant’Alberto Hurtado a essere freccia appuntita nelle membra addormentate della Chiesa. Il cuore, se non si dilata, si atrofizza. Se non si cresce, si appassisce».

«Libertà e obbedienza», per «porsi a tu per tu con le situazioni di oggi, prendersi cura del mondo che Dio ama». Sono le due ultime virtù raccomandate dal Papa ai gesuiti del Collegio romano del Gesù, chiamati ad essere nei «crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali». «Negli snodi più intricati, nelle terre di confine, nei deserti dell’umanità: qui il gesuita è chiamato ad esserci», ha spiegato Francesco: «Si può trovare come agnello in mezzo ai lupi, ma non deve combattere i lupi, deve solo rimanere agnello. Così il Pastore lo raggiungerà lì, dov’è il suo agnello». «Accostare al ministero della Parola il ministero della consolazione», il consiglio del Papa: «Lì toccate la carne che la Parola ha assunto: accarezzando le membra sofferenti di Cristo, aumenta la familiarità con la Parola incarnata. Le sofferenze che vedete non vi spaventino. Portatele davanti al Crocifisso. Si portano lì e nell’Eucaristia, dove si attinge l’amore paziente, che sa abbracciare i crocifissi di ogni tempo. Così matura pure la pazienza, e insieme la speranza, perché sono gemelle: crescono insieme». «Non abbiate paura di piangere a contatto con situazioni dure: sono gocce che irrigano la vita, la rendono docile», l’altro invito del Papa: «Le lacrime di compassione purificano il cuore e gli affetti».

«Una comunità internazionale, chiamata a crescere e maturare insieme»: così il Papa ha fotografato il Collegio del Gesù. «Sia una palestra attiva nell’arte del vivere includendo l’altro», la consegna finale: «Non si tratta solo di capirsi e volersi bene, magari a volte di sopportarsi, ma di portare i pesi gli uni degli altri . E non solo i pesi delle reciproche fragilità, ma delle diverse storie, culture, delle memorie dei popoli. Vi farà tanto bene condividere e scoprire le gioie e i problemi veri del mondo attraverso la presenza del fratello che vi sta accanto; abbracciare in lui non solo quello che interessa o affascina, ma le angosce e le speranze di una Chiesa e di un popolo: allargare i confini, spostando ogni volta l’orizzonte, sempre un po’ più in là».