Vita Chiesa

Papa Francesco ai volontari: «Non distogliete lo sguardo dalle tante povertà»

«L’inno all’amore che l’Apostolo Paolo scrisse per la comunità di Corinto» costituisce «una delle pagine più belle e più impegnative per la testimonianza della nostra fede». Lo ha detto, stamattina, Papa Francesco, durante la catechesi per l’Udienza giubilare per gli operatori della misericordia, in piazza San Pietro.

Come un fiume in piena. «Quante volte san Paolo ha parlato dell’amore e della fede nei suoi scritti; eppure in questo testo ci viene offerto qualcosa di straordinariamente grande e originale – ha osservato -. Egli afferma che, a differenza della fede e della speranza, l’amore ‘non avrà mai fine’. È per sempre». Per il Santo Padre, «questo insegnamento deve essere per noi di una certezza incrollabile. L’amore di Dio non verrà mai meno nella nostra vita e nella storia del mondo. È un amore che rimane sempre giovane, attivo, dinamico e attrae a sé in maniera incomparabile. È un amore fedele che non tradisce, nonostante le nostre contraddizioni. È un amore fecondo che genera e va oltre ogni nostra pigrizia». Di questo amore «noi tutti siamo testimoni. L’amore di Dio, infatti, ci viene incontro; è come un fiume in piena che ci travolge senza però sopprimerci; anzi, al contrario, è condizione di vita». Più ci lasciamo coinvolgere da questo amore e più la nostra vita si rigenera. Dovremmo veramente dire con tutta la nostra forza: sono amato, perché esisto!».

Un amore che si tocca. «L’amore di cui parla l’Apostolo non è qualcosa di astratto e di vago; al contrario, è un amore che si vede, si tocca, si sperimenta in prima persona», ha evidenziato il Papa nella catechesi. E, ha aggiunto, «la forma più grande ed espressiva di questo amore è Gesù. Tutta la sua persona e la sua vita non è altro che la manifestazione concreta dell’amore del Padre, fino a giungere al momento culminante» della croce. E, ha chiarito il Pontefice, «questo è amore, non sono parole, è amore. Dal Calvario, dove la sofferenza del Figlio di Dio raggiunge il suo culmine, scaturisce la sorgente dell’amore che cancella ogni peccato e che tutto ricrea in una vita nuova. Portiamo con noi sempre, in maniera indelebile, questa certezza della fede: Cristo ‘mi ha amato e ha consegnato se stesso per me’. Questa è la grande certezza: Cristo mi ha amato e ha consegnato se stesso per me, per te, per tutti, per ognuno di noi». Perciò, «niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio. L’amore, dunque, è l’espressione massima di tutta la vita e ci permette di esistere!».

La Chiesa non può fare come il levita. Davanti all’amore, a «questo contenuto così essenziale della fede», «la Chiesa non potrebbe mai permettersi di agire come fecero il sacerdote e il levita nei confronti dell’uomo lasciato mezzo morto per terra. Non si può distogliere lo sguardo e voltarsi dall’altra parte per non vedere le tante forme di povertà che chiedono misericordia», ha detto ancora Papa Francesco, nell’udienza giubilare per i volontari e gli operatori di misericordia. E, ha precisato, «questo voltarsi dall’altra parte per non vedere la fame, le malattie, le persone sfruttate, questo è un peccato grave, è un peccato moderno, è un peccato di oggi. Noi cristiani non possiamo permetterci questo. Non sarebbe degno della Chiesa né di un cristiano ‘passare oltre’ e supporre di avere la coscienza a posto solo perché abbiamo pregato o perché sono andato a Messa la domenica!». Per il Pontefice, «il Calvario è sempre attuale; non è affatto scomparso né rimane un bel dipinto nelle nostre chiese. Quel vertice di compassione, da cui scaturisce l’amore di Dio nei confronti della miseria umana, parla ancora ai nostri giorni e spinge a dare sempre nuovi segni di misericordia».

«Non mi stancherò mai di dire – ha ricordato – che la misericordia di Dio non è una bella idea, ma un’azione concreta. Non c’è misericordia senza concretezza. La misericordia non è fare il bene di passaggio, è coinvolgersi lì dove c’è il male, dove c’è la malattia, dove c’è la fame, dove ci sono tanti sfruttamenti umani. Anche la misericordia umana non diventa tale, cioè umana, fino a quando non ha raggiunto la sua concretezza nell’agire quotidiano». La verità della misericordia, infatti, «si riscontra nei nostri gesti quotidiani che rendono visibile l’agire di Dio in mezzo a noi».

Artigiani di Misericordia. «Tra le realtà più preziose della Chiesa ci siete proprio voi che ogni giorno, spesso nel silenzio e nel nascondimento, date forma e visibilità alla misericordia», ha affermato ancora Papa Francesco, «Voi – ha sottolineato il Pontefice – siete artigiani di misericordia con le vostre mani, con i vostri occhi, con il vostro ascolto, con la vostra vicinanza, con le vostre carezze. Artigiani». «Voi – ha aggiunto – esprimete il desiderio tra i più belli nel cuore dell’uomo, quello di far sentire amata una persona che soffre. Nelle diverse condizioni del bisogno e delle necessità di tante persone, la vostra presenza è la mano tesa di Cristo che raggiunge tutti. Voi siete la mano tesa di Cristo. Avete pensato questo?». Per il Santo Padre, «la credibilità della Chiesa passa in maniera convincente anche attraverso il vostro servizio verso i bambini abbandonati, gli ammalati, i poveri senza cibo e lavoro, gli anziani, i senzatetto, i prigionieri, i profughi e gli immigrati, quanti sono colpiti dalle calamità naturali… Insomma, dovunque c’è una richiesta di aiuto, là giunge la vostra attiva e disinteressata testimonianza. Voi rendete visibile la legge di Cristo, quella di portare gli uni i pesi degli altri».

Il nocciolo della Misericordia. «Cari fratelli e sorelli, voi toccate la carne di Cristo con le vostre mani: non dimenticatevi di questo». Così Papa Francesco si è rivolto ai volontari e operatori di misericordia. «Siate sempre pronti nella solidarietà, forti nella vicinanza, solerti nel suscitare la gioia e convincenti nella consolazione – è stato l’invito -. Il mondo ha bisogno di segni concreti di solidarietà, soprattutto davanti alla tentazione dell’indifferenza, e richiede persone capaci di contrastare con la loro vita l’individualismo, il pensare solo a se stessi e disinteressarsi dei fratelli nel bisogno. Siate sempre contenti e pieni di gioia per il vostro servizio, ma non fatene mai un motivo di presunzione che porta a sentirsi migliori degli altri». Invece, «la vostra opera di misericordia sia l’umile ed eloquente prolungamento di Gesù Cristo che continua a chinarsi e a prendersi cura di chi soffre – ha richiesta del Pontefice -. L’amore, infatti, ‘edifica’ e giorno dopo giorno permette alle nostre comunità di essere segno della comunione fraterna». Il Santo Padre ha, quindi, suggerito: «Parlate anche al Signore di queste cose. Chiamatelo. Fate come ha fatto sister Prema, come ci ha raccontato la suora: ha bussato alla porta del tabernacolo. Così coraggiosa, eh? Il Signore ci ascolta: chiamateLo! Signore, guarda questo! Guarda tanta povertà, tanta indifferenza, tanto guardare dall’altra parte: ‘Questo a me non tocca, a me non importa’. Parlane con il Signore: ‘Signore, perché? Signore, perché? Perché io sono tanto debole e Tu mi hai chiamato a fare questo servizio? Aiutami, e dammi forza. E dammi umiltà’. Il nocciolo della misericordia è questo dialogo con il cuore misericordioso di Gesù».

Pregate per quanti soffrono. «Domani avremo la gioia di vedere Madre Teresa proclamata santa». A queste parole di Papa Francesco, stamattina, a piazza San Pietro, al termine della catechesi, c’è stato un applauso della folla. «Questa testimonianza di misericordia dei nostri tempi – ha sottolineato il Pontefice – si aggiunge alla innumerevole schiera di uomini e donne che hanno reso visibile con la loro santità l’amore di Cristo. Imitiamo anche noi il loro esempio, e chiediamo di essere umili strumenti nelle mani di Dio per alleviare la sofferenza del mondo e donare la gioia e la speranza della risurrezione. Grazie». Poi, prima di dare la benedizione, il Santo Padre ha aggiunto: «Vi invito tutti a pregare in silenzio per tante, tante persone che soffrono; per tanta sofferenza, per tanti che vivono scartati dalla società. Pregare pure per tanti volontari come voi, che vanno incontro alla carne di Cristo per toccarla, curarla, sentirla vicina. E pregare pure per tanti, tanti che davanti a tanta miseria guardano da un’altra parte e nel cuore sentono la voce che dice loro: ‘A me non tocca, a me non importa’. Preghiamo in silenzio». Dopo alcuni minuti di preghiera silenziosa, il Papa ha invitato a pregare anche «con la Madonna», introducendo un’Ave Maria.

La testimonianza di Roberto Giannoni. Prima della catechesi del Papa ha portato la sua testimonianza ai 40 mila presenti in piazza San Pietro Roberto Giannoni. E’ stato il racconto, a tratti commosso, di un clamoroso errore giudiziario che ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia. Una vicenda che ha molto a che fare con la Toscana. Bancario, direttore della filiale di Sassetta della Cassa di Risparmio di Livorno, venne arrestato il 10 giugno 1992 con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, concorso in usura, estorsioni, riciclaggio, traffico di stupefacenti ed armi. «Tutto – spiega Roberto – si regge sulle dichiarazioni rilasciate da due collaboratori di giustizia». Resta in carcere per 12 mesi, di cui 10 sotto il regime del 41 bis in custodia cautelare. Viene assolto su «richiesta della stessa procura al termine di un processo durato quasi quattro anni ed una vicenda durata sei anni sei mesi sei giorni. Nel frattempo ha perso il posto di lavoro, il padre è morto di crepacuore un mese prima dell’inizio del processo, la madre un mese dopo la sentenza, sfinita dall’angoscia». Su questa vicenda Roberto Giannoni ha scritto anche un libro, H«otel Sollicciano – 12 mesi in una suite dello Stato a mezza pensione».